Fra gli aspetti che mi hanno sempre lasciato “zanzaramente” infastidito della fisica studiata al liceo, quello che trovavo più insopportabile era il metodo sperimentale, che mi appariva prescrittivo, freddo e noioso. Senza farla tanto lunga, più o meno si trattava di una sequenza di fasi come queste:
- Identificazione e osservazioni di un fenomeno
- Scelta delle grandezze fisiche per la sua descrizione
- Ipotesi di lavoro
- Esperimenti ripetuti
- Raccolta dati (con gli strumenti giusti)
- Correzione o raffinamento dell’ipotesi di lavoro
- Deduzione della legge sperimentale
- Enunciazione della legge sperimentale
Naturalmente con la richiesta che il sistema fisico e il fenomeno ben identificati e gli esperimenti ripetibili. Questo mi pareva ragionevole. Ma quel che metteva a dura prova la mia pazienza, erano le grandezze fisiche. Mi pareva, infatti, che le grandezze fisiche fossero un catalogo ben definito, chiaro e a disposizione: la lunghezza, il tempo, la massa. Più una questione zoologica che altro. Ciascuna grandezza fisica, qualsiasi cosa significasse, era ben collegata a una serie di strumenti in grado di definirne la quantità. Il metro, il righello, il secondo, il chilogrammo. Bastava insomma aprire la credenza delle nostre grandezze fisiche, scegliere gli ingredienti (la grandezza e dunque lo strumento giusto per misurarla) e la faccenda era finita lì: il resto era una applicazione di un metodo che certamente avrebbe portato al risultato. Che barba, che noia, che barba! Sentivo zanzare ovunque.
Fino a un certo punto della mia vita da studente, non mi sono mai chiesto che razza di bestie siano le grandezze fisiche: oltre lo zoo del laboratorio, dove si trovano, dove vivono in Natura?
La folgorazione arrivò dopo, quando mi resi conto che alcune grandezze fisiche non sono affatto naturali. In molti casi non sono neanche biologiche, ma pericolosi “organismi modificati”. Intendo dire: mentre il tempo e la lunghezza si trovano apparentemente ovunque ti guardi intorno (il tempo esiste: il cuore batte, i bambini crescono, i genitori invecchiano; lo spazio esiste, lo occupiamo a nostra misura: piedi, mani, pollici), una grandezza fisica come la temperatura mi apparve subito sospetta: aveva l’aspetto di essere nata in cattività, dentro la nostra testa.
Intendiamoci, il fenomeno in sé è chiaro: tocchi due corpi, provi due sensazioni tattili diverse; chiami una delle due caldo, l’altra freddo. Poi li metti in contatto, aspetti un po’ di tempo, e quella diversità di sensazione scompare.
Poi però, tocca qui e là, decidi che esiste una grandezza fisica che risulta definita proprio dal raggiungimento di quell’equilibrio: la chiami temperatura e, contestualmente, ti procuri un terzo corpo di riferimento, che chiami termometro. Che roba eh? Dove sta in Natura questa grandezza fisica? Tutt’al più è un processo: non una grandezza. E non si trova certo allungando un braccio o ascoltando il battito del cuore.
Però funziona, quasi miracolosamente. Per esempio, tu accendi un fuoco sotto una pentola con un coperchio e aspetti che l’acqua si metta a bollire. Ti chiedi, come tutti, quanto devi aspettare: sarebbe la domanda più scontata per noi esserini con una estensione temporale, no? Nel frattempo, chiami un amico, fai 30 flessioni, ti appisoli. Il tempo impiegato a bollire varia a seconda del legno che usi o della pentola: 5 minuti, 7 minuti, 10 minuti. Dopo quanto bolle l’acqua? La domanda è naturale, ma porta poco lontano. La temperatura, invece, funziona molto meglio. La domanda diventa: a quale livello di temperatura l’acqua bolle? O, in termini un po’ più attuali: quando l’acqua bolle, con quale corpo deve essere in equilibrio? Che numero associ a quella temperatura?
Insomma, per farla breve, a questo livello di descrizione, la temperatura è un manufatto, un’invenzione tanto quanto una poesia: e descrive un’ampia classe di fenomeni.
Dalla temperatura in avanti, mi sono fatto l’idea che la fisica non sia esattamente quella che racconta di essere. Con gli anni ho capito che è davvero così, specialmente quando si parla di fisica di frontiera. E non mi sto riferendo ai nostri contemporanei, che cercano la strada fra un loop quantistico, un tachione e una brana. Mi riferisco al passato.
Prendi Galileo, a cui si fa risalire il metodo scientifico. Nell’estate del 1609, sente raccontare di un certo fiammingo che ha costruito un cannone occhiale, per mezzo del quale le cose lontane appaiono vicine. Il nostro non ha idea del perché ciò accada. A dire il vero, nessuno al mondo lo sa – almeno per quanto ne sappiamo noi oggi. E tuttavia si butta a provare: con le mani, insieme al suo Marcantonio Mazzoleni, si mette alla prova. Una prova dopo l’altra, riesce nel suo scopo, non solo: ci riesce tanto bene da essere in grado di vendere gli strumenti che costruisce a coloro che possono pagarli il giusto prezzo (secondo Galileo). Per esempio al Doge di Venezia che, in questo modo, può fornire alle sue navi uno strumento in grado di avvistare le navi pirata ben prima che i pirati avvistino la flotta. È l’inizio dell’era moderna. E della scienza come la conosciamo oggi.
Dove sta la fantasia? Dove la creatività? Lo so, passa quasi inosservato nel flusso del discorso. Fantasia, creatività, coraggio e follia stanno qui, lo ripeto: Galileo non sa perché il suo telescopio con le lenti ingrandisca gli oggetti osservati. Eppure funziona: perbacco, lo ha provato nel giardino di casa! E se funziona nel giardino di casa, perché non dovrebbe funzionare osservando la Luna! Dal giardino alla Luna, passando per i pirati.
Va detto: in quanto a salti logici, Galileo è un campione.
In linea di principio, questo atteggiamento oggi sarebbe inaccettabile: Ragazzi, ho inventato un oggetto che mi fa vedere cose che ribaltano la nostra concezione del mondo. Funziona! Guardate: ci vedo anche i pirati! Perché funziona, mi chiedete? Non ho idea!
Tutto questo, però, non è affatto per “parlar male” di Galileo. Ma per sottolineare che Galileo ha avuto una grande inventiva e un grande coraggio poetico: ha seguito in modo coerente la sua visione del mondo, attraverso la matematica e attraverso un gran lavoro.
Ma è soprattutto per evidenziare che la scienza, come anche l’arte e come ogni attività umana, viene fatta man mano che viene costruita: è soggetta a ingenuità, ad errori di giudizio, a errori concettuali e a suggerimenti.
Il metodo e le grandezze fisiche sono processi che cambiano nel tempo, altro che ricette o ingredienti! Quel che resta è la falsificabilità: non si può scientificamente affermare niente che non possa essere soggetto a controllo, presente o futuro, e che non possa essere smentito da un esperimento.
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