Lo spazio tra le pagine

Taglie modeste e campagne d’astri

Nei versi di Annalisa Manstretta fiorisce l'ideale di un rapporto nuovo con il cosmo.

Aggiornato il 5 Marzo 2024

Sulla effettiva presenza degli alieni, al di là delle pur belle storie, non saprei dire. Per certo, però, ci sono poeti tra noi, anche se spesso non ce ne accorgiamo. Costituzionalmente alieni ad ogni esistenza distratta. Già questa è una buona notizia, qualcosa che autorizza a sperare. Di più, esistono poeti che sentono la presenza amica del cosmo, quasi a livello del corpo, e la raccontano.
Ci sono, in particolare, poetesse di fine sensibilità, che avvertono questo e lo scrivono. Annalisa Manstretta, classe 1968, tra i vincitori del Premio Montale Europa 2004 inediti, appartiene senz’altro a questa preziosissima categoria (che fu anche di Saffo, di Maria Luisa Spaziani, e innumerevoli altre, nell’arco dei secoli che separa le due).

Calandrini Manstretta
“I posti dove si cresce non si vedono mai per davvero” disegno di Davide Calandrini – – @davidecalandrini – vedi la versione originale

Con Annalisa, il cielo diventa inaspettatamente dolce: potremmo dire, si fa veramente umano. Nel senso più bello, nel senso che non si può più separare dalla carne delle persone. Entra nel loro cuore, è nel loro fiato. Cielo e donna, cielo e uomo, è quasi la stessa cosa, la commistione è completa, l’incastro è perfetto.

… l’aria che diventa azzurra, le concavità del mondo,
a tutto questo giri solo attorno…

Certo, davanti a tanta immensità celeste l’impressione – direi quasi la tentazione – perpetuamente riaffiorante è quella di essere (come presto vedremo) fuori scala, ma è appunto una impressione soltanto. Una mera suggestione ipnotica, che si può superare. Perché basta un filo di forza, ne basta proprio un filo, per riconoscere e benedire il Sole, la Luna, per riscoprire la nostra irriducibile prossimità al cosmo ed arrendersi – finalmente arrendersi – ad essa.
Per Annalisa, tutto questo avviene non in astratto (l’astratto è una categoria velenosa per i poeti) quanto piuttosto in uno scenario naturale, una campagna così piena di cielo da essere chiamata astrale. Ma sarà assai meglio lasciar parlare lei, a questo punto. Di più, dar voce alle sue amichevoli colline, così prossime alle stelle.

Ci sono colline amichevoli
e colline aspre, che non concedono nulla.
Tutte simili, mettono a dura prova vista e memoria,
le sfiancano. Fanno da sole, la forma di un mondo.
Sopra le mie spalle si distende il tramonto,
così vasto che pesa.
Con la testa che ha ormai solo un filo di forza
riconosco il sole, riconosco la luna.
Qui trovano posto le loro smisurate moli con agio,
e immensi latifondi azzurri ancora restano vuoti.
Il sole dal lato sinistro, la luna da quello destro,
due cerchi perfetti. In questa campagna astrale
ci son finita io, quella fuori scala,
dalla taglia modesta di una donna.

La campagna è dunque davvero astrale, cioè innegabilmente connotata dalla presenza degli astri. Presenza, parola importante ed impegnativa, per un oggetto astronomico. Non suggestione di lontane ed inaccessibili stelle, ma appunto la presenza di qualcosa di vicino, di inerente al panorama. Presente, si dice di persona o cosa che opera, che si percepisce come parte integrante di un ambiente, di una situazione. A dispetto – direi quasi, a sfacciata confutazione – della loro distanza fisica, le stelle operano nella collina di Annalisa e le donano questa caratteristica così arcana e familiare al tempo stesso: con un silenzioso e magico tocco, la mutano d’incanto, in una campagna astrale.
Si assapora bene l’accordo con quanto Alessandra sostiene in una video intervista di pochi giorni fa, in special modo quando viene a definire la natura come profonda e grandissima. Ma basterebbe semplicemente fermarsi ai titoli dei sui libri – soprattutto del più recente, Un’aria vegetale (ospitata nel volume collettivo di poesia Nuovi Poeti Italiani 7 a cura di Maurizio Cucchi, Einaudi, 2023) – per comprenderlo ancor meglio.
Non è un ritorno superficiale o meramente estetico al bucolico, magari velato dalla nostalgia dei bei tempi andati. Rappresenta piuttosto un coraggioso moto di salita verso il pensiero più puro e libero: un moto di ascesa (al cielo di stelle del pensiero) che è allo stesso tempo di discesa (alla felice concretezza della terra). Un andamento armonico, forse? Così la poetessa, nell’intervista già citata, sembra autorizzarci a pensare:

… ha un moto pendolare, sa di terra sa di pioggia il pensiero profondo

Cielo e terra, dunque, in un connubio efficacie e soprattutto preciso. Che segua una metrica o che si snodi in versi liberi, la buona poesia vive di precisione della parola e del verso: davvero, niente è per caso. Come del resto, la buona scienza vive nella precisione della misura, del numero. Due passioni drammaticamente incomplete, che si cercano, che acquistano stabilità solo riunendosi, abbracciandosi, facendo conoscenza. Baciandosi. In questo bacio quasi cosmico, anche la luna diventa amica e compagna. Essere sulla Luna diventa dunque facile

Senza nubi né pioggia, nebbia, foschia o vento,
sulla luna si spalancano orizzonti di gioia.
La perfezione della luce arriva intatta alla sabbia,
da distanze impensabili si distingue ogni sasso.
Nel cielo sempre nero della luna
il sole tramonta e sorge,
sorge tramonta la terra.
Terra nuova, terra piena, terra calante.

Quando tra le cose si vede chiaro
si procede leggeri, senza pesi, quasi levitando.
Qui sì che si vede il mondo lontano,
è così facile prendere le distanze.
Basta trattenere un po’ il respiro
fino a non averne più bisogno
e si apprezza la bellezza dei mari senza onde,
senza pesci, senza vita della luna.

E in questo paradossale trattenere il respiro (da intendere in senso metaforico) c’è in realtà l’idea di trasformarsi in accordo con l’ambiente, mutarsi di pelle e di pensieri per acquisire così lo sguardo necessario a vederlo davvero. C’è il rispetto delicato di chi vuole conoscere e non invadere, vuole capire l’altro e non imporre sé stesso e la sua misura.
Altro che trattenerlo, il respiro! Entrando nei delicati versi di Annalisa ci ritroviamo piuttosto a respirare più a fondo, quietandoci nella dolce e definitiva sconfessione di quel progetto prometeico (e perciò stesso angosciante) di conquista del cosmo inteso come propagazione arbitraria del nostro modo di sentire e capire, che pure ha preso – in epoche nemmeno troppo remote – molta parte della scienza, della tecnica e parte anche dell’immaginario umano più vasto.
Una attitudine che dobbiamo sorvegliare, dentro e fuori di noi, perché ancora può essere ben capace di nuocere: così la colonizzazione della Luna può risolversi in un disastro planetario, se portata avanti in modo esclusivamente commerciale e senza il fondamentale carico di rispetto e stupore di cui la poesia è maestra. Già Gianni Rodari – oggetto proprio in questi giorni di un concorso INAF per le scuole, giunto adesso alla sua quarta edizione – auspicava, con buonissime ragioni, che sulla Luna ci sarebbero dovuti andare i poeti.
Sia che ci vadano prima i poeti oppure no, di loro comunque avremo bisogno per comprendere la luna, come ci servono fin d’ora per capire il linguaggio sottilissimo e liberante di una campagna astrale. Capire, ovvero contenere, trovarvi un posto dentro di noi. Ospitare, potrei scrivere. Ospitare e non invadere, fare posto al cosmo, mettersi di lato e ammirare.
In fondo – come anche i versi di Annalisa ci suggeriscono – la poesia non è altro che una perpetua offerta di ospitalità: offerta a cui la scienza stessa può rispondere, portando a sua volta in dono l’inesausta volontà di decifrare i meccanismi di funzionamento della natura e del cielo, che da sempre la abita.

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Scritto da

Marco Castellani Marco Castellani

Ricercatore presso l'Osservatorio Astronomico di Roma. Si interessa di popolazioni stellari ed è nel team scientifico del satellite GAIA di ESA. Divulgatore e scrittore per passione, gestisce da anni il blog divulgativo Sturdust.blog (già GruppoLocale.it) e coordina il progetto Altrascienza.it.

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