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Un sogno diventato realtà: comunicare il telescopio spaziale Webb

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Come funziona la comunicazione di una missione spaziale come JWST? Scopriamolo con Nathalie Ouellette, astrofisica e divulgatrice scientifica.

Aggiornato il 11 Maggio 2023

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Nathalie Ouellette

Questo mese andiamo in Quebec, provincia francofona del Canada, dove incontriamo Nathalie Nguyen-Quoc Ouellette, astrofisica e divulgatrice scientifica che, tra i suoi tanti ruoli, è fortemente coinvolta nella comunicazione del più grande osservatorio spaziale mai costruito: il James Webb Space Telescope (JWST).

Come d’abitudine in questa rubrica, iniziamo parlando di te e del tuo lavoro…
Sono un’astrofisica all’Università di Montreal, dove occupo diversi ruoli. Sono vicedirettore del Trottier Institute for Research on Exoplanets: gestisco il programma di divulgazione ma anche l’istituto stesso – assunzioni, budget e finanze, aiuto con il reclutamento, il programma di tirocinio estivo. Sono anche vicedirettore dell’Osservatorio Mont-Mégantic, dove gestisco le operazioni per il più grande telescopio professionale nella parte orientale del Nord America. Oltre a questo, sono Outreach scientist per il James Webb Space Telescope in Canada.

Wow, quanti ruoli! Cosa ti ha portato a questa posizione?
Ho conseguito il dottorato di ricerca presso la Queen’s University di Kingston in Ontario, Canada, studiando la formazione e l’evoluzione delle galassie. Durante il dottorato, gestivo anche l’osservatorio del campus e dopo un po’ anche l’intero programma di divulgazione astronomica. È stato allora che mi sono davvero innamorata della divulgazione, quindi dopo il dottorato ho deciso di cercare un lavoro nel campo della comunicazione scientifica e così sono finita qui.

Come fai a gestire tutti questi ruoli allo stesso tempo?
Per fortuna c’è molta sovrapposizione. L’istituto di ricerca dove lavoro impiega molte persone che lavorano anche all’osservatorio; l’osservatorio ha anche un laboratorio di astrofisica sperimentale che costruisce strumenti, e uno degli strumenti costruiti lì era lo strumento canadese di Webb. Quindi è logico che molti di noi siano coinvolti in due o anche tre di questi progetti contemporaneamente, ma è una mole di lavoro immensa.
Riesco a gestire tutto perché sono molto appassionata e non mi dispiace fare tutto il possibile, anche di più. Ho sempre desiderato diventare un’astrofisica ed essere coinvolta in Webb è un sogno che si avvera! Sono anche brava a fare multitasking, questo mi aiuta molto, e ho un team fantastico che mi ha aiutato a gestire tanti di questi progetti.

Dicevi che hai sempre sognato un lavoro come questo. Parliamone…
Quando ero più giovane, mi è sempre piaciuta la scienza ma anche leggere e insegnare. Nel mio gruppo di amici, fingevamo di essere a scuola e io facevo sempre l’insegnante. È qualcosa che mi è sempre venuto naturale. Ho anche fatto un po’ di teatro, quindi mi piace stare di fronte alla gente e mettere in scena uno spettacolo.
Nei primi anni di università, pensavo che sarei diventata una ricercatrice: il mio sogno era essere una professoressa con il suo gruppo di ricerca. Poi, durante il dottorato, ho capito che amo la ricerca ma non mi piace il fatto che bisogna pubblicare a tutti i costi o si rischia di perdere il lavoro: trovo molto stressante la mentalità del “pubblica o muori”. Ero una brava ricercatrice ma penso di essere ancora migliore come comunicatrice e sentivo che avrei potuto servire meglio la comunità in quel tipo di ruolo. Sono anche un’ottima organizzatrice e manager, altre persone sono più brave di me nella ricerca e possono occuparsi di quella parte, mentre io posso aiutare usando i miei migliori talenti naturali.

Potresti fornire qualche elemento di contesto per i nostri lettori sulla comunità astronomica in Canada?
C’è la società astronomica canadese, chiamata CASCA: Canadian Astronomical Society in inglese, o Société canadienne d’astronomie in francese, perché siamo bilingui. Siamo circa 400-500 membri, inclusi molti dottorandi. È una comunità relativamente piccola, soprattutto a confronto con gli americani, che sono almeno dieci volte più numerosi. Ma è una cosa bella, perché i nostri incontri annuali sembrano più una riunione di famiglia che non il gigantesco tsunami dell’American Astronomical Society.
Il Canada fa parte di molte collaborazioni internazionali ed è coinvolto in grandi missioni scientifiche, sia osservatori a terra che astronomia spaziale. E ci piace sempre ricordare che, pro capite, gli astrofisici canadesi sono i più citati al mondo.

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L’Osservatorio di Mont-Mégantic vicino Montreal, in Quebec (Canada)

Parliamo della partecipazione canadese a JWST.
Webb ha quattro strumenti e uno di essi, il Fine Guidance System (FGS)/Near-InfraRed Imager and Slitless Spectrograph (NIRISS), è fornito dalla Agenzia spaziale canadese (CSA). Il principal investigator dello strumento canadese è il direttore sia dell’osservatorio che dell’istituto di ricerca dove lavoro presso l’Università di Montreal, quindi siamo il cuore accademico di Webb in Canada. Ci occupiamo anche tanto di divulgazione, ovviamente insieme all’Agenzia spaziale canadese, lavorando anche a stretto contatto con la NASA e l’ESA.

Secondo te, perché JWST è così speciale?
È una missione fantastica per il mondo intero. È il tipo di telescopio che si può avere solo una volta in una generazione e sotto questo aspetto è davvero il successore di Hubble, anche se ha molte somiglianze anche con Spitzer. Purtroppo Spitzer non era così conosciuto dal pubblico. Io adoro Spitzer, è stato il primo telescopio spaziale che ho usato nella mia carriera. Ma Webb ha davvero il potenziale per catturare l’immaginazione della popolazione.

Quali sono le sfide principali nella comunicazione di JWST?
Penso che ci siano due sfide principali. Da un lato, cos’è l’infrarosso, che significa? Webb è una missione che osserva nell’infrarosso e questo apre alla popolazione un argomento tutto nuovo: lo spettro elettromagnetico. L’altro fatto, che è una sfida anche maggiore, è che gran parte della scienza di JWST sarà nella spettroscopia, quindi bisogna spiegare alle persone che scomponiamo la luce per trovare informazioni segrete lì dentro. Queste sono sfide ma allo stesso tempo possiamo usarle come doni per insegnare cose nuove alla popolazione.

Ricevete spesso domande sul costo della missione?
Sì, alcune persone ci chiedono: perché spendere 10 miliardi di dollari per un telescopio spaziale quando sulla Terra accadono tante altre cose brutte? In realtà è un investimento davvero piccolo in relazione ad altri, se pensiamo ai budget militari, ma finisce per avere così tanti impatti positivi attraverso l’ispirazione che porta alla popolazione.
Unisce le persone, incoraggia i giovani a intraprendere carriere scientifiche, il che è positivo per la società, e poi può avere spin-off molto interessanti e inaspettati. Ad esempio, la tecnologia utilizzata per ricoprire gli specchi di Webb è stata utilizzata in campo medico negli interventi chirurgici agli occhi. La gente non si rende conto di come l’astronomia abbia fornito molti comfort della nostra vita quotidiana, come il Wi-Fi, le fotocamere degli smartphone o il GPS. Questo perché facciamo cose molto difficili che ci spingono ad andare oltre, costringendoci a inventare nuove tecnologie che alla fine riusciamo anche a utilizzare per scopi benefici sulla Terra. Io credo che sia davvero un buon investimento.

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Nathalie Ouellette con il telescopio spaziale James Webb presso Northrop Grumman a Redondo Beach, California nel 2019.

Parliamo del tuo ruolo di JWST Outreach scientist per il Canada. Come funziona il coordinamento con i partner internazionali e poi la divulgazione a livello locale?
Di solito sono la NASA e lo Space Telescope Science Institute (STScI) a guidare la produzione di comunicati stampa e immagini. Ogni volta che arriva qualcosa di nuovo dalla NASA o da STScI, è nostro compito diffonderlo in Canada. Il mio ruolo in questi casi è di essere disponibile per le interviste e rispondere alle domande dei giornalisti. A volte il flusso va anche nella direzione opposta: se lo strumento canadese fa qualcosa di molto interessante o un team di astronomi canadesi ha un nuovo risultato, allora può succedere che siamo noi a guidare il comunicato stampa o in ogni caso veniamo consultati durante il processo per aggiungere la prospettiva canadese.
In media faccio circa due presentazioni a settimana per le scuole o per il pubblico, raggiungendo decine di migliaia di persone all’anno. E poi supporto anche gli scienziati canadesi nel rapporto con i media. Non tutti gli scienziati hanno esperienza nel parlare ai giornalisti: alcuni sono nervosi o timidi, hanno paura di sbagliare o non sanno su cosa concentrarsi. Così aiuto i miei colleghi fornendo presentazioni e animazioni, e anche molti consigli su come comportarsi durante le interviste.

Qual è la percezione di JWST nel pubblico canadese?
Credo che le agenzie spaziali abbiano fatto un ottimo lavoro incorporando nel messaggio fin dall’inizio che si tratta di una collaborazione internazionale tra NASA, ESA e CSA. Qui in Canada abbiamo colto ogni opportunità possibile per menzionare che il Canada è coinvolto, che abbiamo fornito uno strumento, e penso che il messaggio sia stato recepito abbastanza bene, specialmente in Quebec. Il centro locale è qui a Montreal e c’è molto orgoglio nazionale in Quebec. È come una nazione dentro la nazione e sono molto orgogliosi che non sia solo qualcosa di canadese, ma proprio del Quebec. Questo messaggio è sicuramente molto forte nei media francofoni in Quebec, ma penso che anche nel resto del Canada e nel mondo sia abbastanza chiaro che si tratta di una collaborazione internazionale che coinvolge il Canada.

Certamente le immagini straordinarie aiutano molto nella comunicazione di JWST. Qual è la tua immagine preferita finora?
La mia immagine preferita sono i cosiddetti Pilastri della Creazione, perché era una delle mie immagini preferite di Hubble quando ero piccola. Sono cresciuta a Montreal, non c’è un bel cielo notturno e così mi sono innamorata dell’astronomia attraverso immagini e documentari. Sono cresciuta con Hubble negli anni Novanta, quindi avere uno dei miei oggetti preferiti ripreso da Hubble, ora visto nell’infrarosso in un modo completamente diverso, mi ha davvero sbalordita. Finora è la mia immagine preferita di Webb.

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La regione di formazione stellare chiamata Pilastri della Creazione, osservata con Hubble (sinistra) e Webb (destra). Credits: NASA, ESA, CSA, STScI; Joseph DePasquale (STScI), Anton M. Koekemoer (STScI), Alyssa Pagan (STScI).

C’è qualche aneddoto particolare che vuoi raccontarci sulla comunicazione di JWST?
Ricordate, durante la prima release di Webb, che il Canada avrebbe dovuto presentare un’immagine durante la diretta? Dovevo presentarla io e invece è caduto il collegamento, quindi la mia parte è stata tagliata dal programma! Un aneddoto triste. Abbiamo comunque registrato quello che avremmo detto ed è disponibile in rete, così almeno esiste da qualche parte. Ero entusiasta di mostrare lo spettro di NIRISS a tutto il mondo, quindi l’esperienza ha avuto un retrogusto un po’ amaro, ma subito dopo ho fatto qualcosa come 25 interviste: passavo da giornalista a giornalista, da studio a studio e tutti erano così entusiasti delle immagini e del fatto che il Canada fosse coinvolto, quindi mi sono dimenticata rapidamente dell’incidente della diretta. Mi sono sentita così rinvigorita dal fatto che così tanti canadesi fossero entusiasti di questo telescopio che era finalmente stato lanciato e funzionava.

Una storia con tante emozioni e per fortuna un lieto fine! Ci sono delle buone pratiche e lezioni che hai imparato finora dall’esperienza con la divulgazione di JWST?
Quando sono stata assunta nel 2018, quando è stato pubblicato l’annuncio di lavoro, la data di lancio di JWST era ancora prevista per ottobre 2018, quindi il piano era di avermi in quel ruolo solo per pochi mesi prima del lancio. Poi nel corso del tempo il lancio è stato rimandato di tre anni, e in un certo senso meno male, perché c’è così tanto da preparare per una missione di questo tipo, anche per quanto riguarda la divulgazione. Per esempio, ho dovuto rifare tutte le pagine di astronomia sul sito web dell’Agenzia spaziale canadese per aggiornarle. L’obiettivo è quello di parlare del telescopio, ma la prima domanda che qualcuno potrebbe avere è: Cos’è un pianeta extrasolare? Cos’è una galassia? Cos’è un buco nero? Servono le basi e bisogna preparare il terreno per questo tipo di missione.
Certamente una lezione – che poi è un consiglio che dò sempre sulla gestione della comunicazione – è quella di assumere qualcuno molto prima dell’inizio di una missione. Ci sono un sacco di cose da fare prima ancora che la missione cominci.

Quanto è grande il team che lavora con te sulla comunicazione di JWST in Canada?
Nell’istituto in cui lavoro, io sono l’unica dedicata a Webb e pagata in parte dalla CSA, ma ci sono un coordinatore e un responsabile della divulgazione, quindi due colleghi a tempo pieno che aiutano molto con Webb. Cerchiamo di parlare di Webb in ogni occasione, non solo in relazione agli esopianeti. Poi alla CSA c’è il responsabile della comunicazione che è legato a Webb e un team di una dozzina di persone che si occupa di grafica e social media: non lavorano solo per Webb ma anche per le missioni Artemis, per gli astronauti, i rover lunari…
Sono l’unica Outreach scientist per Webb in Canada, quindi sono la persona che crea molte di queste connessioni all’interno e anche all’esterno del Canada. Lavoro molto con l’Unione Astronomica Internazionale per cercare di tradurre le risorse di Webb in tante lingue diverse: ci tengo a lavorare anche a livello globale per rendere Webb davvero accessibile.

Secondo te, quali sono le principali sfide nella comunicazione dell’astronomia oggi, sia in Nord America che a livello globale?
Penso che, in astronomia, siamo fortunati: c’è molta curiosità naturale da parte del pubblico. Ma è un’arma a doppio taglio, perché le persone inventano molte fake news. Immagini false presumibilmente scattate da Webb, che in realtà non sono state scattate da Webb, oppure scoperte fantomatiche nascoste dalla NASA, commenti del tipo “è tutto CGI” (immagini generate al computer) o “hanno trovato gli alieni ma non vogliono dircelo”.
La nostra sfida è navigare in tutto questo, cercando di essere una fonte di informazioni affidabili che sia allo stesso tempo anche divertente. Penso che questo sia molto difficile nell’era dei social media e dell’internet globale: la gente fa fatica a capire quali siano le fonti attendibili, quali siano le informazioni corrette e noi dobbiamo trovare un modo per superare il rumore di fondo delle fake news.

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Nathalie Ouellette durante una presentazione presso il un progetto di incubatore d’imprese hi-tech Quantino, a Quebec City

Come funziona la comunicazione scientifica bilingue in Canada? Hai qualche consiglio per i colleghi di tutto il mondo che lavorano in più di una lingua?
Tutto ciò che riguarda il governo canadese deve essere in entrambe le lingue ufficiali, francese e inglese: è un requisito legale, quindi tutti i contenuti sul sito web dell’Agenzia spaziale canadese seguono questa linea guida. Nel nostro istituto proviamo a farlo anche se siamo in Quebec e la lingua ufficiale della provincia è solo il francese, ma ci rivolgiamo a un pubblico canadese più vasto e persino globale, quindi cerchiamo di produrre quasi tutto in modo bilingue.
Se alcuni contenuti saranno disponibili online a lungo termine, come un sito web, un video o un post su qualche blog, consiglio di lavorare in entrambe le lingue quando si creano i contenuti. Se lo fai prima in una lingua e poi un anno dopo vai a tradurre, è una sfida più impegnativa, non è più una priorità. Quindi cerchiamo di renderlo una priorità quando creiamo il contenuto.
Per gli eventi di persona, dipende molto dal pubblico. In Quebec c’è una sensibilità politica tra la popolazione francofona e quella anglofona, quindi dobbiamo ci regoliamo in base al pubblico con cui stiamo parlando. È importante conoscere il proprio pubblico, soprattutto negli eventi di persona, ma anche online.
Il mio consiglio è di cercare di essere bilingue fin dalla creazione dei contenuti, di conoscere il più possibile il proprio pubblico e di essere pronti a ricevere critiche ogni tanto. Riuscire a essere aperti alle critiche, ascoltare le critiche è importante e in genere è un ottimo consiglio in tutti gli aspetti della comunicazione scientifica.

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Risorse del kit Exoplanets in the Classroom

Vuoi parlarci di qualche altro progetto a cui stai lavorando, oltre a JWST?
Stiamo chiudendo proprio adesso un progetto chiamato “Exoplanets in the Classroom”. Abbiamo ricevuto dei fondi dalla provincia per creare risorse per i docenti delle scuole primarie e secondarie in modo che possano portare gli esopianeti e l’astronomia in classe. Nel curriculum c’è un po’ di astronomia, ma molti insegnanti non toccano proprio questi argomenti perché non si sentono abbastanza sicuri. Abbiamo creato otto attività con risorse che si possono stampare: possiamo anche inviare ai docenti alcune risorse come poster o presentazioni, in modo che si sentano incoraggiati a insegnare gli esopianeti e il coinvolgimento del Quebec in questa ricerca. Al momento è disponibile solo in francese ma quest’anno sarà tradotto anche in inglese.

Qual è la parte più entusiasmante (e la più difficile) del tuo lavoro?
Ci sono così tante parti entusiasmanti nel mio lavoro che è davvero difficile scegliere. Lavoro per un telescopio della NASA, un telescopio unico in una generazione, quindi il mio lavoro non sembra nemmeno un lavoro. Non posso credere di essere pagata per questo! Mi piace molto parlare con il pubblico e conoscere le loro domande. Quando faccio la mia presentazione (che è un po’ diversa ogni volta se c’è qualcosa di nuovo, ma in gran parte è sempre la stessa), quello che trovo davvero stimolante sono gli ultimi 10 o 15 minuti in cui ti fanno le domande, perché quelle domande sono diverse ogni volta. Mi piace molto ascoltare le domande delle persone e soprattutto dei bambini perché non hanno filtri, mi chiedono tutto quello che vogliono.
In termini di sfide, sono così entusiasta del mio lavoro che il confine tende a essere sfumato tra quello che è il mio lavoro e quello che è la vita privata, i miei hobby e altre cose. La mia vita professionale trasuda nel resto della mia vita, quindi forse l’equilibrio tra lavoro e vita privata è una sfida su cui devo lavorare.

C’è qualcuno di speciale che ti ha ispirato in questo percorso?
Mi fanno spesso questa domanda e trovo molto difficile rispondere perché, quando tendi a idolatrare qualcuno e poi lo incontri, può essere una delusione perché alla fine è solo un essere umano, una persona. Tra le persone con cui ho lavorato, chi mi ha ispirato molto è Amber Straughn, la project scientist di JWST per la communicazione al centro NASA Goddard. È davvero impressionante, è una ricercatrice esperta ed è così brava a parlare con le persone. Ha fatto così tanto che potrebbe essere davvero arrogante, e invece è una persona così dolce e con i piedi per terra. Questa è la cosa che mi piace di più: le persone che hanno ottenuto tanto successo ma si comportano come se niente fosse. Su questo filone, John Mather è un’altra persona così: il padre di Webb, premio Nobel, eppure è una persona dolcissima. Chiunque può andare a trovarlo e parlare con lui, si ricorda addirittura il mio nome, cosa che trovo strabiliante. È davvero un uomo brillante ma così meraviglioso e disponibile. Queste sono le persone che mi ispirano davvero.

Per concludere, c’è qualche libro che vuole consigliare a chi ci legge?
C’è un libro che ho letto da adolescente che mi ha davvero colpito: “What If the Moon Didn’t Exist?” di Neil F. Comins. È un saggio in cui l’autore passa attraverso una serie di ipotesi diverse: E se la Terra non avesse la Luna? E se la Luna della Terra fosse più lontana? E se la Terra avesse due lune? Mi ha davvero fatto pensare all’effetto domino delle diverse condizioni che ci circondano, che hanno portato la Terra ad essere così com’è, e mi ha fatto porre tante domande. Sono sempre stato una bambina che faceva tante domande, ma questo libro mi ha incoraggiato ancora di più.

Nathalie Nguyen-Quoc Ouellette è JWST Outreach Scientist, Deputy Director del Trottier Institute for Research on Exoplanets e Deputy Director dell’Observatoire du Mont-Mégantic all’Université de Montréal in Quebec, Canada. Si è laureata in fisica presso la McGill University e ha conseguito il dottorato in fisica e astronomia presso la Queen’s University a Kingston, Ontario, Canada con una tesi sull’evoluzione delle galassie negli ammassi galattici.

Scritto da

Claudia Mignone Claudia Mignone

Astrofisica e comunicatrice scientifica, tecnologa all'Istituto Nazionale di Astrofisica.

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