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Scienza per la collettività: dai festival alla citizen science

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Nel nostro appuntamento mensile con Universe World, esploriamo i festival della scienza e la citizen science con Sandor Kruk, astronomo e divulgatore romeno



Sandor Kruk
Sandor Kruk

Iniziamo il nuovo anno con un astronomo che è anche co-fondatore del primissimo festival nazionale della scienza nel suo paese nativo, la Romania. Sandor Kruk, ora ricercatore post-dottorato in Germania, studia l’evoluzione delle galassie e ha una vasta esperienza nella progettazione e realizzazione di progetti di citizen science.

Cominciamo dal tuo percorso: puoi raccontarci di cosa ti occupi nella tua ricerca e cosa ti ha portato fin qui?
Vengo da una piccola città nel nord della Romania e ho scoperto la mia passione per l’astronomia alle scuole superiori, intorno al decimo anno di scuola, quando ho partecipato al primo concorso nazionale di astronomia. Ho scoperto che l’astronomia unisce fisica, matematica e altre discipline scientifiche che mi piacevano molto. Da studente, ho partecipato ad alcune Olimpiadi di Astronomia, rappresentando la Romania a livello internazionale, e poi ho deciso che questo era quello che volevo fare da grande.
Così mi sono trasferito nel Regno Unito per studiare fisica e astrofisica presso University College London (UCL). Mi sono entusiasmato agli aspetti osservativi: oggigiorno l’osservatorio della UCL, che un tempo si trovava nella periferia di Londra, è dentro la città perché Londra si è espansa molto, e mi affascinava poter osservare anche da Londra i transiti degli esopianeti. Poi ho iniziato un dottorato in astronomia osservativa con il professor Chris Lintott e il team del Galaxy Zoo all’Università di Oxford. Galaxy Zoo è un progetto di citizen science per classificare le galassie online: è il progetto di citizen science di astronomia di maggior successo finora, con oltre un milione di volontari nel corso degli anni. Ho studiato l’evoluzione delle galassie usando le classificazioni del progetto, osservando le galassie barrate e l’influenza delle barre galattiche – le barre sono una struttura lineare che si trova al centro di alcune galassie – sulle loro galassie ospiti. Questo è importante perché anche la nostra galassia, la Via Lattea, è una galassia barrata.
Mi sono poi trasferito all’ESA, l’Agenzia spaziale europea, nei Paesi Bassi per una fellowship di ricerca, continuando questi studi extragalattici con un telescopio nuovo: Euclid. All’epoca doveva essere lanciato nel 2020, ma è stato posticipato, quindi in realtà non sono riuscito a usare i suoi dati, ma ho preparato nuovi strumenti per misurare le forme delle galassie con esso. Nel frattempo ho lavorato ad altri progetti entusiasmanti, introducendo la citizen science negli archivi ESA. Ora continuo a fare ricerca in astronomia extragalattica sull’evoluzione delle galassie: le attività si stanno intensificando man mano che ci avviciniamo al lancio di Euclid nel 2023, quindi sto lavorando alla creazione di nuovi strumenti basati sulla citizen science e sull’intelligenza artificiale, e di cataloghi che gli scienziati utilizzeranno per classificare le galassie, e anche sulla calibrazione delle distanze dalle galassie che osserverà Euclid.

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Cartina geografica della Romania – via commons
Hai dovuto trasferirti all’estero per poter studiare astronomia? C’è una comunità astronomica in Romania e potresti confrontarla con quella degli altri paesi in cui hai vissuto e lavorato?
Sì, ho dovuto lasciare la Romania per studiare astronomia e conosco molte persone in una situazione simile. Nel corso degli anni ho incontrato parecchi astronomi romeni all’estero, negli Stati Uniti, nel Regno Unito, nei Paesi Bassi… C’è una comunità crescente di astronomi romeni all’estero, sto cercando di creare un network e spero che nel futuro potremo trovarci in un incontro annuale e discutere come possiamo avvicinare l’astronomia al paese.
Purtroppo non esiste la possibilità di studiare astronomia all’università in Romania, nemmeno a livello di laurea magistrale. Si può solo studiare fisica, ci sono una o due università in cui l’astronomia è un modulo opzionale ma per ragioni storiche è ancora legata alla matematica, non alla fisica.
Esiste una piccola comunità astronomica nel paese e una manciata di posti dove si può lavorare in astronomia. L’Istituto Astronomico dell’Accademia Romena è il centro più grande, con qualche decina di dipendenti, è un vecchio osservatorio a Bucarest in una location molto bella. Li ho visitati quest’estate. La loro ricerca è incentrata principalmente su oggetti del Sistema solare come gli asteroidi. C’è anche un Istituto di Scienze Spaziali a Bucarest, che si concentra principalmente su missioni spaziali, soprattutto sullo sviluppo di strumenti software per missioni spaziali: la Romania è uno stato membro dell’ESA, quindi c’è un certo coinvolgimento nelle missioni spaziali a livello europeo.

Oltre all’astronomia, uno dei tuoi progetti è il Romanian Science Festival, di cui sei co-fondatore. Puoi parlarcene?
Certo, questo è un progetto che mi sta molto a cuore. È iniziato da un gruppo di amici a Oxford quando ero uno studente lì. Eravamo in quattro e discutevamo su come aiutare la disseminazione della scienza e della tecnologia in Romania. Non ci sono molte iniziative di divulgazione e comunicazione scientifica rispetto ai paesi dell’Europa occidentale. Quindi abbiamo deciso di lanciare un festival della scienza con ricercatori provenienti dall’estero – come dicevo, ci sono molti scienziati romeni all’estero, non solo in astronomia ma in molte discipline – avvicinando gli accademici romeni della diaspora al pubblico romeno: dai bambini alle scuole superiori fino all’università e anche agli adulti.
Il primo Romanian Science Festival si è svolto nel 2017, con tre diversi festival all’aperto in tre diverse città. L’idea era che gli accademici della diaspora fungessero da mentori, addestrando un gruppo di studenti, principalmente delle scuole superiori, a presentare alcuni esperimenti al pubblico – esperimenti scientifici divertenti in astronomia, fisica, chimica, biologia, medicina, robotica e altro – nella cornice di un festival all’aperto. Poiché era uno dei primi eventi di questo tipo nel paese, ha attirato molta attenzione del pubblico.
Lo abbiamo organizzato di nuovo nel 2018 e nel 2019: questo è stato l’ultimo festival all’aperto, con 20mila visitatori in varie parti del paese [questi video mostrano alcune attività nelle città di Baia Mare, Timișoara e Pitești]. Tutti i mentori che abbiamo coinvolto sono anche andati nelle scuole il giorno prima per presentare la loro ricerca e spiegare perché è entusiasmante lavorare nella scienza.

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L’edizione 2019 del Romanian Science Festival a Timișoara.

Quali sono gli obiettivi principali di questa iniziativa?
Abbiamo tre obiettivi principali: offrire modelli di ruolo agli studenti, attirare verso la scienza le comunità meno avvantaggiate – quindi ci concentriamo principalmente sulle città più piccole ma anche sulla gente dei villaggi, coinvolgendo anche le persone della comunità rom che è piuttosto numerosa in Romania e tradizionalmente svantaggiata, con molte meno opportunità – e, infine, presentare la scienza in modo innovativo, mostrando che la scienza è bella. Il modo in cui ho studiato scienze a scuola era alla lavagna, tutte le lezioni erano molto teoriche e incentrate sull’insegnante anziché sullo studente. Noi vogliamo presentare la scienza in modo nuovo, attraverso la scoperta e non attraverso l’insegnamento.

Puoi dare un po’ di contesto ai nostri lettori a proposito della differenza tra comunità urbane e rurali in Romania?
Il paese è sempre più urbanizzato, ma le opportunità per gli studenti nelle città più grandi, come Bucarest, sono molto diverse rispetto alle città e alle comunità rurali del resto del Paese. Mancano opportunità per la scienza e la qualità dell’istruzione è generalmente inferiore nelle città più piccole e nelle aree rurali. Ecco perché cerchiamo di raggiungere di più le piccole comunità urbane e quelle rurali.

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Locandina dei webinar realizzati dal Romanian Science Festival
Come avete affrontato l’arrivo della pandemia?
Eravamo piuttosto delusi in quel momento perché non sapevamo come portare avanti le cose. Non sapevamo quando sarebbe finita, era difficile fare progetti per l’anno, quindi abbiamo deciso di spostare le attività online. Siamo stati veloci e penso che questo sia stato un vantaggio: molte scuole sono passate alla didattica online nelle prime settimane della pandemia e gli insegnanti non erano preparati, non avevano gli strumenti necessari o lezioni da tenere online.
Abbiamo deciso di aiutare le scuole con diverse iniziative. Una di queste era offrire webinar settimanali: da aprile 2020 abbiamo prodotto 40 webinar con 50 ore di contenuti scientifici, penso che questa sia ad oggi la più grande libreria di contenuti scientifici in lingua romena. Ogni settimana abbiamo invitato un esperto a presentare il proprio lavoro e il proprio settore di competenza e a rispondere alle domande del pubblico in un webinar in diretta sulla pagina Facebook del Festival.
Abbiamo anche lanciato l’iniziativa “Invita un mentore”: gli insegnanti avevano l’opportunità di invitare nelle loro classi scienziati dalla nostra grande comunità di accademici romeni e abbiamo ricevuto molte richieste. Abbiamo partecipato a 150 lezioni online in tutto il paese, inclusi villaggi e comunità più piccole, e ora abbiamo ricevuto altre 100 richieste per il prossimo semestre. Abbiamo anche organizzato concorsi, come “Viitorul pe placul tau(1)Progetta il tuo futuro in cui squadre di studenti dovevano riunirsi con un mentore e pensare a un problema della società che vorrebbero risolvere nei prossimi 20 anni: problemi legati ad argomenti come l’inquinamento o la biodiversità.

Come procede l’organizzazione quest’anno? State già pianificando il prossimo grande evento in presenza?
Quest’anno stiamo cercando di suddividere le attività in temi. Ad esempio, lo scorso maggio abbiamo avuto il mese dello spazio: abbiamo invitato l’unico astronauta romeno (finora) a parlare con i bambini, abbiamo organizzato un concorso di arte-scienza in cui i bambini dovevano creare un disegno a tema astronomico per una tuta spaziale che è stata presentata alla Conferenza [delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici] COP26 a Glasgow. Stiamo anche portando avanti un progetto di corrispondenza a distanza, in cui scienziati e studenti hanno conversazioni tramite lettere: accoppiamo scienziati e classi per scambiarsi lettere per posta. Cerchiamo di essere un po’ all’antica, rispondendo ai bambini per iscritto, è molto carino.
Nel 2020-2021 abbiamo annullato tutti gli eventi di persona, ma per il prossimo anno abbiamo in programma di tornare al festival in presenza, speriamo di poterlo fare. Abbiamo anche ricevuto una sovvenzione che può aiutarci ad andare avanti in modo più sostenibile per il prossimo anno. Finora ci siamo affidati solo al volontariato, usiamo tutto il nostro tempo libero ma abbiamo bisogno di nuova forza lavoro. Stiamo cercando di crescere nei prossimi anni e abbiamo in programma di richiedere anche finanziamenti europei.

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Foto di gruppo durante l’edizione 2019 del Romanian Science Festival nella città di Pitești

Siete in contatto anche con la comunità romena all’estero, ora che il festival è in parte anche online?
Tutti i nostri relatori provengono dalla diaspora, abbiamo una comunità di quasi 100 scienziati all’estero. Per quanto riguarda il pubblico, tutto quello che sappiamo deriva dalle statistiche di Facebook: la maggior parte del nostro pubblico viene dalla Romania, ma ci sono state anche persone che si collegano dalla Scozia o dalla Spagna, per esempio. Si tratta di romeni che vivono all’estero e che ci hanno trovato online, poiché la maggior parte della nostra comunicazione avviene tramite Facebook.

Cosa hai imparato da questa esperienza? Ci sono buone pratiche che avete sviluppato, soluzioni particolari che avete dovuto trovare oppure consigli per chi organizza eventi simili?
Qualcosa di veramente importante quando si lavora con le scuole è avere una buona rete di insegnanti. Noi ce la siamo costruita nel corso degli anni: è una rete di insegnanti che conoscono le nostre attività, che si fidano di noi e che possono utilizzare le nostre attività nelle scuole. È importante mantenere un buon contatto con gli insegnanti, ricevendo anche il loro feedback su cosa funziona e cosa non funziona. Noi non siamo educatori di formazione, loro sì: raccogliere le loro opinioni e feedback è molto importante.
E poi è bello vedere come si sviluppano le cose. Nel 2017 è successa una cosa molto interessante: abbiamo invitato un gruppo di bambini rom a partecipare al festival come studenti, e si sono entusiasmati molto. Poi, quando abbiamo organizzato il festival più grande nel 2019, sono tornati come volontari. Questo è un buon segno.
Riceviamo feedback molto positivi: la gente vuole il festival più spesso e lo vuole in presenza. Credo che sia stato positivo essere una delle prime risorse online in Romania, ma ora ci sono così tante attività online che le persone iniziano a stancarsi.

Quali sono le parti più (e meno) entusiasmanti in un progetto come questo?
Lavorare con studenti e bambini è sempre emozionante, lo si vede dai loro volti quando scoprono qualcosa di nuovo! Non ho mai avuto una brutta esperienza nelle conversazioni o nelle interazioni con gli studenti. La parte più difficile è richiedere continuamente finanziamenti per poter pianificare e gestire attività a lungo termine.

C’è stato qualche evento o qualche persona speciale che ti ha influenzato in questo processo?
Le persone che ci hanno influenzato di più sono i nostri mentori all’estero che hanno sviluppato una grande esperienza su come parlare al pubblico nelle loro comunità – negli Stati Uniti, nel Regno Unito, nei Paesi Bassi e in Svezia – e noi stiamo portando tutta questa esperienza e conoscenza in Romania. È di grande ispirazione il fatto che abbiano sempre nuove idee, non siamo mai a corto di idee!

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Sandor Kruk durante il festival.

Prima hai menzionato il tuo coinvolgimento in un’altra attività di disseminazione scientifica: la citizen science. Puoi raccontarci di più a riguardo?
Lavoro con il team di Zooniverse dal 2014. Hanno un’enorme esperienza nella progettazione di progetti di citizen science, non solo in astronomia ma in diverse scienze, e questo mi piace molto. La citizen science è uno strumento per l’analisi distribuita dei dati: abbiamo troppi dati e abbiamo bisogno di occhi umani per guardare e analizzare i dati, ed è stato dimostrato che questo è davvero efficace.
Adesso abbiamo strumenti più avanzati, come l’intelligenza artificiale, che possiamo usare per classificare i dati automaticamente, ma questi metodi devono essere “addestrati” su set di dati classificati in precedenza e in questo modo si possono perdere alcune delle cose più interessanti, le anomalie oppure le incognite sconosciute nei dati. Penso che ci sia ancora spazio per la classificazione umana in futuro per analizzare i dati: abbiamo bisogno di umani per interpretare i risultati delle macchine e l’occhio umano è ancora molto migliore rispetto a una macchina per scoprire cose insolite in un set di dati e fare nuove scoperte.

Pensi che la citizen science sia una valida attività di divulgazione scientifica?
Dal punto di vista della divulgazione, la citizen science è uno strumento eccellente per la didattica scientifica informale perché svolgendo compiti scientifici, i volontari apprendono la nostra terminologia, come analizziamo i dati nella scienza, che tipo di immagini o dati sono disponibili. Abbiamo anche alcuni “super utenti” nel progetto Zooniverse che sono esperti cittadini-scienziati: si tratta di persone che hanno una carriera al di fuori della scienza ma sono molto appassionate, attive e ben informate. Ora sto lavorando a un paper con un volontario di Parigi che è in pensione ed è molto attivo sui nostri progetti: programma in Python e fa nuove scoperte, ha già più di dieci pubblicazioni!

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Un mosaico realizzato a partire da diverse immagini raccolte dal telescopio spaziale Hubble per studiare galassie lontane. Nell’immagine sono visibili 20 tracce di asteroidi, riconducibili a 7 diversi corpi celesti. Crediti: NASA, ESA, and B. Sunnquist and J. Mack (STScI) (CC BY-SA 4.0)

Parlaci in dettaglio di uno dei tuoi progetti di citizen science.
Abbiamo lanciato un progetto nel 2019 chiamato Hubble Asteroid Hunter, in cui i volontari dovevano visionare immagini scattate dal telescopio spaziale Hubble. Occasionalmente gli asteroidi, che sono fondamentalmente rocce nel Sistema solare, passano attraverso le osservazioni che gli astronomi stanno facendo con Hubble. Se troviamo questi oggetti nelle osservazioni d’archivio, possiamo scoprire nuove cose sulle loro traiettorie future e sulle loro proprietà, quindi abbiamo concepito questo progetto per trovare asteroidi nei dati, che ha portato a diverse scoperte. Oltre a 1700 asteroidi, nei dati abbiamo trovato anche alcune nuove lenti gravitazionali: si tratta di galassie le cui immagini che vengono ingrandite dalla materia oscura, l’alone di massa invisibile che pensiamo sia presente intorno alle galassie, producendo un effetto simile a quello di una lente d’ingrandimento che distorce le immagini delle galassie più lontani.
Questo progetto ci ha anche dato l’opportunità di studiare l’impatto dei satelliti artificiali sulle osservazioni: è un argomento molto acceso in questo momento in astronomia a causa dei recenti lanci di mega-costellazioni satellitari come Starlink, OneWeb e altre. Il numero di satelliti in orbita terrestre bassa sta aumentando in modo esponenziale e gli astronomi sono preoccupati che questo influenzerà le osservazioni producendo strisce luminose nelle nostre immagini. L’impatto delle costellazioni satellitari sugli osservatori a terra è stato quantificato da parecchi autori, ma non c’erano ancora studi sull’impatto dei satelliti su osservatori che si trovano in orbita terrestre bassa, come Hubble o CHEOPS per esempio, che sono al di sotto dell’altitudine dei satelliti artificiali quindi ovviamente alcune immagini saranno attraversate dai satelliti. Attraverso questo progetto, abbiamo anche esaminato la frazione di immagini di Hubble attraversata da satelliti artificiali e l’abbiamo quantificata in un articolo che abbiamo sottoposto a revisione di recente.

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Il progetto Galaxy Zoo, attraverso cui volontari di tutto il mondo possono aiutare gli astronomi a classificare le galassie. Crediti: Zooniverse
Come viene accolta la citizen science dai tuoi colleghi astronomi?
Inizialmente gli astronomi consideravano la citizen science come un’attività puramente divulgativa. La situazione è cambiata nel corso degli anni: il progetto Galaxy Zoo ha pubblicato circa 70 pubblicazioni scientifici ed è sempre più accettato come un valido strumento per l’analisi dei dati astronomici.
Anche ora, con i progressi dell’intelligenza artificiale, è ancora molto utile: per fare in modo che un computer classifichi i tuoi oggetti, devi avere un grande training set di oggetti [per addestrare il computer], un grande insieme di dati in cui gli oggetti sono stati etichettati da un grande gruppo di persone. La citizen science è vista come uno strumento valido per questo. Infatti Zooniverse riceve più richieste di progetti ora rispetto a prima. Ci sono sempre più progetti in fase di sviluppo per fornire grandi training set per algoritmi automatizzati per classificare gli oggetti. Per quanto riguarda la disseminazione, viene visto come uno strumento di divulgazione scientifica molto utile, anche più della comunicazione scientifica standard perché si tratta di una comunicazione bidirezionale.

Sulla base della tua esperienza, quali pensi siano le maggiori sfide per la comunicazione della scienza al pubblico?
La pandemia ci ha mostrato quanto sia importante la scienza – lo sviluppo del vaccino così rapidamente è stato un successo della scienza – ma poi il modo in cui questo è stato ricevuto dal pubblico ci ha mostrato che esistono molte discrepanze tra la scienza e il modo in cui le persone la percepiscono. Quando sono arrivati i vaccini, abbiamo organizzato delle sessioni con esperti di diverse università, da Cambridge e Oxford per esempio, che hanno discusso di cosa fanno i vaccini, quanto sono efficaci e così via. Abbiamo cercato di spingere questo messaggio sempre di più, ma ci siamo resi conto di quanto sia difficile: ci siamo resi conto di star principalmente “parlando ai convertiti” anziché raggiungere comunità che non conoscevano questi argomenti.

E per quanto riguarda la comunicazione dell’astronomia?
Penso che la sfida più grande sia convincere le persone che abbiamo bisogno di tutti gli strumenti che ci occorrono per fare scienza, tutta la strumentazione, le missioni spaziali. Perché abbiamo bisogno di fondi per la scienza, perché qualcosa come il James Webb Space Telescope, che ci costa 10 miliardi di dollari, è importante.
Ritengo che il lavoro dei comunicatori scientifici sia davvero cruciale nel portare queste idee al pubblico perché spesso, al di là della curiosità, la domanda che ci viene posta è “perché investire così tanto denaro in questo?” Quando lo scomponi, spiegando che tutte le attività di astronomia e scienze spaziali in realtà ti costano forse quanto un biglietto del cinema all’anno, allora non sembra tanto. Penso che spiegare questo in termini semplici al pubblico sia importante per vincere questa sfida, perché l’astronomia è una scienza di base di cui non si vedono direttamente le applicazioni.

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Una delle attività del Romanian Science Festival nella città di Baia Mare

Vuoi lanciare un messaggio per i colleghi astronomi che ci leggono dall’Italia e da tutto il mondo?
Grazie per aver letto fin qui! Abbiamo diversi mezzi per raggiungere il pubblico che si sono dimostrati efficaci, come i festival della scienza e la citizen science, con cui possiamo raggiungere diversi pubblici. La pandemia ci ha mostrato quanto sia importante coinvolgere le persone con la scienza e nella scienza.
Quando parliamo di comunicazione scientifica, penso che dobbiamo pensare su una scala internazionale molto più ampia e condividere le nostre esperienze. So che molte attività di comunicazione e divulgazione scientifica si concentrano in paesi in cui esiste già una forte comunità scientifica, come gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Germania e così via, ma ci sono molti altri paesi in cui questo processo è ancora in fase iniziale, e sarebbe una buona pratica concentrare risorse ed energie anche lì. Dobbiamo aumentare le possibilità dei paesi che tradizionalmente non avevano accesso alla scienza, la Romania è uno di questi ma non è l’unico, ci sono molti altri paesi a cui mancano opportunità e risorse. Con l’aumento della globalizzazione e di persone che si trasferiscono a vivere in paesi diversi, dovremmo sforzarci di creare un mondo in cui la gente possa avere una simile esposizione e comprensione della scienza. Spero che potremo creare più reti per comunicare tra di noi e vedere cosa funziona in alcuni paesi e cosa funziona in altri.

Sandor Kruk, originario della Romania, ha studiato astronomia e astrofisica presso University College London e ha conseguito un dottorato in astronomia osservativa all’Università di Oxford, nel Regno Unito. Dopo una research fellowship all’ESA, adesso è ricercatore post-doc presso l’Istituto Max Planck per la fisica extraterrestre (MPE) a Monaco di Baviera, in Germania, e fa parte del team della missione spaziale Euclid. Esperto di citizen science e impegnato attivamente in molti progetti di didattica e divulgazione scientifica, collabora con la piattaforma Zooniverse ed è tra i fondatori del Romanian Science Festival.

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Scritto da

Claudia Mignone Claudia Mignone

Astrofisica e comunicatrice scientifica, tecnologa all'Istituto Nazionale di Astrofisica.

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