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L’ascesa dell’IA generativa: opportunità e preoccupazioni

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Scopri l'impatto degli strumenti di intelligenza artificiale generativa come ChatGPT nel campo della comunicazione scientifica con Mike Schäfer, professore all'Università di Zurigo
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Mike Schäfer

Bentornati sulle pagine di Universo Mondo. Questo mese andiamo in Svizzera, dove incontriamo Mike Schäfer, professore di comunicazione della scienza all’Università di Zurigo. Con una vasta esperienza di ricerca, che spazia dalla comunicazione del genoma umano sui media alla percezione pubblica del cambiamento climatico, ha recentemente iniziato a studiare l’intelligenza artificiale (IA) e il suo ruolo nella comunicazione scientifica, in particolare nel caso dell’IA generativa, la famigerata tecnologia che, opportunamente sollecitata, può essere usata per produrre testi, immagini e una varietà di altri contenuti.

Come di consueto con i nostri ospiti, partiamo dal tuo percorso: qual è la tua posizione attuale e cosa ti ha portato fin qui?
Sono professore di comunicazione della scienza all’Università di Zurigo. Questo significa che insegno e faccio ricerca sulla comunicazione scientifica, in particolare sulla comunicazione pubblica della scienza sui media tradizionali e sui social media. Chi comunica su questi canali, che ruolo hanno gli scienziati e le istituzioni scientifiche, come nascono e si sviluppano i dibattiti pubblici, da dove le persone ottengono informazioni sulla scienza e quali effetti hanno sulla conoscenza, sugli atteggiamenti, sulla fiducia e sul comportamento: queste sono domande tipiche nel mio lavoro. Di formazione sono uno studioso di comunicazione e sociologo, da circa 20 anni mi occupo di comunicazione su biotecnologie, astrofisica, cambiamenti climatici e recentemente anche di IA.

Dopo aver studiato molteplici arene in cui si incontrano scienza e pubblico, quali diresti che sono le questioni più urgenti nella comunicazione scientifica oggi?
Questa è una grande domanda con molte risposte, a seconda di come guardi le cose. Una questione urgente nel mio campo è sicuramente la crisi economica del giornalismo scientifico.
Il giornalismo è in una crisi economica in generale, con il calo del pubblico, la decrescita del numero di abbonamenti e grandi fette di introiti pubblicitari che vanno alle grandi aziende tecnologiche. E per le redazioni specializzate, come il giornalismo scientifico, che all’inizio non esistevano nemmeno in molte testate, questo significa spesso meno risorse, meno tempo per fare ricerca, condizioni di lavoro più precarie, persino licenziamenti e chiusura di intere redazioni scientifiche.
In un periodo in cui la scienza è davvero importante, in cui molte informazioni sulla scienza vengono rese pubbliche da molti stakeholder diversi, non tutti affidabili, e in cui non esistono altri intermediari che curino le informazioni su larga scala secondo criteri condivisi di qualità, questo è un problema.
Ma ci sono altri problemi urgenti, ovviamente: la mancanza di formazione per gli scienziati che vogliono comunicare in molte istituzioni. La mancanza di supporto sociale, psicologico e legale per chi comunica e riceve reazioni negative. La mancanza di valutazione. A volte anche la mancanza di conoscenza della ricerca sulla comunicazione della scienza che può fornire una base empirica per le attività pratiche.

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Fotografia di un astronauta a cavallo, generata con lo strumenti di AI Stable Diffusion. Fonte commons
Come racconti nel saggio, anche tu hai giocato con ChatGPT, chiedendo allo strumento stesso se avrà un impatto significativo nel campo della comunicazione della scienza. La risposta è stata sì. La definiresti accurata?
Direi di sì. Penso che l’IA generativa – che include ma va oltre ChatGPT – sia un punto di svolta per la comunicazione scientifica, sia per la sua pratica che per la ricerca su di essa.
Da un lato, questo ha a che fare con il suo mero potenziale tecnologico che produce risposte umane alle domande degli utenti in tempo reale, su larga scala e, nonostante i suoi innegabili problemi, con una qualità impressionante.
Ma la ricerca nel campo delle scienze sociali ha ripetutamente dimostrato che un potenziale tecnologico così pronunciato è una precondizione necessaria ma non sufficiente per avere un grande impatto sociale. Le tecnologie devono anche essere adottate e utilizzate da ampie parti del pubblico e in tutti i campi. E lo abbiamo già visto con ChatGPT. In poche settimane, centinaia di milioni di persone lo hanno usato per la ricerca, l’insegnamento, il marketing, per scrivere discorsi, per fare arte e poesia, per programmare, eccetera.

L’accuratezza – o la sua carenza – è una delle principali preoccupazioni sull’uso dell’IA generativa nella comunicazione scientifica. In astronomia, c’è stato un esempio notevole solo pochi mesi fa con il debutto di Google Bard, uno dei concorrenti di ChatGPT. Quando gli è stato chiesto quale fosse stato il telescopio che ha fatto la prima immagine diretta di un pianeta extrasolare, ha risposto il James Webb Space Telescope (lanciato nel 2021). Peccato che la risposta fosse sbagliata: si tratta infatti di un risultato che risale al 2004, ottenuto con il Very Large Telescope dello European Southern Observatory in Cile. Pensi che siamo destinati, usando una frase dal tuo saggio, ad “annegare in un mare di informazioni approssimative e mediocri”?
Penso che questa sia una preoccupazione, sì. Ma non credo che siamo destinati ad annegare. Ripeto: il percorso delle tecnologie viene sempre co-costruito da fattori sociali e legati alla società. Le preoccupazioni e i reclami del pubblico possono spingere i fornitori di questi modelli a migliorare e abbiamo già visto notevoli miglioramenti dal modello GPT-3 al modello GPT-3.5 e GPT-4 utilizzato dal motore di ricerca Bing di Microsoft. Quindi i modelli miglioreranno. E gli studiosi hanno sviluppato strumenti come Perplexity.AI che combinano GPT con Google Scholar per fornire risposte che sono meglio integrate nel campo di studio pertinente.
Detto questo, ci sono delle preoccupazioni reali: in primis il fatto che non sappiamo molto sui dati su cui questi modelli commerciali e proprietari vengono addestrati e da cui traggono linfa. Sono in gran parte scatole nere. Inoltre, non conosciamo i pregiudizi insiti nei dati di addestramento, e quindi i modelli, ma possiamo essere abbastanza sicuri che ce ne siano di considerevoli. Allo stesso tempo, sarà difficile se non impossibile per la comunità accademica produrre modelli open source che possano davvero competere con quelli commerciali, il che sarebbe migliore per i ricercatori e più trasparente nel complesso.
Una seconda preoccupazione è che, mentre ChatGPT e strumenti simili sono generalmente addestrati a non produrre deliberatamente contenuti problematici, questi possono già essere spinti a produrre contenuti problematici da utenti intelligenti. E i modelli possono anche essere hackerati per rimuovere le inibizioni implementate – il termine tecnico è “jailbreak”, letteralmente “evasione” – e poi usati per produrre “errore su larga scala”, come l’ha definito un collega.

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La prima immagine diretta di un esopianeta (a sinistra, crediti: ESO) e la prima immagine diretta di un esopianeta del JWST (a destra, crediti: NASA/ESA/CSA).

Il fatto che l’IA generativa, come afferma il tuo collega Eric Ulken, “può sbagliare di più, più velocemente – e con maggior certezza apparente e meno trasparenza – di qualsiasi innovazione che si ricordi” è davvero preoccupante. Ci sono anche altre preoccupazioni, per esempio l’impatto sul mercato del lavoro?
Ovviamente, è ancora difficile valutare correttamente l’impatto a medio e lungo termine, ma ci sono studi che suggeriscono che l’IA generativa potrebbe, in futuro, svolgere tra il 15 e il 50 percento delle attività dei lavoratori più velocemente e con la stessa qualità. In particolare quei lavori che hanno a che fare con la produzione di contenuti più standardizzati, come la scrittura, la visualizzazione, l’illustrazione, ma forse anche la programmazione e altri compiti. E quando guardiamo alla situazione finanziaria degli istituti di formazione scientifica e superiore in alcuni paesi o alla crisi economica del giornalismo e del giornalismo scientifico in molti paesi, questo è sì un motivo di preoccupazione.

Date le preoccupazioni, esiste secondo te un modo per abbracciare l’IA generativa nella comunicazione della scienza affrontandone le sfide?
Sì, assolutamente. C’è senza dubbio tanto potenziale positivo anche qui. L’intelligenza artificiale generativa può essere utilizzata per essere creativa, sebbene questa creatività sia un’approssimazione stocastica ai modelli nei dati di addestramento preesistenti, ovviamente. L’abbiamo usata in un workshop, ad esempio, per generare il nome di un progetto, un acronimo e un logo.
Può anche fornire altri contenuti. Ha un’enorme capacità di traduzione per riassumere pubblicazioni e risultati di ricerca che possono essere utilizzati per testi, post sui social media, poster, voci di Wikipedia. Gli utenti esperti possono già utilizzare strumenti di intelligenza artificiale generativa per fondere insieme diverse modalità come testo, immagini e suoni. Alcuni hanno prodotto giochi semplici senza avere competenze di programmazione.
L’IA generativa ha anche altri vantaggi. Gli utenti possono comunicare con questa tecnologia in modo interattivo e iterativo, facendo domande ripetute o richiedendo maggiori dettagli, un linguaggio più semplice oppure illustrazioni ed esempi se non capiscono qualcosa, finché non ottengono il tipo di risposta di cui sono soddisfatti. Almeno in linea di principio, l’IA generativa consente la comunicazione scientifica dialogica su larga scala, che finora è stata spesso limitata a piccoli gruppi.

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Mike Schäfer presso il Center for Higher Education and Science Studies (CHESS) dell’Università di Zurigo

Oltre all’intelligenza artificiale, a quali progetti di ricerca stai lavorando al momento?
Sto già lavorando sull’intelligenza artificiale, esaminando visioni future di IA in Cina, Germania e Stati Uniti e analizzando che impatto avranno queste visioni sulla regolamentazione. E approfondirò questo aspetto in futuro.
A parte ciò, stiamo conducendo il Science Barometer Switzerland, un sondaggio regolare tra la popolazione sull’atteggiamento degli svizzeri nei confronti della scienza e della ricerca e le loro fonti di informazione sul tema. Stiamo facendo ricerca sulla comunicazione istituzionale della scienza da parte delle università. E sono molto interessato agli atteggiamenti contrari nei confronti della scienza, come il populismo legato alla scienza e le teorie del complotto.
E cerco di raggiungere la società anche con la mia ricerca, con apparizioni sui media, eventi, brochure, raccomandazioni per stakeholder e anche sui social media.

Vedi grande differenze nel campo della comunicazione della scienza in Europa, e se sì quali?
Il panorama della comunicazione scientifica è in realtà piuttosto diverso nei vari paesi europei. Ciò ha a che fare con la rispettiva comprensione della comunicazione della scienza nei diversi contesti, con la diversa posizione, dimensione o finanziamento delle istituzioni scientifiche, con i punti di forza o di debolezza dei mezzi di informazione e del servizio pubblico radiotelevisivo, con le tradizioni nazionali di comunicazione della scienza e le risultanti dipendenze del percorso e altri fattori.

In questo contesto, qual è il ruolo di un piccolo paese come la Svizzera?
La Svizzera è un caso piuttosto particolare. Ha una serie di università eccellenti, grandi centri di ricerca come il CERN, un sistema di finanziamento con grandi risorse che fornisce anche fondi per le attività di comunicazione scientifica, molte fondazioni e un sistema di media relativamente diversificato con un’emittente pubblica abbastanza forte. Ciò crea nel complesso un ecosistema di comunicazione scientifica forte e diversificato, con differenze aggiuntive e pronunciate tra le tre regioni linguistiche. Non posso rivendicare un effetto di causalità, ma posso almeno dire che questo corrisponde agli atteggiamenti relativamente positivi della popolazione svizzera nei confronti della scienza, benché anche in Svizzera esistano anche populismo legato alla scienza e teorie del complotto.

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Mike Schäfer all’Università di Zurigo

Quali sono le parti più emozionanti e più difficili del tuo lavoro?
Invecchiando – ormai ho più di 45 anni! (sorride) – trovo che le cose che mi entusiasmano tendono a cambiare. Al giorno d’oggi, non è tanto il prossimo articolo o il nuovo progetto, anche se possono ancora essere entusiasmanti e sono davvero felice di approfondire la ricerca sull’IA generativa. Quello che mi entusiasma sempre di più è vedere i giovani colleghi del mio team andare avanti ed eccellere nella comunità scientifica.
Qual è la cosa più difficile? Chiaramente dover dire di no spesso, troppo spesso alle richieste e alle offerte dei colleghi. E scegliere le cose giuste a cui dire di no. Sospetto che capire dove dire di no, e dove non farlo, rimarrà una sfida e un processo di apprendimento per tutta la vita.

Chi sono gli scienziati, i pensatori e gli autori che ti hanno ispirato di più nel tuo percorso? E infine, hai un libro da consigliare ai nostri lettori?
Molti teorici delle scienze sociali hanno influenzato il mio lavoro, persone come Pierre Bourdieu, Jürgen Gerhards, Jürgen Habermas, Karin Knorr-Cetina e altri. Ulrike Feld, professoressa di Science and Technology Studies (STS), mi ha fatto interessare all’analisi della scienza dal punto di vista delle scienze sociali quando studiavo a Vienna 20 anni fa. Ma come consiglio di lettura probabilmente guarderei lontano dalla scienza, almeno un po’, e verso la fantascienza: “Il problema dei tre corpi” di Cixin Liu è un libro fantastico che fonde aspetti STEM e delle scienze sociali in un modo davvero intelligente e coinvolgente. L’ho letto veramente tutto d’un fiato.

Mike Schäfer è professore ordinario di comunicazione della scienza presso il Dipartimento di comunicazione e ricerca sui media dell’Università di Zurigo, dove è attualmente capo dipartimento. È il direttore del Center for Higher Education & Science Studies (CHESS) e co-fondatore di “Science Barometer Switzerland”. La sua ricerca si concentra sulla comunicazione della scienza e sulla comunicazione del cambiamento climatico.

Scritto da

Claudia Mignone Claudia Mignone

Astrofisica e comunicatrice scientifica, tecnologa all'Istituto Nazionale di Astrofisica.

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