Universo Mondo Inclusione

Tra le stelle, pensando alle persone

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Primo appuntamento con la rubrica Universo Mondo, in cui ogni mese verranno intervistati scienziati ed esperti di didattica da tutto il mondo. Partiamo con Alan Alves Brito dal Brasile.

Aggiornato il 1 Dicembre 2021

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Alan Alves Brito
Il nostro primo ospite è un astrofisico poliedrico che studia le stelle con i piedi ben piantati a terra e per questo ama definirsi “astro-pologo”. Alan Alves Brito è originario di Feira de Santana, nello stato di Bahía, Nordest del Brasile, ed è professore presso l’Università federale del Rio Grande do Sul a Porto Alegre, capitale dello stato più a sud del paese. Alla ricerca sull’evoluzione chimica delle popolazioni stellari nella Via Lattea affianca l’insegnamento universitario, numerosi programmi di didattica e divulgazione e lo studio di questioni etnico-razziali e di genere nelle loro intersezioni con la scienza.

Cominciamo parlando del tuo percorso: come mai hai deciso di dedicarti, accanto alla ricerca, anche a molteplici questioni che riguardano il rapporto tra scienza e società?
Desideravo diventare un astronomo sin da quando avevo otto anni, quindi ho il privilegio di fare un lavoro che amo e che ho sempre sognato. È un privilegio essere un funzionario pubblico e lavorare per il popolo brasiliano come professore universitario. Oggi, dopo molti anni, il mio lavoro di astronomo è un lavoro con la testa tra le stelle, ma pensando alle persone. A volte scherzo dicendo che, oltre a essere astrofisico, sono anche “astro-pologo”.
C’è una bella canzone di Caetano Veloso, cantante brasiliano che certamente molte italiane e italiani conoscono, che dice: Gente é pra brilhar, não pra morrer de fome(1)In italiano: le persone devono brillare, non morire di fame. A me piace dire, con Caetano, che le persone sono come le stelle: devono brillare, non morire di fame.
Quando si diventa professori, in Brasile, non si può perdere di vista la responsabilità etica, perché viviamo in una società molto disuguale. La mia traiettoria personale è marcata da questioni di razza, di genere, di classe: sono il primo a frequentare l’università nella mia famiglia, formata da persone che non hanno avuto accesso all’istruzione formale. Io entro nell’università in un paese in cui la maggior parte dei professori sono bianchi, soprattutto uomini e “di buona famiglia”. Non arrivo da solo: la mia traiettoria personale è segnata da questi marcatori sociali, che io porto con me nella mia pratica e nella mia esperienza di astrofisico.

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L’Osservatorio astronomico dell’università a Porto Alegre. Crediti: Ricardo André Frantz – CC BY-SA 3.0 – via commons
Puoi raccontare alle lettrici e ai lettori italiani il contesto dell’astronomia in Brasile e quali sono le principali problematiche al momento?
La comunità astronomica brasiliana è piccola ma ampia e ben consolidata. Io sono stato membro del direttivo della Società astronomica brasiliana tra il 2018 e il 2020: siamo circa novecento persone, compresi gli studenti. Abbiamo tutte le principali aree di ricerca: astrofisica stellare, extragalattica, fisica del Sistema solare, strumentazione, didattica e divulgazione.
La comunità si è sviluppata a partire dagli anni Sessanta, e da allora ha avuto accesso a tempo di osservazione su telescopi e collaborazioni internazionali. Anche se modesta, è una comunità attiva, potente, con grandi centri di ricerca in alcune università. Certo, non tanti quanti ne vorremmo, tenendo conto che il nostro è un paese continentale. Ma la situazione in Brasile non è facile: manca un’agenda scientifica ben organizzata con un flusso costante di investimenti. Soprattutto negli ultimi anni, abbiamo avuto delle situazioni molto drastiche per quanto riguarda il pagamento delle borse degli studenti (e anche di alcuni professori) e molti progetti di ricerca ne hanno risentito.

In questo contesto, quali sono le principali sfide legate alla didattica e divulgazione scientifica, e dell’astronomia in particolare?
Il principale problema secondo me è la svalorizzazione della didattica e della divulgazione. Nella comunità astronomica (e scientifica) in Brasile manca una comprensione del loro ruolo nella società. Sono tutti d’accordo sulla necessità di fare didattica e divulgazione, e forse durante la pandemia qualcosa è migliorato, ma mancano i progetti, manca la valorizzazione di chi svolge questo ruolo. Io, per esempio, sono ricercatore all’università e mi dedico molto a queste attività: a volte ricevo critiche di colleghi che non valorizzano il lavoro svolto. Manca una maturazione da parte della comunità scientifica su questi temi. Dobbiamo organizzarci per poter svolgere queste attività in maniera professionale, serve una piattaforma di didattica e divulgazione scientifica a livello nazionale. Serve anche formare educatori e divulgatori, e per questo sono necessari investimenti: la nostra formazione in fisica e astronomia non prepara al lavoro in un planetario, in un museo, nei mezzi di comunicazione, sulle reti sociali.
Bisogna riconoscere l’importanza di questi ruoli, altrimenti non c’è modo di convincere la società ad appoggiare grandi progetti, come l’ingresso nell’ESO(2)L’adesione del Brasile all’ESO, approvata nel 2010, non è mai stata ratificata dal congresso, e i negoziati si sono interrotti nel 2018, ndr.
Cosa significa spendere miliardi di real(3)La valuta brasiliana, ndr per una collaborazione dedicata alla costruzione di telescopi e alla ricerca astronomica, in una società estremamente disuguale come la nostra? Ci vuole un progetto robusto di didattica e divulgazione, e siamo ancora lontani da questo. Pensa che meno del 20% degli insegnanti di fisica hanno la licenciatura(4)Laurea con specializzazione per l’insegnamento, ndr in fisica. È una tragedia: significa che la maggior parte delle persone, a scuola, non riceve una formazione decente in fisica e astronomia. I nostri colleghi astronomi capiscono l’importanza di tutto questo ma non fanno molto per cambiare le cose. Io credo che abbiamo ancora molta strada davanti a noi.

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Mappa del Brasile. Crediti: Aotearoa – CC BY-SA 3.0 – via commons

Ci parli dei tuoi progetti di didattica e divulgazione?
Negli ultimi anni mi sto dedicando alla didattica della scienza da una prospettiva interculturale: ho lavorato con le scuole quilombolas(5)I quilombos sono storiche comunità nere in Brasile, ndr e nelle comunità indigene, e ho ripensato alla didattica scientifica sotto una prospettiva di genere, pensando ai corpi esclusi – corpi femminili, neri, indigeni, LGBT.
Lavoro in modi diversi: ponendo le domande della scienza contemporanea, ma anche con questioni storiche e filosofiche, oppure usando i laboratori di astrofisica per sviluppare abilità e competenze come pensiero computazionale e intelligenza artificiale. E poi c’è la prospettiva culturale: cos’è la scienza in fin dei conti? Come possiamo riconoscere i saperi e le azioni che esistono nelle comunità quilombolas, nelle comunità indigene, nelle periferie brasiliane, la potenza scientifica e tecnologica che c’è in questi luoghi ma non viene riconosciuta, nella logica moderna, come produzione di conoscenza?
Per me non si tratta di negare la scienza ma di decolonizzarla: riconoscere che la scienza è umana, quindi collettiva, e che tutti dobbiamo prender parte a questo processo. La scienza è importante per lo sviluppo del pensiero critico, specialmente in una società diseguale come la nostra. Penso a Hannah Arendt: l’esercizio del pensiero critico è il punto di partenza per un’educazione interculturale ed emancipatoria, che permetta alle persone di vivere criticamente, prendere decisioni informate. Questo è il mio grande obiettivo. E poiché il Brasile è un paese razzista, nel processo di dialogo tra l’astronomia e le comunità nere, le comunità indigene, lavoro per una didattica dell’astronomia anti-razzista e anti-sessista.

Costellazione EMA
La costellazione dell’Ema, o Guirá Nhandu in lingua guaraní, della tradizione indigena brasiliana (in italiano: nandù comune, uccello sudamericano simile allo struzzo e all’emu australiano). Nella seconda metà di giugno, quando sorge subito dopo il tramonto, indica l’inizio dell’inverno per gli indigeni del Brasile meridionale e l’inizio della stagione secca per gli indigeni del Brasile settentrionale. Si trova nella regione del cielo limitata dalle costellazioni occidentali Croce del Sud e Scorpione, e comprende anche stelle delle costellazioni Mosca, Centauro, Triangolo Australe, Altare, Telescopio, Lupo e Compasso. Crediti: Germano Bruno Afonso (Telescópios na Escola, Rio de Janeiro, 2013)

Puoi spiegarci cosa sono i quilombos e in cosa consiste il tuo lavoro con queste comunità?
I quilombos sono comunità di lotta e resistenza nera in Brasile da secoli, e ancora oggi lottano per il diritto alla terra e alla cittadinanza. Sono un retaggio del sistema di schiavitù durato almeno 350 anni: le persone nere furono rapite, portate in Brasile e schiavizzate nel progetto di colonizzazione portoghese. Dopo l’indipendenza, c’è stata la liberazione delle persone schiavizzate il 13 maggio 1888: pensate come deve essere stato il 14 maggio per queste persone, che non avevano dove vivere, non avevano accesso alla terra. Per molto tempo è stato proibito loro l’accesso all’educazione formale. I quilombos sono quel che resta di questa lotta da una prospettiva ancestrale, ma in un certo senso anche le favelas, le grandi aree di povertà in Brasile, sono dei quilombos contemporanei.
Ho lavorato con scuole quilombolas a Porto Alegre, nel sud del Brasile, e adesso abbiamo un progetto di ricerca nazionale in cui stiamo analizzando queste scuole in tutto il paese. Il progetto si chiama “Zumbi-Dandara dos Palmares”, in omaggio a Zumbi, eroe nero del Quilombo dos Palmares, il più famoso del Brasile, diversi secoli fa, e Dandara, una delle donne che lottò con lui. Coinvolge professori e ricercatori di diverse aree – storia, geografia, pedagogia – insieme ai movimenti sociali e alle comunità quilombolas.
Lavoriamo in rete, costruiamo mappe del territorio – la questione quilombola è molto legata al territorio – e cerchiamo di capire come si costruisce e si rafforza il senso di identità a partire da questa prospettiva politica.
È un lavoro di dialogo – ci incontriamo spesso, anche ora con la pandemia, in modo controllato – e di analisi dati: qui porto gli strumenti e il modello di lavoro dell’astrofisica, l’analisi di big data, una prospettiva che manca nelle discipline umanistiche. Facciamo analisi statistiche di banche dati pubbliche sulla scolarizzazione, che nessuno sta studiando così, per mostrare quantitativamente che le scuole quilombolas non hanno internet, computer, accesso all’acqua, che mancano i professori, che c’è abbandono scolastico. L’obiettivo finale del progetto è la didattica della scienza, ma prima è necessario questo cammino di preparazione.

Come concili queste attività con il lavoro di ricerca e insegnamento?
Il modello universitario in Brasile offre grande libertà di creare cose nuove. Io tengo corsi, guido e supervisiono studenti di master e dottorato, e considero questo lavoro come parte della mia esperienza di ricerca, insegnamento e terza missione. I miei progetti di didattica e divulgazione coinvolgono studenti e dottorandi: è un processo formativo, noi portiamo qualcosa a queste comunità ma allo stesso tempo impariamo insieme a loro. Uno dei miei primi dottorandi ha appena completato la tesi, una ricostruzione storica della vita di Cecilia Payne(6)Astrofisica anglo-statunitense, ndr, un altro sta lavorando sulle questioni razziali.
Non sono un astrofisico solo per produrre articoli per Astronomy & Astrophysics, Astrophysical Journal o Monthly Notices of the Royal Astronomical Society (tre delle riviste più prestigiose in astrofisica, ndr). Sono un astrofisico che ha bisogno di lavorare con la didattica, la divulgazione, la cultura, l’arte: mi piace mischiare le discipline perché la mia testa è così, per via del mio percorso.
Io credo che l’università sia un luogo di creazione, e io so di star creando qualcosa di nuovo e importante in Brasile: un’educazione anti-razzista e anti-sessista, in un campo “arido” come l’astronomia. Come professori universitari abbiamo prestigio, veniamo ascoltati, e abbiamo il potere di creare nuovi curricula. Io uso l’astronomia culturale per parlare di razzismo scientifico, che è una pseudo-scienza ma è molto attivo nella politica pubblica: è quello che fa sì che la scuola pubblica, frequentata principalmente da persone nere e povere, rimanga così com’è.
Secondo me, la responsabilità più grande dell’università è la formazione di futuri scienziati e insegnanti. Non siamo solo supervisori: siamo mentori, formiamo persone. Se non lo facciamo noi, all’università, non cambieremo la società, soprattutto in un paese come il Brasile, in cui l’università non ha ancora il volto del paese, che è nero.

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Alan Alves Brito nella cupola dell’Osservatorio astronomico della UFRGS, a Porto Alegre. Sullo sfondo, il telescopio equatoriale Gautier del 1907.

Come viene recepito questo lavoro dagli studenti?
Gli studenti adorano questo tipo di lavoro. Le difficoltà principali sono con alcuni colleghi, soprattutto nel mio stesso dipartimento. In altri istituti e facoltà, in altre università, i colleghi riconoscono questo lavoro, e a livello nazionale è sempre più apprezzato: sono stato invitato per un progetto nazionale molto importante, l’anno scorso ho ricevuto un premio dall’Assemblea legislativa dello stato del Rio Grande do Sul per il mio lavoro di educazione antirazzista, e il mio libro Astrofísica para a educação básica: A Origem dos Elementos Químicos no Universo (in italiano: Astronomia per la formazione primaria: l’origine degli elementi chimici nell’Universo) è stato finalista al Premio Jabuti 2020, il più famoso premio letterario brasiliano.
Io non cerco questi riconoscimenti, ma mi rende felice lavorare con gli studenti, formarli alla consapevolezza delle disuguaglianze. Gli studenti sono il mio obiettivo principale: è la generazione che costruirà il Brasile di domani. È un progetto a lungo termine, stiamo piantando dei semi. Non mi interessa tanto l’oggi, ma in futuro sono certo che le persone leggeranno quello che scrivo e capiranno l’impatto di questi progetti sul modo di pensare della gente. Forse anche per questo c’è tanta resistenza.

Paulo Freire
Paulo Freire nel 1977. Crediti: Slobodan Dimitrov – CC BY-SA 3.0 – via commons
Questo mese si celebra il centenario della nascita di Paulo Freire, pedagogista brasiliano e teorico dell’educazione di fama mondiale. Qual è secondo te l’eredità di Freire oggi, in Brasile e nel mondo?
Paulo Freire è stato il più grande educatore brasiliano e uno dei più grandi pensatori del mondo: penso alla Pedagogia degli oppressi e soprattutto alla Pedagogia della speranza, un libro bellissimo. La prima volta che mi sono avvicinato alla sua opera, all’università, mi sono identificato subito nel suo discorso di educazione come liberazione, come emancipazione.
Nel mio dialogo con Paulo Freire, vale la pena menzionare che è stato molto influenzato dalle idee di Frantz Fanon, grande pensatore nero, in particolare nella Pedagogia dell’indignazione, uno dei libri meno conosciuti di Freire. Anche bell hooks ha fatto critiche molto interessanti al pensiero di Paulo Freire, in particolare sul concetto di empowerment – non so se si usa in Italia, ma è molto usato negli Stati Uniti e in Brasile. Non è un caso che la nostra politica attuale voglia distruggere la sua eredità. Ma non ci riusciranno: il suo è un pensiero resiliente, vivo, pulsante. Io uso molto le sue idee, sono molto originali.

Come usi la pedagogia di Paulo Freire, in particolare per quanto riguarda la didattica della scienza?
Per me la scienza è storica, localizzata nello spazio e nel tempo: è dinamica, non statica, e soprattutto è umana. L’umanizzazione della scienza è tutto nella pedagogia di Paulo Freire. La sua pedagogia è per esseri umani che hanno bisogno di essere emancipati attraverso il pensiero, attraverso un’educazione critica, di qualità, non un’educazione “bancaria” che li manipola. È proprio questo che cerchiamo nella scienza: persone critiche che non si lascino ingannare da fake news e teorie di cospirazione.
Nella nostra epoca, nel ventunesimo secolo, Paulo Freire è quanto mai necessario. Nel Brasile di oggi, dove stiamo vivendo una distopia, con una crisi sanitaria che ha sterminato mezzo milione di persone, la pedagogia di Paulo Freire è la pedagogia dell’utopia, della speranza: una speranza pratica, attiva.
Penso alla relazione tra teoria e pratica in Paulo Freire, e poi guardo alla scienza e vedo il nostro modo di lavorare con teoria e pratica, il modo in cui pesiamo gli esperimenti con la teoria. Per me è molto naturale portare Paulo Freire nella didattica della scienza.
Un’altra cosa importante che mi piace della sua pedagogia è la questione del dialogo: argomentare, dialogare è quello che vogliamo nella scienza per espandere e rafforzare le prospettive sul mondo. In fisica e astronomia, siamo assorbiti nel discorso della meritocrazia: Paulo Freire lo smantella completamente quando discute l’umanizzazione della scienza. Il razzismo scientifico ha disumanizzato i corpi neri, ha tolto loro l’umanità per schiavizzarli.
La mia didattica anti-razzista dialoga molto con Paulo Freire – anche se il suo focus non era la questione razziale, ma come dicevo fu molto influenzato da Fanon e dal pensiero nero. Certo era un uomo bianco, di buona famiglia, non proveniva dalle classi popolari, ma aveva grande attenzione verso gli altri. Mi piace molto la sua sensibilità.

Quali altri pensatori ti hanno influenzato?
Molti, soprattutto pensatori neri: ho già menzionato Frantz Fanon e bell hooks, e poi pensatrici e pensatori neri brasiliani come Beatriz Nascimento, Sueli Carneiro, Abdias do Nascimento, Muniz Sodré, autore di un libro molto bello, Reinventando a educacão(7)In italiano: Reinventando l’educazione. Anche il pensatore indigeno Davi Kopenawa Yanomami, che ha scritto un libro molto interessante, La caduta del cielo, sulla cosmologia del popolo Yanomami dell’Amazzonia. Mi hanno influenzato molto anche pensatori africani come Cheikh Anta Diop, che ha studiato fisica con Frédéric Joliot-Curie, genero di Marie Curie, e ha portato contributi interessanti alla fisica e alla matematica; Achille Mbembe, pensatore meraviglioso, che riprende molte idee già sviluppate qui in Brasile negli anni Settanta da Sueli Carneiro e Abdias do Nascimento; Kabengele Munanga, antropologo che vive in Brasile da molti anni. Mi piace anche Michel Foucault e la sua idea del potere.

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Copertina del libro per giovani adulti Antônia e a Caça ao Tesouro Cósmico
Per concludere, ci parli dei tuoi libri? Oltre a quelli già pubblicati, so che stai lavorando ad alcuni progetti nuovi: di cosa si tratta?
Ho già parlato del libro Astrofísica para a educação básica, finalista al Premio Jabuti 2020. L’anno scorso è uscito un libro di narrativa per giovani adulti, Antônia e a caça ao tesouro cósmico(8)In italiano: Antônia e la caccia al tesoro cosmico, in concorso al Premio Jabuti di questo anno: Antônia è una ragazza nera del Brasile profondo, e i suoi capelli custodiscono il segreto dell’universo – lavoro con l’idea dei capelli afro, su cui in Brasile esistono molti pregiudizi. Alla fine del libro c’è una storia per bambini più piccoli, di una sola pagina, che l’anno prossimo uscirà sotto forma di libro illustrato.
Entro fine anno dovrebbe uscire anche Kayodé: o caçador de historias(9)In italiano: Kayodé: il cacciatore di storie, un libro afrofuturista che divulga la cultura Yoruba, componente importante della cultura afro-brasiliana, insieme a elementi di divulgazione scientifica.
E ho appena pubblicato un nuovo libro, Astro-antropológicas, un e-book gratuito che uscirà presto anche in inglese. È una raccolta di riflessioni sul Covid-19, sulla natura della scienza, il ruolo delle donne e dei corpi neri, il colonialismo, l’intelligenza artificiale, in chiave antropologica. Come scriveva Claude Lévi-Strauss: L’antropologo è l’astronomo delle scienze sociali: il suo compito è scoprire un significato per configurazioni che, per la loro dimensione e lontananza, sono molto diverse da quelle alla portata immediata dell’osservatore. Il libro è un dialogo tra l’astronomia e le questioni africane, afro-brasiliane, indigene, di genere e LGBT, il tutto accompagnato dalle immagini APOD – Astronomy Picture of the Day.

Alan Alves Brito è originario di Feira de Santana, nello stato di Bahía, Nordest del Brasile, dove si laurea in fisica per poi spostarsi all’Università di San Paolo, nel Sudest del paese, e specializzarsi con master e dottorato in astronomia. Dopo vari post-doc in Australia, Cile e ancora in Australia, dal 2014 è professore presso l’Istituto di Fisica dell’Università federale del Rio Grande do Sul (UFRGS) a Porto Alegre, capitale dello stato più a sud del Brasile. Alla ricerca in astrofisica, incentrata sull’evoluzione chimica delle popolazioni stellari nella Via Lattea, affianca l’insegnamento a studenti di fisica, astrofisica e didattica della fisica, oltre a numerosi programmi di didattica e divulgazione scientifica e allo studio di questioni etnico-razziali e di genere nelle loro intersezioni con la scienza. Dal 2017 al 2020 è stato direttore dell’Osservatorio astronomico della UFRGS. È membro dell’Unione Astronomica Internazionale (IAU), per la quale rappresenta il Brasile presso l’Office for Astronomy Education e coordina il Portuguese Language Office of Astronomy for Development (PLOAD), e ha pubblicato diversi libri di divulgazione scientifica.

Note

Note
1 In italiano: le persone devono brillare, non morire di fame
2 L’adesione del Brasile all’ESO, approvata nel 2010, non è mai stata ratificata dal congresso, e i negoziati si sono interrotti nel 2018, ndr
3 La valuta brasiliana, ndr
4 Laurea con specializzazione per l’insegnamento, ndr
5 I quilombos sono storiche comunità nere in Brasile, ndr
6 Astrofisica anglo-statunitense, ndr
7 In italiano: Reinventando l’educazione
8 In italiano: Antônia e la caccia al tesoro cosmico
9 In italiano: Kayodé: il cacciatore di storie

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Scritto da

Claudia Mignone Claudia Mignone

Astrofisica e comunicatrice scientifica, tecnologa all'Istituto Nazionale di Astrofisica.

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