Aggiornato il 28 Novembre 2024
da una zuffa di gas
zuffa non zuppa allora
com’è possibile, come…
ma qui gli cadde di mano
quella penna di cigno
che seppure in ritardo
si addice ancora a un bardo.Eugenio Montale, in Tutte le poesie - Oscar Mondadori - Altri versi, 683
Ci prova, ma non gliela fa. Ci prova, il poeta laureato Eugenio Montale (laureato o laureando, visto che la datazione di queste poesie è incerta, ed è proprio a cavallo dell’assegnazione del Nobel, nel 1975), ma si arrende "“ gli cade di mano la penna, forse gli cadono anche le braccia, di fronte a questa immagine di sconsolata quotidianità che, però, ha la pretesa di descrivere nientepopodimeno che la nascita dell’universo. Dell’universo, dico, cioè di tutto. Dello spazio, del tempo, dei vuoti incommensurabili, di noi stessi, delle giraffe, delle stelle, degli staffilococchi: il nostro progenitore comune non è un dio e neanche un dio minore, ma una zuppa. Che fu anche una zuffa (di luce e particelle), ma zuffa all’interno di una zuppa, un mescolamento blobboso, un robo senza carisma o personalità , senza desiderio, senza slancio.
Mettetevi nei suoi panni: che può farci un povero bardo, già per conto suo alle prese con questo modesto pianeta, con gli scorni di chi crede che la realtà di quella che si vede, con questa descrizione, con questa metafora contadina colorata di incazzosità ? Forse il bardo si addormenta, forse ha un leggero sbandamento della coscienza. Fatto è che la penna di cigno cade, secondo le regole le regole assegnate a questa parte di universo, al nostro sistema solare, come canta il grande Franco Battiato, e i versi cessano. Zuppa "“ poesia 2-0 e partita chiusa.
È un Montale ben poco noto, quello degli Altri versi (in Montale, Tutte le poesie, Oscar Mondatori), ma che vale la pena di riscoprire. Sono versi pieni di splendida ironia, che lasciano immaginare un poeta che prova a confrontarsi con la cosmologia e le sue teorie, con l’esplorazione dello spazio. Senza riuscire però a innalzarsi in volo, come un albatro di baudeleriana memoria appesantito sì dagli anni, ma soprattutto da una scienza che non sembra appartenergli. E ne sorride, appunto, in modo sereno: come volevasi dimostrare, sembra sussurrare, scuotendo la testa.
Per circa un decennio, dalla fine degli anni ’60 e fino ai primi anni ’80, Montale si cimenta in una decina di componimenti brevi inspirati all’astronomia, che con le sue recenti scoperte era stata oggetto dell’esperienza letteraria delle Cosmicomiche dell’amico Italo Calvino. Montale scrive di Luna, quella fortunata Luna che si era staccata dalla Terra ma che, sfortunata ora, viene raggiunta dall’uomo. Scrive di altri pianeti, di vita extraterrestre, di Big Bang, di anni-luce, di stagnazione dell’universo. Ma sempre e soprattutto, torna a riferirsi alla condizione umana: alla tragica inutilità dei conflitti, alla felicità istantanea, ai patti di inimicizia stretti con il tempo che fugge, alla Natura indifferente delle cose.
L’aspetto “cosmico” è spesso sotto forma di dichiarazione o confutazione iniziale, per poi essere abbandonato rapidamente: per un’autoironica incapacità dell’autore, come nel caso che abbiamo visto, o per puro amore del paradosso: Amici, ci avverte,
non credete agli anni-luce / al tempo e allo spazio curvo o piatto. / La verità è nelle nostre mani / ma è inafferrabile e sguiscia come un’anguilla (…).
Nell’enormità comica del suggerimento iniziale (amici, non credete agli anni-luce!) e nella riduzione del contenuto di verità degli anni-luce a quello delle anguille, c’è tutta l’ironica valutazione che non sarà la scienza (non soltanto la scienza, non soltanto una definizione, non soltanto il ragionamento logico-deduttivo) a mostrarci la realtà , che è nelle nostre mani, perchè la realtà sguiscia come un’anguilla. Dai cigni alle anguille, ma il risultato non cambia.
Montale cerca il dialogo. Si interroga circa la propria capacità di leggere la scienza, di interiorizzarla e digerirla, tanto che vien voglia di interpretare queste esperienze poetiche come una vera e propria ripresa in poesia del progetto delle Cosmicomiche dell’amico Calvino.
Qualche elemento di contatto esiste: formale, per esempio nella dichiarazione scientifica iniziale tipica delle Cosmicomiche, nell’assoluta precisione dell’utilizzo della parola, nella natura “comica” dei componimenti "“ brevi, ironici, come episodi di una comics. E soprattutto nell’utilizzare lo spazio e la scienza per cambiare punto di vista, per osservare la Terra da un altrove sempre accidentale in sè, ma necessario come attitudine generale. Il cielo di Montale ricade sempre sulla Terra e la scienza diviene subito riflessione, acquistando un significato culturale che oltrepassa il linguaggio specialistico. Oggi, forse, lo chiameremmo pensiero critico.
A oltre trent’anni da questi (piccoli) esperimenti di Montale, è assai più frequente trovare spunti scientifici nella letteratura contemporanea. Ma certo la scienza non ha certo prodotto un così consistente rinnovamento di temi e argomenti di riflessione nè, a maggior ragione, a una sua rifondazione mitica dell’immaginario letterario, come proponeva Calvino. E sebbene un progetto del genere sia molto discutibile, rimane vero che la scienza continua a non rappresentare affatto un luogo comune (una strada, una piazza, un fornaio) a cui rivolgersi per attingere materia poetica. Mentre viviamo in un’epoca tecnologica, non viviamo ancora in un’epoca scientifica.
A voi, a noi, persone che hanno dedicato la vita all’impresa culturale, come direbbe il mio amico Luciano Bianciardi "“ amico sì, ma ahimè di sole letture e con il difetto di essere grossetano, dunque ostile a noi stirpe livornese "“ il compito faticoso ma divertente di cercare di colmare un divario che ancora esiste con i fatti e con le parole, parole piene di fatti. Cercando di non far addormentare nessuno, bardo o longobardo che sia.
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