Cronache dalla scuola Gli Astroviandanti Arte e letteratura

Che cos’è per me la comunicazione?

L'astroviandante Elena Barosso condivide con noi alcune considerazioni sulla comunicazione della scienza, tra Gianni Rodari e Piccolo Principe.

Aggiornato il 21 Luglio 2021

piccolo_principe-coverIl 29 luglio 2020 l’INAF di Padova ha organizzato uno spettacolo molto inusuale: ha permesso a un centinaio di persone di visitare, tutte insieme, la Specola, sede dell’osservatorio astronomico. Manca un dettaglio: tutte queste persone erano sedute in un giardino lì vicino, rigorosamente a distanza, ed esploravano il museo guardando un video trasmesso in tempo reale da un astronomo che si arrampicava su per la torre attraverso le varie stanze, fino a sbucare sul terrazzo per osservare Giove e Saturno. Io ero lì, tra quelle persone, che prendevo appunti per scrivere un articolo sull’evento, articolo che sono riuscita a scrivere solamente oggi, 11 Febbraio 2021. Sapevo a che domanda volevo rispondere, “che cos’è per me la comunicazione?“, ma non riuscivo a trovare una risposta che potesse trasmettere in modo efficace le idee che avevo in testa. L’ho finalmente trovata ne Il piccolo principe di Antoine De Saint-Exupéry e in una poesia di Gianni Rodari, Un signore maturo con un orecchio acerbo.
L’incontro a Padova mi ha fatto riflettere su un punto fondamentale, e cioè che la distanza non impedisce la comunicazione. Lo sappiamo, lo sperimentiamo in continuazione: riusciamo a trasmettere non solo immagini e video provenienti da altre parti del mondo, ma anche da altre parti del Sistema Solare stesso. E poi puntiamo i nostri telescopi al cielo, osserviamo e scrutiamo lontano, e la luce, dopo aver viaggiato per anni, ci racconta ciò che ci circonda.
Pensandoci meglio, però, ci sono altri tipi di distanze, che invece rendono la comunicazione un mestiere veramente difficile. Molte volte ci è stato detto, anche nelle interrogazioni a scuola, di “spiegare gli argomenti come se li stessimo raccontando a un bambino“: è interessante, no? Per fare una buona comunicazione ed essere davvero capiti, dobbiamo pensare di parlare a un bambino: un essere distante non in senso spaziale, ma temporale (ecco, non sarebbe stato un mio articolo se non avessi parlato di tempo).
Questa, però, non è ancora la risposta alla mia domanda: “che cos’è la comunicazione per me?“.
Comunicare, a mio avviso, significa ascoltare e rispondere a delle domande. Ma se una strategia per comunicare bene è quella di immaginare di raccontare queste risposte a un bambino, per me significa che si può mettere lo stesso impegno anche nell’azione che precede la risposta, e cioè l’ascolto della domanda: una delle difficoltà a mio avviso più grandi, perché non necessariamente la domanda viene fatta. Ma quindi, a questo punto, cosa significa “ascoltare“? Credo che abbia un significato molto profondo: vuol dire mettersi sullo stesso piano di chi ci sta parlando o domandando qualcosa, eliminare le distanze e pensare a chi ascolta a sua volta: ai suoi sentimenti, alle sue debolezze, al suo modo di elaborare le informazioni per poi farle sue. Questo poi non significa rispondergli con quello che vuole sentirsi dire, ma nel modo di cui ha bisogno. Antoine De Saint-Exupéry nella sua preghiera L’arte dei piccoli passi dice:

Non darmi ciò che desidero, ma ciò di cui ho bisogno

Non è così semplice, vero? Raggiungere i mondi di persone a noi estranee. Sono, però, dell’idea che, se non ci fossero questo contatto e questo ascolto preliminare, la comunicazione rischierebbe di ridursi a una mera trasmissione di informazioni.
Ne Il piccolo principe l’autore ci trasmette non solo una grandissima malinconia, ma anche proprio la grande difficoltà che gli adulti trovano nell’ascoltare i bambini, oppure la grande difficoltà che i bambini incontrano nell’essere ascoltati dagli adulti: “I grandi non capiscono mai niente da soli, ed è faticoso, per i bambini, dovergli sempre spiegare tutto. Insomma, se per me una delle strategie per fare buona comunicazione è immaginare di spiegare i concetti a un bambino e quindi imparare anche ad ascoltare il bambino a cui vogliamo rispondere, anche quando non ci fa domande, la chiave allora è non dimenticarsi com’era essere bambini. E tutti noi lo siamo stati: “tutti gli adulti sono stati bambini, prima“, un po’ come i baobab(1)I baobab, prima di diventare grandi, cominciano con l’essere piccoli da Il piccolo principe, “ma pochi di loro se lo ricordano“.

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1 I baobab, prima di diventare grandi, cominciano con l’essere piccoli da Il piccolo principe

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