Cronache dalla scuola INAF Covid-19 e luce ultravioletta Interviste PCTO

Covid-19: Intervista a Giorgia Sironi

Aggiornato il 18 Giugno 2021

In questa serie di articoli vi proponiamo cinque videointerviste con trascrizione condotte dalle studentesse Sofia Longhi ed Eleonora Codara ai ricercatori e ai tecnologi dell’Osservatorio di Brera nella sede di Merate nell’ambito di un progetto PCTO di comunicazione della scienza via web. Le interviste vogliono aprire una finestra sui progetti legati al Covid-19 nati e in fieri nel nostro osservatorio.
Oggi vi presentiamo l’intervista a Giorgia Sironi, intervistato dalla studentessa Eleonora Codara che ha frequentato la classe 3Bs al Liceo M.G. Agnesi di Merate (LC) – Tutor scolastico: Prof.ssa Lorella Villa – Tutor OAB: M.Rosa Panzera.

Ciao a tutti!
Sono Eleonora e sto partecipando al progetto di alternanza scola-lavoro all’Osservatorio Astronomico di Brera, presso la sede di Merate. Ho frequentato la terza liceo scientifico del liceo Agnesi di Merate. E oggi intervisteremo Giorgia Sironi: ciao Giorgia, grazie di essere qui con noi.

La prima domanda che volevo farti è: di cosa ti sei occupata all’interno del progetto di inattivazione del coronavirus coi raggi ultravioletti?

Mi sono occupata principalmente di capire quale sia la soglia di inattivazione che si può ottenere con la dose emanata dai raggi solari. È noto che le lampade UV sono germicide e quindi sterilizzanti, in grado di uccidere virus di qualunque tipo perché l’UV-C, che è una banda specifica ad altissima energia dell’UV, interagisce con i nucleotidi e quindi smonta il DNA e l’RNA, rendendoli incapaci di riprodursi e quindi di diffondersi come malattia. Questa parte dello spettro così intensa esiste nella radiazione solare, ma non arriva a terra e per fortuna – aggiunge sorridendo – perché per noi sarebbe estremamente dannosa. Questa parte di radiazione viene assorbita completamente dall’atmosfera. Bisogna però cercare di capire quanto pesa la parte di radiazione UV che passa, quindi di UV-B e UV-A (che in genere interessa per problemi di abbronzatura e protezione della pelle in esposizione al sole) rispetto a quella dell’UV-C.
Se per uccidere il virus con UV-C basta l’esposizione di frazioni di secondo, in realtà con qualche minuto di esposizione agli UV che attraversano l’atmosfera si può comunque ottenere una capacità di inattivazione del virus molto elevata. Questa intensità, però, dipende dalla posizione del Sole (ed è qui che ha avuto una parte interessante anche INAF, poiché riguardava proprio la correlazione con l’emissione di un oggetto celeste). In dipendenza dall’altezza del Sole l’atmosfera assorbe più o meno: quindi d’estate, quando il Sole è alto, si ha una radiazione molto più intensa e una capacità di uccidere il virus più elevata rispetto all’inverno. Quest’effetto sembrerebbe essere capace di modulare la diffusione di tutte queste malattie virali che si diffondono per inalazione, quindi tipicamente le sindromi respiratorie come il Covid, ma anche l’influenza.
Un fatto molto interessante è che non è mai stato spiegato il perché l’influenza sia, come tutti sappiamo, stagionale. Compare nell’emisfero nord durante il nostro inverno, nell’emisfero sud durante il loro inverno: la correlazione con la stagione è quindi molto chiara, ma non c’è una spiegazione fisica perché tipicamente gli studi cercano di correlarla con una spiegazione ambientale, cioè con la temperatura e l’umidità. E’ vero che queste epidemie sono correlate con la temperatura (difatti in inverno fa freddo e c’è l’influenza, d’estate fa caldo e non c’è), però la temperatura non ha una spiegazione fisica sul perché dovrebbe uccidere il virus. Per esempio questo tipo di virus è stato visto essere resistente anche a temperature di 50 o 70 gradi che non sono le temperature della variazione estate-inverno. D’altra parte è certo che l’UV uccide il virus ed è certo che in estate ce n’è di più che in inverno.
E’ complicato capire esattamente quanto, perché servono dei dati fatti apposta per questo tipo di studio.

E come si potrebbero ottenere questi dati?

Per esempio per lo studio che abbiamo pubblicato abbiamo preso dei dati da un insieme di satelliti, un progetto dell’ESA che si chiama TEMIS e che ha un archivio dati molto grande. Quindi questi sono già dei dati UV veri, però non sono ancora in grado di spiegare esattamente la quantità di dose a terra perché sono basati sull’irraggiamento del Sole fuori dall’atmosfera, quindi quello noto, e misurano solo la colonna di ozono. La colonna di ozono, misurata in varie latitudini e in vari momenti dell’osservazione, è quella che assorbe la radiazione più intensa ultravioletta del Sole, quindi l’UV-C che è quello che sappiamo uccidere i virus.
Tuttavia, a seconda di tutta un’altra serie di fattori della bassa atmosfera, quindi meteo, umidità, nuvole, pioggia, pulviscolo, inquinamento, la radiazione UV può essere schermata di più o di meno. Manca però la fettina di dati sullo spostamento della soglia di energia più alta che arriva a terra, che è tra i 295nm e 300nm, dal momento che l’effetto è molto ripido e quindi se ci si sposta di pochissimo – verso i 295nm – l’effetto UV che uccide il virus è molto grande, se invece ci si sposta leggermente verso i 300nm è molto più piccolo. Innanzitutto bisognerebbe misurarlo direttamente da terra, perché è molto sensibile.
Fare la stima solo con i dati da satellite e la misura della colona di ozono è difficile, esistono quindi dei modelli per questo spostamento che però non possono tenere conto dei fattori locali. Per esempio la nebbia, che c’è spesso qui da noi in Lombardia, non è certo compresa in questo tipo di modelli: un dato a terra sarebbe molto più significativo.
Poi tipicamente vengono salvati solo dati integrati, quindi il totale in una banda molto grande che non permette di andare a vedere quello che succede in quella piccola fettina di spettro che serve. Questo viene fatto sia probabilmente per mole di dati, sia perché l’interesse che si ha tipicamente verte sul danneggiamento del DNA per i tumori della pelle, sulla stimolazione della vitamina D, oppure sugli eritemi e quindi viene salvato un dato già trattato. Se si ha bisogno di trattarlo per una cosa specifica diversa ci si trova in difficoltà. Quindi abbiamo deciso di preparare una campagna di misure direttamente a terra. Ci sono degli istituti che hanno già degli spettrofotometri e altri che, come noi, se li procureranno. Prendere le misure localmente da terra sarebbe molto interessante.

Qual è la parte di questo progetto che hai trovato più interessante?

Il fatto più curioso che ho trovato in questo progetto è la ricerca di tutti questi dati di cui uno pensa “figuriamoci se non ci sono, basta cercarli” per poi scoprire che invece questo specifico dato non è facile da trovare, perché si salvano solo i dati che servono a qualcosa. Anche se la strumentazione per acquisirli è presente, se questo dato non è considerato utile a un fine specifico, solitamente non viene salvato.
Ci sono anche altre correlazioni, oltre che con la medicina. Per esempio questo tipo di caratterizzazione UV viene fatto anche per i pannelli solari. Tuttavia anche per i pannelli solari di solito si considera l’efficienza a partire dai 300nm in poi. E anche tutti quelli che studiano i pannelli solari (adesso stiamo tentando di fare un progetto in collaborazione con l’ENEA su questo) partono a misurare da 300nm. Manca proprio quella briciolina che semplicemente non si pensava che servisse e quindi non veniva salvata. Questa è la cosa più curiosa che ho trovato – ribadisce ridendo – ed è anche un dato facile da ottenere e sarà interessante perché a breve si può fare un esperimento e vedere cosa viene fuori. Magari viene fuori che la modulazione che si vede in questo effetto non è molto diversa da quella dei dati da satellite e allora l’effetto è molto significativo, perché si vede nei dati da satellite (che appunto hanno già tutte le imprecisioni di approssimare e di non tener conto dei fattori locali) che, mentre in inverno per inattivare il virus in aria ci vogliono 40 minuti o ore (e quindi sarebbe irrilevante per l’effetto che c’è), in estate bastano pochi minuti.
E visto che i droplet, quindi le goccioline di saliva di quando si parla, rimangono in aria per tempi-scala più lunghi, effettivamente già con i dati da satellite si vede che tra estate e inverno l’UV può impattare sulla velocità di diffusione del virus. Se poi misurando da terra la variazione della soglia, dal momento che si sa che quella soglia si sposta e dovrebbe spostarsi a favore (quindi in estate ha più effetto e in inverno meno), fosse ancora più accentuata, sarebbe davvero significativo. Questa stagionalità adesso è stata cercata per vedere se il Covid fosse stagionale o meno. Qualcuno riteneva che non lo fosse perché a marzo non era ancora sparito.
In realtà se il coronavirus ha una soglia di inattivazione diversa rispetto a quella dell’influenza può essere stagionale e sparire un po’ dopo e comparire un po’ prima. Tutto può essere. Il tempo per cui una persona rimane infetta e può contagiare gli altri è molto diverso da quello dell’influenza. Poi, anche qui, i tempi possono variare. Tutto sommato, però, è possibile che abbia una stagionalità.
Capire su quale soglia e quindi magari poter pianificare in maniera un po’ più efficacie tutti i lockdown e la ripresa delle attività sarebbe parecchio utile. Poi se uno riuscisse a spiegare perché l’influenza è stagionale, che è una questione credo aperta da secoli – aggiunge ridendo -, sarebbe veramente molto interessante.

Ti ringrazio molto per essere stata qui con noi oggi e ti auguro una buona giornata.

Anche a te.

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Scritto da

Eduinaf Avatar Autori Maria Rosa Panzera

Osservatorio Astronomico di Brera

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