Lo spazio tra le pagine

Decidere di ripartire

La ricerca di un'amicizia nel cosmo (e molto di più), nel testo di un brano cardine dell'intera produzione musicale italiana.
Tu, tu che sei diverso
Almeno tu, nell’universo…

Il brano è famosissimo e viene pubblicato nel 1989, segnando il ritorno sulle scene di Mia Martini dopo un esteso periodo di inattività. Almeno tu nell’universo si aggiudica il premio della critica al Festival di Sanremo dello stesso anno e gode di un notevole (e direi, meritatissimo) successo di vendite.

Ragazza che ammira il cosmo dalla finestra, stile acquerello
“Tu che sempre ci sei, per me, in questo universo” Elaborazione dell’Autore attraverso Copilot Designer di Microsoft

Dietro questo successo c’è un brano delicato e bellissimo, scritto da due giganti della musica italiana come Maurizio Fabrizio (che ha anche collaborato con Angelo Branduardi per la sua Luna) e Bruno Lauzi (che non ha bisogno di alcuna presentazione). Intanto vi ricordo il testo, di una semplicità ingannevole perché profondissimo, poi ne parliamo.

Ciò che mi interessa qui, è che fin dal titolo compaia un riferimento allo spazio cosmico, con questo “universo” che si lega subito al “tu” di cui parla la canzone. Questi sono tempi privilegiati per una ripresa di amicizia con il cosmo, per accorgerci intanto che l’universo esiste, è bello e ci conviene conoscerlo. Comunque la si voglia intendere (ed è gustoso intenderla a mente fresca, senza dover per forza caricare in memoria tutto il proprio vissuto o tutta la tradizione), una stella cometa (anche se astronomicamente dovremmo chiamarla in modo diverso) entra nel nostro orizzonte, buca i nostri universi statici – i cieli fissi di preoccupazioni, paure, esitazioni ed altre incrostazioni mentali – con una prospettiva di buon augurio, di buone notizie, di una possibile (ri)nascita. Per tutti.

Un tuffo nel tempo

Indietro veloce, ora. Tuffo in giù, fino a lambire il bordo superiore degli Ottanta. Momenti di grande fermento, per ogni tipo di universo. Proprio nel 1989 nasceva l’idea del World Wide Web ad opera di Tim Berners-Lee e collaboratori, al CERN di Ginevra. Nello stesso anno veniva lanciata la sonda Galileo con l’obiettivo di studiare in dettaglio Giove e le sue Lune. Sonda che sarà un successo clamoroso e ci restituirà una grande quantità di foto dettagliate. Intanto la Voyager 2 – oggi ancora in attività, come sappiamo – raggiungeva il punto più vicino a Nettuno, mostrando in modo inequivocabile la presenza – anche intorno a questo pianeta – di un elegantissimo sistema di anelli.
E non è ancora tutto, per quell’anno. A novembre veniva lanciato il satellite COBE, con l’obiettivo di studiare lo spettro della radiazione cosmica di fondo, alla ricerca di microscopie irregolarità: tali lievissime “increspature” in questo mare piatto a qusi 3 gradi Kelvin erano già previste dalla teoria di formazione delle galassie, ma non si erano ancora trovate. Sarà proprio COBE ad individuarle, dandoci la preziosa indicazione che la strada era giusta (e per questo, due tra i principali ideatori e realizzatori del satellite, John C. Mather e George F. Smoot, ricevettero il Premio Nobel della Fisica nel 2006).
Quindi l’universo – o meglio gli universi, da quello fisico a quello delle comunicazioni – erano in fase di cambiamento, oppure (meglio) eravamo noi a cambiare il modo con il quale li guardavamo. Ma queste cose dovevano ancora maturare nella coscienza collettiva.

Punti nell’universo

La canzone di Lauzi e Fabrizio, interpretata magistralmente da Mia Martini, innesta infatti – e felicemente – la cosmologia più classica (sopratutto, la teoria della gravitazione) all’interno della dinamica dei sentimenti, muovendosi in quello spazio unico tra persona e cosmo, presentito già da molti ricercatori del sacro e della natura umana (celebre la frase del grande psicologo C. G. Jung, La nostra psiche è costituita in armonia con la struttura dell’universo, e ciò che accade nel macrocosmo accade egualmente negli infinitesimi e più soggettivi recessi dell’anima), ma ancora lontano dalla consapevolezza comune.

Il punto focale rimane attualissimo ancora oggi, soprattutto adesso: l’universo si accende perché esiste un “tu” a cui rivolgersi, un tu che depotenzia – e a volte perfino, annulla – la nostra costitutiva solitudine. Siamo nel periodo del Natale, alcuni potrebbero voler volgere il tu elevandolo al maiuscolo: Tu. A vostro piacere, il farlo o meno: il discorso si reggerebbe comunque benissimo. Non è infrequente che il tu delle canzoni ammetta e faccia coesistere più significati: le canzoni sono polisemiche per costituzione.
Il vero punto di fuga del testo è il passaggio da mondo ad universo. Avverto una spinta ascendente potentissima. La gente segue il mondo ciecamente perché il mondo è ancora ed appena un mondo orizzontale, la gente è cieca anche perché non guarda in alto, è dunque inevitabilmente schiava delle dinamiche mondane più spicciole e commerciali: quando la moda cambia, lei pure cambia.
Nel tragitto possibile verso la rassegnazione ad una vita in bassa frequenza c’è però, appunto, un felice incidente, un intoppo, uno strappo, un’apertura. Tu, tu che sei diverso, almeno tu nell’universo. Mi rivolgo all’universo e non lo vedo più come vuoto e freddo, perché scorgo un tu che è altra cosa rispetto alle logiche tecno-commerciali del mondo. È un almeno tu, ma un almeno tu capace di cambiarmi la vita.
Inoltre, è un punto che non ruota mai intorno a me, ma io ne sono (paradossalmente?) contento. Così sono più libero e apprezzo meglio la libertà altrui (e la mia). Mi posso finalmente rilassare, non sono più io il centro di gravità permanente (per dirla con il Battiato de La voce del padrone), per cui se ci incontriamo, in questo cosmo amplissimo ed abbondante, è per un atto libero e volontario, per un desiderio accolto e custodito, coltivato: non certo per una gravitazione obbligata.
Così, può apparire strano che questo punto che non ruota mai intorno a me, è anche un sole che splende per me soltanto / come un diamante in mezzo al cuore. Sono versi che fanno venire i brividi. Per la loro carica di verità. Perché il sollievo dalla solitudine è questo sole che è – che io avverto – interamente per me. Riemergere dalla sperdutezza è infatti in una voce che chiama me, interamente devota a me, che mi ama senza compromessi e senza distrazioni. Questo ci dice il cuore.
Ed il sole è un astro nel cielo ma anche, allo stesso tempo, qualcosa che brilla dentro la mia persona, dentro la mia carne e io lo porto con me e tutto diventa diverso, perché sono transìto (passando attraverso un buco bianco interiore magari) in un altro universo: più sano, più saldo, più limpido e luminoso. Oscillo continuamente tra questo e l’universo più opaco, più consueto: è vero. Eppure, riprendendo consapevolezza di quel diamante nel mio cuore (l’angolo santo del cuore, lo chiamerà poi Fossati in una canzone bellissima e straniante, Last Minute) posso sempre tornare, o almeno, ritentare il passaggio.
L’augurio per me e per tutti, in questi ultimi giorni dell’anno, è di decidere di ripartire ogni giorno, ripartire dalle lande desolate dove può capitare di svegliarci al mattino, verso il calore di questa stella, lo splendore di questo diamante. E che la strada sarà giusta, ce lo diranno non tanto i brillanti ragionamenti o le ineccepibili equazioni, ma (solo) il nostro cuore palpitante.

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Scritto da

Marco Castellani Marco Castellani

Ricercatore presso l'Osservatorio Astronomico di Roma. Si interessa di popolazioni stellari ed è nel team scientifico del satellite GAIA di ESA. Divulgatore e scrittore per passione, gestisce da anni il blog divulgativo Sturdust.blog (già  GruppoLocale.it) e coordina il progetto Altrascienza.it.

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