Lo spazio tra le pagine Rubriche

Un gioco di sguardi

In una antica canzone di Francesco De Gregori, l'intuizione poetica di un profondo dialogo con lo spazio e ciò che contiene

Aggiornato il 28 Novembre 2024

I poeti sono fatti così, lo sappiamo bene. Possono scrivere stupidaggini per dieci anni di fila e poi (o prima) uscire con un paio di versi folgoranti. E l’Universo si ferma, trattiene un attimo il fiato. Fa spazio. Perchè anche dire poeta è un’espressione imprecisa, in quanto si attarda su una persona (umana) e non su un evento (poetico). Il mondo è fatto di eventi, non di cose, ammonisce il fisico Carlo Rovelli. L’espressione poetica è appunto un evento.
Consapevole del mio parlare impreciso, posso comunque dire – per brevità  – che Francesco De Gregori è un poeta. C’è poco da discuterne: sostenere il contrario sarebbe soltanto perdere tempo. Nemmeno pare il caso qui di misurarsi con pregi e limiti della forma canzone, in quanto canale di espressività  poetica. Canale che – prediligendo qui la prassi alla discussione – ho peraltro già  più volte percorso in questa sede, ragionando di brani di Peter Gabriel e di Angelo Branduardi, che rappresentano poi (guarda caso) due dei miei più profondi amori musicali. Ma vorrei andare diretto al punto, ora. Esprimere, senza troppo orbitarci intorno, la mia sincera ammirazione per questa poesia in musica di Francesco.

Donna concentrata
“… e canta piano”, disegno di Davide Calandrini – @davidecalandrini "“ vedi la versione originale

La durata, innanzitutto. Due minuti e dieci secondi. Un’inezia (per quanto il Sole in quel lasso di tempo abbia già  consumato molti milioni di tonnellate di idrogeno). Già  misurarsi con canzoni sotto i tre minuti (come sopra i cinque, per altri motivi) e uscirne vincenti non è cosa da poco, decisamente non è impresa alla portata di tutti. Per dire, devi chiamarti Stephen Still e allora butti giù 4+20 e rimane una perla che continua a brillare quale sorta di supernova permanente, intanto che tutto l’universo si srotola e si espande. Punto.
Sì, perchè in quel caso esemplare non c’è davvero da aggiungere un secondo in più, inserire una o due note oltre queste. Perfetta così. In un tempo ristretto inietta nel cosmo un contenuto artistico e comunica emozioni, come altri non riescono nemmeno in un disco doppio (come si sarebbe detto una volta, che appunto esistevano i dischi singoli e i dischi doppi e non esisteva Spotify).
Torniamo al nostro, però. Ebbene, De Gregori alla fine degli anni settanta inserisce questo pezzo breve (quattro secondi in più della canzone di Still), Babbo in prigione, all’interno del celeberrimo long playing che porta il suo cognome e contiene la assai più famosa Generale, rapidamente divenuta obbligatoria in tutte le gite scolastiche almeno per i successivi venti anni. Bella canzone, anche quella, ma in qualche modo più ordinaria, più tranquilla. Strofa, ritornello, strofa. Giro di accordi (semplici, ottimi per chitarristi in erba). Tutto a posto, tutto normale. Gravitiamo nello schema classico, entro il modello statico della canzone.
Ma quest’altra, è una vera delizia. Evade felicemente dal dover alternare strofe e ritornelli, tutto in favore della limpida purezza del raccontare. Ed è un raccontare spiccatamente astronomico. Parte infatti dalla Luna. Per un incipit che non solo è astronomico, ma è soprattutto sobrio e stupendo

Stella guarda la luna, la luna guarda Stella

dove la prima parte ti sembra normale (Stella è una persona – anche se il nome è celeste – e le persone guardano), ma incastrata con la apparente paradossalità  della seconda (la Luna che ricambia lo sguardo di Stella), acquista un sapore nuovo. Ascoltiamo le prime quattro parole e ci pare tutto a posto, invece le seguenti quattro è come se ci riversassero addosso – peraltro senza avvertire – un catino d’acqua gelida: avviati infatti su un sentiero rassicurante, tutto d’un tratto scopriamo che qualcosa non torna, qualcosa non si accorda con il nostro usuale (ed usurato) modo di pensare.
E arriva l’intuizione poetica a dire quello che noi non osiamo mai dire, ma che pure ci corrisponderebbe tanto: il rapporto con il cielo si configura esattamente come ogni altro vero rapporto: è uno scambio biunivoco, tu guardi ma anche sei guardato.

Ma come è possibile questo?

Prova a seguirmi, ora. Fìdati. Capisco l’obiezione, ma lascia stare. Lascia da parte per un momento il solito ragionamento, del tipo “la Luna è un satellite naturale, eccetera”: se allenti la parte razionale un attimo, come fa la poesia (che non rigetta nessun legame con questa parte, ma misteriosamente e magicamente allenta, e l’Universo improvvisamente si espande, più lesto e preciso che nemmeno nella fase di inflazione), allora capisci veramente, allora tutto torna a posto. Al suo vero posto. La visione poetica, facci caso, è più lucida, più limpida di quella ordinaria. Sembra vada più a fondo, nelle cose che guarda.
Vedi che cosa incredibile? Francesco parte dal rapporto con il cielo e in due frasi descrive una storia. Come riesce a fare un vero poeta, qui il non detto è assai più ampio di quanto viene descritto, eppure le due pennellate di parole chiariscono tutto ugualmente.

Un mondo infatti si apre ai nostri occhi, anzi un universo (domestico), appunto. Stella e la mamma. I loro sentimenti, tutto quello che hanno nel cuore e nemmeno osano dire. Affidano tutto alla notte profumata e non c’è giusto o sbagliato, bene o male da dire o da valutare. Ci sono i profumi che viaggiano ben oltre i frettolosi giudizi moralistici.
Se Stella è contenta addirittura, che babbo non sia a casa (e solo il titolo del brano chiarisce dove sia realmente e di rimando, che tipo di persona probabilmente sia stata finora), la mamma non dice, ma soltanto canta piano, mentre è addentro alle faccende più ordinarie. Canta, perchè sente di poterlo fare.
Perchè sotto questa Luna, questa Luna che le guarda, le due donne non sono sole. Nè mai lo saranno.

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Scritto da

Marco Castellani Marco Castellani

Ricercatore presso l'Osservatorio Astronomico di Roma. Si interessa di popolazioni stellari ed è nel team scientifico del satellite GAIA di ESA. Divulgatore e scrittore per passione, gestisce da anni il blog divulgativo Sturdust.blog (già  GruppoLocale.it) e coordina il progetto Altrascienza.it.

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