Lo spazio tra le pagine

La luna, a giorni alterni

La presenza della Luna nella produzione poetica di Maria Luisa Spaziani
Luna d’inverno che dal melograno
per i vetri di casa filtri lenta
sui miei sonni veloci di ladro
sempre inseguito e sempre per partire.
Come un velo di lacrime t’appanna
e presto l’ora suonerà…

Parlare di una poetessa moderna come Maria Luisa Spaziani (scomparsa esattamente dieci anni fa) e accorgersi di come – per esempio – la Luna affiori così frequentemente nei suoi versi, vuol dire anche assaporare una volta di più, l’attenzione e l’abitudine al cielo come caratteristica inestirpabile della poesia di ogni tempo, da Saffo in avanti.

Spaziani Calandrini
Disegno di Davide Calandrini – @davidecalandrini – vedi la versione originale

In altra sede, tempo fa, notavo come si possa far vera poesia con ogni mattoncino della scienza moderna, perfino con i neutrini. Il poeta autentico non teme affatto il lessico della scienza, tanto che gli oggetti del cielo ricorrono sovente tra i suoi versi. Né potrebbe essere altrimenti, per il loro irresistibile intrecciarsi alle emozioni umane. Probabilmente il poeta avverte – meglio di molti – altri, la restituzione dei cielo alle donne e agli uomini del proprio tempo, come parte irrinunciabile della propria vocazione: fare a meno del cielo comporterebbe una rimozione che risulta semplicemente inaccettabile, soprattutto per un artista.
La Spaziani, che nasce nel 1922, inizia a scrivere poesie fin da bambina (diceva qualcuno che tutti scriviamo poesie da ragazzi, i poeti sono quelli che non smettono). Nel 1949 ha la fortuna di conoscere Eugenio Montale, con il quale stringerà nel tempo una affettuosa amicizia. La copiosa produzione della Spaziani è caratterizzata da una profonda riflessione sulla condizione umana, sull’amore, sulla morte e sulla natura. I suoi versi ci appaiono eleganti e raffinati, senza per questo perdere forza e soprattutto, senza ricadere in alcun manierismo.
Per quanto accennato in apertura, non stupirà il fatto che nella produzione della Spaziani si ritrovino sovente degli accenni a temi astronomici, si riveli cioè brillantemente quella considerazione del cielo come abitudine che accomuna moltissimi poeti. Come stiamo proprio sperimentando, un passo alla volta, in questa nostra rubrica.
Come per altri casi eccellenti, il cielo della Spaziani non è un cielo da comprendere razionalmente, ma innanzitutto da vivere: è il cielo che insiste sulla Terra proponendo la sua cordiale inevitabilità, invitando gentilmente ad allacciare o riallacciare un rapporto. Rimandando alla estesa produzione poetica della Spaziani – c’è un volume della prestigiosa collana Meridiani a lei dedicato, ma consiglio anche la ben più accessibile Autoantologia (Maurizio Cucchi, che ne firma la succinta Introduzione, la qualifica come un vero e proprio classico della poesia del Novecento) – qui intendo compiere appena una sorta di percorso minimo, che graviterà intorno alla nostra Luna, già amichevole compagna di questo spazio. Ed eccola subito, nei suoi versi.

Luna d’inverno che dal melograno
per i vetri di casa filtri lenta
sui miei sonni veloci di ladro
sempre inseguito e sempre per partire.
Come un velo di lacrime t’appanna
e presto l’ora suonerà…
Lontano
oltre le nostre sponde, oltre le magre
stagioni che con moto di marea
mortalmente stancandoci ci esaltano
e ci umiliano, poi splenderai lieta
tu, insegna d’oro all’ultima locanda
lampada sopra il desco incorruttibile
al cui chiarore ad uno ad uno
i visi in cerchio rivedrò che un turbine
vuoto e crudele mi cancella.

Già si comprende come sia benigna la Luna di Maria Luisa, una Luna che infatti splende lieta: presenza amica capace di rivelare in un chiarore visi amati, che un misterioso turbine vuoto e crudele vorrebbe invece cancellare. Tramite lei, la poetessa intreccia un dialogo con il cielo dal quale, forse proprio in virtù di questa apertura di credito, avverte di ricevere aiuto e protezione.
Tutto ciò appare ancora più serenamente chiaro in questi altri versi, che ci coinvolgono come una delicata dichiarazione di amore.

La luna, spilla doro sul drappo delle stelle,
per la mia lampada è fonte di energia.
Con misteriose onde mi raggiungono
le parole che sa.

Senza di lei saremmo gattini ciechi,
votati a una morte per fame.
Gocciola il nutrimento, latte, latte
scivola lungo i raggi.

Noto appena che sono parole, quelle che raggiungono la poetessa. Poiché l’universo è fatto di storie, sono inevitabilmente parole quelle che le arrivano dal cosmo. Parole che sono capaci di nutrire: latte, latte avverte scivolare lungo i raggi Maria Luisa, dove la semplice ripetizione del termine regala al verso un senso di più decisa concretezza.

La luna sbuca tra le nubi blu
e petrarchista anche le macerie.
Bossi ligustri, acanti: i vostri rami
non stormiscono qui.

Di notte tutti i gatti sono bigi,
e rinasce un profumo di mentuccia.
spietato è il sole che denuncia al vento
i rifiuti, i crateri, le rughe.

Come è amica la notte! Tempo propizio per chi osserva le stelle, come per chi fa poesia. In un certo senso il Sole è spietato, mette tutto in evidenza, è totalmente assertivo, non lascia spazio all’immaginazione. Solo la notte permette quel riparo, apre quell’ambito pregiato di dialogo con il cosmo dove rinasce un profumo di mentuccia e sono sottratti alla vista i rifiuti, i crateri, le rughe. La notte inaugura periodicamente un ambito di libertà alla nostra esistenza, sottraendo alla vista ciò che per mille motivi, si desidera lasciare occultato.
Ed è un vero dialogo quello che si instaura tra la poetessa ed il nostro satellite, come dolcemente confermato da altri suoi versi,

Finche non si spenga la luna continuo a contemplarla
se sono sola e niente mi distrae.
Le parlo. Suggestive le risposte.
E piene di sorprese.

Che quindi non si possa dialogare con il cosmo lo pensiamo soltanto noi, quando ricadiamo nella nostra ordinaria distrazione, nella nostra spicciola sfiducia, nel nostro usurato scetticismo. Non lo pensano certo i poeti, ovvero non lo pensa la parte in noi che è rimasta realmente creativa, che gioca con la realtà con la capacità mirabile dei bambini. Che ne onora intimamente la intrinseca carica di meraviglia, prima ancora che analizzarla o quantificarla, frammentarla per cercare di estrarne i segreti e deporli – depauperati ormai di ogni carica poetica – sotto la impietosa luce solare.
Ma non esiste oggetto d’amore con il quale non si desideri ultimamente identificarsi. Non esiste oggetto d’amore che non sia già, in qualche modo, parte di noi, che non sia noi in qualche segreto schema cosmico.

A giorni alterni sono io la luna
e tu l’immensa terra che mi attira,
e questa notte tu, tu sei la luna
io ti tengo al guinzaglio –

so che mi stai sognando, mi accarezzi
i globuli lo sanno del mio sangue,
ogni mio nervo teso come un arco
o un’arpa eolia che vibra al respiro.

Qui il respiro del cielo raggiunge la sua massima concretezza, entrando finalmente nella carne e nel sangue. Come già per Ungaretti, si tendono i nervi come un’arpa che vibra al respiro cosmico. La sottilissima sensibilità della Spaziani ci riporta così a quella comunione con il cielo che sempre più ci appare come condizione irrinunciabile del fare poesia. Più in generale, come condizione necessaria per ogni reale radicamento nel nostro ambiente e nel nostro tempo.

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Scritto da

Marco Castellani Marco Castellani

Ricercatore presso l'Osservatorio Astronomico di Roma. Si interessa di popolazioni stellari ed è nel team scientifico del satellite GAIA di ESA. Divulgatore e scrittore per passione, gestisce da anni il blog divulgativo Sturdust.blog (già GruppoLocale.it) e coordina il progetto Altrascienza.it.

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