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Decolonizzare l’astronomia

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Nuovo appuntamento con Universo Mondo: questo mese incontriamo Thilina Heenatigala, comunicatore scientifico e Direttore della Comunicazione presso l’Earth-Life Science Institute di Tokyo, in Giappone.

Aggiornato il 1 Dicembre 2021

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Thilina Heenatigala. Crediti: Aaron Gronstal

Questo mese incontriamo Thilina Heenatigala, comunicatore scientifico e Direttore della Comunicazione presso l’Earth-Life Science Institute di Tokyo, in Giappone. Originario dello Sri Lanka, Thilina è anche coinvolto nello sviluppo dell’astronomia nel suo paese d’origine, dove guida un gruppo di ricerca di studenti, e si dedica ad aumentare la consapevolezza verso la necessità di un approccio decoloniale all’astronomia, sia nella ricerca che nella didattica e nella divulgazione.

Partiamo dal tuo percorso: come ti sei avvicinato alla divulgazione e alla comunicazione scientifica?
Sono sempre stato interessato all’astronomia, sin da bambino. Penso che uno dei miei primi ricordi d’infanzia fosse guardare le stelle, ma non sapevo che potesse essere un campo di studio. In un paese come lo Sri Lanka, non siamo esposti a questo tipo di carriera, siamo piuttosto incoraggiati a diventare medico, ingegnere, avvocato o insegnante. Queste sono le carriere che vengono incoraggiate nei paesi in via di sviluppo: ha senso, queste sono le necessità del paese e le risorse vengono investite in questi campi. Un campo come l’astronomia sembra qualcosa di impossibile, un lusso. Quando ero studente, alla fine ho seguito materie scientifiche e ho capito che una solida base scientifica sarebbe stata di grande aiuto. Ma l’astronomia mi è stata fortemente sconsigliata sia da studente che nella mia vita adulta, perché non ci sarebbero state opportunità di proseguire, chiaramente per la carenza di lavoro e perché anche a livello globale è un campo molto competitivo. Chi viene da un paese come lo Sri Lanka è un po’ scoraggiato a seguire questo percorso a causa delle scarse opportunità, però così diventa anche una sfida e questo ha attirato la mia attenzione.
Ero poi anche interessato alla divulgazione e alla didattica perché ti permettono di entrare in contatto con le persone e ispirare la prossima generazione di studenti. Il primo programma globale a cui ho preso parte è stato Universe Awareness (Unawe) sviluppato da Carolina Ödman nel 2007. Stavo ancora studiando ma tramite Unawe abbiamo lavorato molto in Sri Lanka con bambini e studenti negli orfanotrofi. Poi l’Unione Astronomica Internazionale (IAU) ha iniziato a pianificare l’Anno Internazionale dell’Astronomia 2009 (IYA2009). L’IYA2009 è stata un’iniziativa davvero globale che ha cambiato completamente il modo in cui molti paesi in via di sviluppo, come lo Sri Lanka, percepiscono e hanno accesso all’astronomia. L’IYA2009 ha creato più opportunità e risorse educative. Questo è stato il mio inizio nel mondo della divulgazione e didattica dell’astronomia a livello globale.

Puoi raccontare qualcosa ai nostri lettori sul contesto dell’astronomia in Sri Lanka, in Giappone e in altri paesi in cui hai lavorato?
In Sri Lanka non abbiamo ancora astronomia a livello professionale (cioè corsi universitari in astronomia, progetti di astronomia su larga scala o infrastrutture dedicate). Alcune università proponevano corsi senza crediti in astronomia di base e recentemente la University of Ruhuna (UoR) ha iniziato a offrire un corso di astronomia con crediti come parte del loro programma scientifico. Questo è un passo fondamentale in Sri Lanka, un passo verso lo sviluppo della didattica e della ricerca in astronomia. Collaboro con la UoR dove un gruppo di studenti preselezionati svolge ricerca in astrometria sulle stelle doppie utilizzando i telescopi del Las Cumbres Observatory(1)L’astrometria è il campo di astronomia che implica misurazioni precise delle posizioni e dei movimenti delle stelle e di altri corpi celesti. Considero questa come un’iniziativa pilota verso un programma più ampio per sviluppare l’astronomia in Sri Lanka. Il primo gruppo ha svolto la ricerca come esperienza di studio e ha concluso il progetto pubblicando un paper. La fase successiva di questa iniziativa è estenderlo ad altri gruppi di studenti e altre università.
Per la maggior parte della mia vita ho lavorato principalmente con colleghi e istituzioni europee e negli ultimi dieci anni ho lavorato e vissuto principalmente tra Paesi Bassi, Portogallo e Regno Unito, dove il livello dell’astronomia è molto alto. Mi sono trasferito in Giappone nel 2018 e anche qui il livello dell’astronomia è piuttosto alto. Queste tre regioni a cui sono abituato – lo Sri Lanka nella regione dell’Asia meridionale, che è in via di sviluppo, e poi l’Europa e il Giappone, che sono molto più sviluppate – hanno ciascuna le proprie sfide. Nei paesi in via di sviluppo come lo Sri Lanka, le sfide chiave per lo sviluppo dell’astronomia sono le risorse, le competenze e i finanziamenti, mentre in Europa ci sono molte risorse, ma molti progetti, tra cui la didattica e la divulgazione, sono fatti in modo eurocentrico, e l’aspettativa è che le altre regioni seguano questo modello. Spesso ci imbattiamo in linee guida e standard definiti in maniera eurocentrica, e ci si aspetta che altri paesi e regioni li seguano. Anche in Giappone ci sono molti progetti di ricerca astronomica, didattica e divulgazione, ma viene tutto svolto nella lingua locale, quindi all’interno del paese c’è un livello molto alto di attività ma la diffusione al di fuori del Giappone è piuttosto limitata: il livello di collaborazione è inferiore e uno dei problemi è la lingua.

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ELSI, Earth-Life Science Institute in Tokyo, Giappone. Crediti: Tokyo Tech

Quali pensi che siano le sfide più grandi nella divulgazione e didattica dell’astronomia a livello globale?
Le sfide cambiano sicuramente da regione a regione, ma ci sono alcune sfide comuni che condividiamo tutti. Uno degli argomenti a cui sto lavorando attualmente è come decolonizzare la ricerca, la didattica e la divulgazione dell’astronomia. Questa è una grossa sfida non solo in Europa ma anche nei paesi in via di sviluppo: a partire dal curriculum scientifico – quando si arriva all’astronomia seguiamo il curriculum eurocentrico – e poi anche nella divulgazione, in cui alcuni dei principali progetti globali provengono dall’Europa. Molti standard educativi, anche nel campo dell’astronomia, provengono da Europa e Stati Uniti, e a volte è piuttosto difficile per qualcuno che viene da un paese che non è altrettanto sviluppato, come lo Sri Lanka, seguire quel tipo di impostazione e raggiungere quegli stessi standard. La sensazione è quella di un continuo tentativo di recuperare, di mettersi in pari.
Penso che questa sia una sfida che abbiamo da entrambe le parti: quando creiamo degli standard, dobbiamo tener presente che devono essere completamente adattabili alle esigenze locali, e dall’altro lato, quando si cerca di seguire questi standard, bisogna essere consapevoli dei propri limiti, altrimenti si torna alla struttura del colonialismo, in cui qualcuno stabilisce un’agenda e il resto della popolazione deve seguirla. Un buon esempio in questo contesto sono i test standardizzati per la formazione universitaria, usati soprattutto negli Stati Uniti, che sono abbastanza lontani dal curriculum che abbiamo in molti paesi: per fortuna, stiamo assistendo a una tendenza di alcune importanti università statunitensi ad allontanarsi da questi test standardizzati e a utilizzare altri modi per determinare il livello di preparazione degli studenti. Dovremmo essere consapevoli e inclusivi anche all’interno della comunità astronomica, specialmente nel caso di programmi di divulgazione globale.

Cosa significa decolonizzare la scienza, e l’astronomia in particolare?
Ci sono tre aree principali da considerare: didattica, divulgazione e ricerca. In termini di ricerca, penso che ci siano alcuni aspetti chiave, a partire ad esempio dai grandi progetti e infrastrutture di ricerca. Molti telescopi sono costruiti in luoghi specifici sulla Terra come le Hawaiʻi e il Cile, e negli ultimi anni alcuni di questi siti di telescopi sono stati sede di lotte. Un buon esempio è il Thirty Meter Telescope (TMT) alle Hawaiʻi, dove le comunità locali hanno alzato la voce contro l’utilizzo di quel terreno. Queste situazioni possono essere in qualche modo evitate con una miglior comprensione delle effettive necessità locali, una miglior comunicazione e comprensione delle culture. Di solito pensiamo a queste infrastrutture in termini di statistiche, ad esempio quanti posti di lavoro, risorse o finanziamenti portano a livello locale. Ma dobbiamo anche capire cosa è importante per culture e comunità differenti. Una soluzione chiave è avere un responsabile delle politiche scientifiche (science policy officer) in grado di negoziare questi problemi e portare avanti il dialogo a livello locale. Negli ultimi anni abbiamo assistito alla nomina di science policy officer in Europa e negli Stati Uniti, quindi penso che ci stiamo muovendo verso una migliore comprensione, con la nomina di professionisti che hanno un background più specifico per gestire queste situazioni rispetto agli astronomi.
Un altro aspetto importante in queste infrastrutture è lo squilibrio degli stipendi: molti grandi progetti di ricerca hanno personale internazionale, perché l’infrastruttura si trova in un paese diverso, e si è visto che gli stipendi sono abbastanza diversi tra un funzionario internazionale – per offrire un lavoro a qualcuno che si trasferisca e si stabilisca in un paese straniero, deve essere stimolante in qualche modo – e chi viene assunto localmente. Cercare di avere stipendi migliori sia per gli esperti locali che per quelli stranieri è un impegno a lungo termine: chiaramente richiede finanziamenti maggiori.

E per quanto riguarda la didattica e divulgazione?
Per quanto riguarda la decolonizzazione dell’insegnamento dell’astronomia, il nostro curriculum comprende principalmente invenzioni e scoperte europee. Manca tanta conoscenza che è stata fornita da altre regioni come l’Asia, il mondo arabo e così via, e manca l’astronomia indigena. Il curriculum attuale quindi è piuttosto squilibrato, ed è qualcosa su cui tutti dobbiamo lavorare e migliorare.
Per quanto riguarda la divulgazione, ci sono stati molte iniziative globali, specialmente negli ultimi 10-15 anni. Un aspetto chiave da esaminare è chiedersi se e come queste agende globali sono rilevanti per ogni singolo paese. In che modo portano effettivamente benefici a ciascun paese, a ogni comunità? Stiamo imponendo un’agenda globale? Forse non tutte le iniziative globali hanno rilevanza locale. È bello avere iniziative globali che uniscono le persone, ma chi li organizza deve far sì che questi programmi si possano adattare alle esigenze locali e, d’altra parte, a livello locale, dobbiamo guardare in modo critico a questi programmi e chiederci se giovano davvero al pubblico locale oppure no.
Un altro buon esempio riguarda la valutazione: ho scritto così tanti resoconti nel campo della divulgazione e della didattica, e spesso ci si concentra sul mostrare buoni numeri, fa parte del lavoro. In molti casi questa rappresentazione è del tutto fuorviante: a volte solo una persona ha aderito da un certo paese, organizzando un solo evento, ma dal resoconto potrebbe sembrare che l’intero paese abbia aderito. A volte questo ha anche creato problemi a livello locale, alcuni partner erano scontenti di non essere stati inclusi. Penso che la rappresentazione vada trattata con la considerazione giusta: dovremmo piuttosto scrivere quanti eventi sono stati organizzati, ad esempio, o quante persone hanno aderito in un certo paese.

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Mappa dello Sri Lanka. Crediti: Peter Hermes Furian

Oltre a queste, esistono altre buone pratiche che potresti consigliare o errori ​​da evitare nel processo di decolonizzazione dell’astronomia?
Sicuramente bisogna cercare di allontanarsi dalle iniziative del tipo ‘scienza-paracadute’, specialmente nella divulgazione e nella ricerca. Il concetto di scienza-paracadute esiste da molto tempo: qualcuno da un paese sviluppato, occidentale o del Nord del mondo si reca in un paese meno sviluppato, nel Sud del mondo, per tenere un seminario o un workshop una tantum e poi va via senza lasciare molto a livello locale, senza costruire iniziative o collaborazioni a lungo termine.
Ci tengo ad ammettere che anche io ho contribuito a queste iniziative di scienza-paracadute. Quando ero uno studente in Sri Lanka, ogni volta che ricevevo una richiesta da qualcuno dall’Europa, per esempio, che offriva di venire in Sri Lanka per tenere una conferenza o un seminario, mi lanciavo subito in questa opportunità senza pensarci troppo. Questo è il risultato di una mancata comprensione della ‘scienza colonizzata’ e della mancanza di esperti locali. Qualsiasi opportunità si presenti davanti, si tende a dire di sì. In questi casi qualcuno veniva a visitarci, magari tenendo una conferenza per gli studenti, passando un po’ di tempo in Sri Lanka e poi se ne andava, senza alcun impegno a lungo termine e senza porsi il problema di come quel seminario o quella conferenza possa contribuire a sviluppare la situazione a livello locale. E così mi ci è voluto un po’ per capire questo processo e distaccarmene.
Nelle grandi collaborazioni astronomiche tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo, ho notato che a volte vengono spesi molti soldi per far viaggiare le persone, alloggiarle in un bell’albergo e poi svolgere delle attività di divulgazione molto semplici. Le cose sono un po’ cambiate grazie a internet, che rende le risorse più accessibili. Ma c’è ancora molta strada da fare per decolonizzare l’astronomia. Qualcosa che potrebbe davvero aiutare, ogni volta che si collabora con un altro paese, sarebbe guardare in modo critico alle esigenze del posto, chiedersi se gli obiettivi del progetto sono in linea con queste esigenze, e trattare gli esperti locali come veri esperti, anziché chiedere loro di seguire la propria agenda.
Un altro aspetto importante dei grandi progetti di ricerca riguarda il ritorno sull’investimento. Uno di questi criteri è il numero di pubblicazioni e la disseminazione della conoscenza a livello locale. È interessante notare che, se si guarda al numero di pubblicazioni in molte collaborazioni su grande scala, i primi autori provengono dai paesi più ricchi: Europa, Stati Uniti. A volte gli studenti del posto raccolgono e analizzano i dati, ma non viene dato loro credito nelle pubblicazioni. Un progetto interessante sarebbe analizzare le pubblicazioni dell’Osservatorio SKA: quanti primi autori sono europei e quanti africani.

Come viene accolto questo lavoro dalla comunità astronomica?
Attualmente ci sono una manciata di persone che parlano di decolonizzazione dell’astronomia all’interno della comunità. La mia esperienza non è stata molto positiva: ogni volta che faccio una presentazione o coordino una discussione, viene visto perlopiù come un argomento controverso. Alcune delle reazioni immediate sono: “ma non è rilevante per me”; “ma noi forniamo molte risorse”; “stai suggerendo che smettiamo di aiutare?”; “ma io so che loro sono grati per il nostro supporto”; “ma noi stiamo aiutando”… Questi commenti sono frequenti, e io spiego sempre che mi trovo in una posizione particolare da cui guardare il tutto. Circa 15-20 anni fa, facevo parte del sistema che ha contribuito a colonizzare l’astronomia: quando ero in Sri Lanka, dicevo di sì ad ogni singola opportunità senza pensare davvero a lungo termine. La mia esperienza da studente in Sri Lanka e l’esperienza lavorativa in Europa mi hanno dato una prospettiva interessante sulla decolonizzazione dell’astronomia. Mi sono sempre trovato a cavallo tra questi due mondi, pagato dall’Europa ma allo stesso tempo impegnato a migliorare l’astronomia nei paesi in via di sviluppo e nel mentre pensando: come possiamo fare ciò per bene e in un modo più efficiente? Per questo ogni volta che ne parlo cerco di spiegare che sono stato da entrambe le parti.
Abbiamo tanta strada davanti, ma con le poche persone che lavorano su questo argomento abbiamo in programma di organizzare un convegno o una sessione per riunire tutti. Auspicabilmente sarà un buon passo successivo per generare più discussioni e maggior consapevolezza sul tema.

Ci sono autori o eventi che ti hanno influenzato in questo processo?
Decolonizzare la scienza è un approccio più visibile in altre discipline come la biologia marina o la geologia. Questi scienziati hanno bisogno di campioni. Spesso gli scienziati dei paesi più ricchi vanno nei paesi in via di sviluppo e raccolgono campioni, a volte senza nemmeno informare gli esperti locali. Questo fenomeno è diventato abbastanza evidente durante la pandemia perché tutti hanno smesso di viaggiare, e per ottenere i campioni gli scienziati hanno avuto bisogno di affidarsi a esperti locali. Sono tante le storie che si sentono in cui gli esperti locali hanno avuto l’opportunità di fare il loro lavoro. Alcune di queste discipline stanno svolgendo un ruolo più attivo nella decolonizzazione della scienza rispetto all’astronomia, su questo siamo piuttosto indietro in astronomia. Io sono diventato più consapevole dell’argomento da altre discipline scientifiche e durante la pandemia ho pensato che potesse essere una buona opportunità portare questo tema alla luce anche all’interno dell’astronomia. È un buon momento per la comunità astronomica anche perché sta partendo la nuova strategia della IAU per il prossimo decennio, che ha un focus sullo sviluppo dell’astronomia a livello globale: è importante essere consapevoli di questi problemi per agire, sia nella ricerca che nella didattica e nella divulgazione, evitando qualsiasi tendenza verso un’astronomia di stampo coloniale.

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Thilina Heenatigala durante un’attività di divulgazione con gli studenti di un orfanotrofio in Sri Lanka nel 2010.

Puoi parlarci del tuo impegno nello sviluppo della ricerca astronomica in Sri Lanka?
Lo Sri Lanka non è un paese membro della IAU, non c’è ricerca in astronomia nelle università. Come srilankese, questo è uno degli obiettivi fondamentali per il cui miglioramento sono coinvolto attivamente. Per molto tempo, i due problemi principali – questo è valido in molti paesi in via di sviluppo – sono stati la mancanza di risorse e di competenze, due cose che non è facile ottenere senza finanziamenti. Ma adesso l’astronomia si sta evolvendo e c’è la disponibilità di internet. Molti dati osservativi da grandi telescopi sono disponibili online, indipendentemente dal paese in cui ci si trova. E ci sono programmi come il Las Cumbres Observatory che offrono tempo di osservazione ai telescopi. Questo consente ai paesi in via di sviluppo di portare avanti ricerche astronomiche senza dover costruire infrastrutture e senza astronomi a livello locale.
Stiamo studiando una strategia in cui i corsi universitari di fisica in Sri Lanka possano includere la ricerca in astronomia combinando esperti locali e dall’estero, usando banche dati e strutture osservative in remoto. Questo permette di fare ricerca astronomica senza che gli esperti stranieri debbano viaggiare, il che fa risparmiare un sacco di soldi a entrambe le parti. Al momento stiamo svolgendo progetti di ricerca in astrometria, che alla fine speriamo diventino parte del curriculum sotto forma di corsi con crediti. Questo è il primo passo verso la prima generazione di astronomi in Sri Lanka: offrire una laurea scientifica con specializzazione in astronomia. E si spera che entro i prossimi 5-10 anni, riusciremo a offrire i primi corsi di laurea in astronomia a livello locale. Combinando esperti locali e stranieri con l’uso di banche dati virtuali e osservazioni remote, non abbiamo bisogno costruire infrastrutture locali: questo consente di risparmiare molto denaro. Attualmente portiamo avanti questo programma in due università, il piano è di estenderlo a diverse università dello Sri Lanka e poi andare avanti a partire da lì. Credo che sia un buon modello per i paesi in via di sviluppo.

Come reagiscono gli studenti a queste iniziative?
Il nostro gruppo pilota di studenti è andato abbastanza bene. Ma ho anche notato una certa esitazione perché viene richiesto un certo livello di matematica, fisica e programmazione. Ma col passare del tempo, sempre più studenti sono interessati. Dobbiamo anche trovare un modo per gestire questo modello, per contenere in qualche modo ma non limitare la partecipazione: è un’opportunità che gli studenti desiderano e non vogliamo scoraggiare nessuno.

Qual è la parte più entusiasmante (e la più frustrante) di questo lavoro?
La parte più frustrante è probabilmente il fatto che la maggior parte delle collaborazioni ci chiede di mostrare risultati immediati. Questo requisito può risultare piuttosto frustrante a livello locale perché, ad esempio, internet può non essere sempre disponibile quando bisogna scaricare dati o accedere ai telescopi, oppure gli studenti possono non aver accesso a un computer. Ci sono anche problemi locali che sono abbastanza comuni nei paesi in via di sviluppo, per esempio l’università può essere chiusa per un certo periodo. A volte produrre risultati può essere piuttosto impegnativo e le aspettative elevate dei partner stranieri non si traducono necessariamente molto bene a livello locale. Nel nostro caso specifico, siamo stati molto fortunati: utilizziamo principalmente il Las Cumbres Observatory e loro sono piuttosto flessibili.
La parte più entusiasmante, per me personalmente, è vedere gli studenti fare ricerca e pubblicare articoli scientifici mentre sono in Sri Lanka. È un’opportunità che mi sarebbe piaciuta moltissimo quando ero studente lì, quindi è davvero bello creare questa opportunità per i nostri studenti.

Hai un messaggio per i colleghi astronomi in Italia e nel mondo?
Per molti astronomi che si trovano in Italia e altri paesi sviluppati è importante pensare in modo tale che il proprio lavoro possa essere tradotto in tanti altri paesi, specialmente per gli studenti. Se avete l’opportunità di dedicare un po’ di tempo e condividere le vostre competenze, ci sono così tanti studenti provenienti da paesi in via di sviluppo che aspettano queste opportunità, ma bisogna farlo in un modo che sia più strategico e a lungo termine, non in modalità scienza-paracadute. In questo senso, credo che la IAU sia in una posizione tale da favorire le collaborazioni e aiutare lo sviluppo dell’astronomia.

Thilina Heenatigala è un comunicatore scientifico e attualmente lavora come Direttore della Comunicazione presso l’Earth-Life Science Institute (ELSI) a Tokyo, in Giappone, dove gestisce le attività di divulgazione e comunicazione scientifica dell’istituto. È anche ricercatore affiliato presso il National Astronomical Observatory of Japan (NAOJ) e collabora con l’Office of Astronomy Outreach (OAO) della IAU. Originario dello Sri Lanka, guida l’iniziativa per lo sviluppo della ricerca e didattica in astronomia in Sri Lanka. Attualmente supervisiona progetti di ricerca di studenti universitari in Sri Lanka che svolgono osservazioni astronomiche in remoto.

Note

Note
1 L’astrometria è il campo di astronomia che implica misurazioni precise delle posizioni e dei movimenti delle stelle e di altri corpi celesti

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Scritto da

Claudia Mignone Claudia Mignone

Astrofisica e comunicatrice scientifica, tecnologa all'Istituto Nazionale di Astrofisica.

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