Lo spazio tra le pagine

Le stelle vive di Broggiato

Come le stelle sono viste dal vincitore del Premio Nazionale Frascati Poesia Antonio Seccareccia assegnato il 16 dicembre 2023

Sabato 16 dicembre si è svolta la cerimonia di premiazione del prestigioso Premio Nazionale Frascati Poesia Antonio Seccareccia, alla quale ho avuto il privilegio di assistere. I finalisti della sessantatreesima edizione erano Tiziano Broggiato con il volume Sorvoli, Gabriella Pace con Ritorno, Massimo Panio con Anonimie. Alla premiazione erano presenti note poetesse e poeti italiani come Vivian Lamarque, che (con grande simpatia) ha letto sue alcune poesie sul palco, e Claudio Damiani, facente parte della giuria del premio stesso. I riconoscimenti assegnati a diverse classi delle scuole del circondario, durante la cerimonia stessa, hanno eloquentemente confermato che la poesia è davvero un bene comune e come tale, inestirpabile da ogni serio tragitto educativo: esattamente come la scienza.

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Disegno di Davide Calandrini – @davidecalandrini – vedi la versione originale

Dedicato da tempo alla memoria del poeta Antonio Seccareccia, il premio nasce dalla semplicità di giovani poeti amici – Seccareccia, Giorgio Caproni e Ugo Reale – che, una sera d’autunno del 1959, organizzano a Frascati una cena invitando altri amici scrittori. La sua prima denominazione è Premio Botte di Frascati (ogni riferimento all’ottimo vino dei Castelli Romani è tutt’altro che casuale).
Il vincitore di questa edizione è stato Tiziano Broggiato. Vicentino, classe 1957, Broggiato ha pubblicato diverse raccolte di poesia e guadagnato importanti riconoscimenti. Tuttavia il senso – come sottolineato sul palco da Andrea di Consoli, che ha ben condotto la serata, efficacemente coadiuvato da Rita, figlia del poeta Seccareccia – è stato davvero quello di una festa comune, in cui tutti noi presenti eravamo vincitori. Vincitori innanzitutto di una serata trascorsa a contatto stretto con la poesia e i poeti, che è sempre una vittoria perché è sempre un arricchimento. In questi tempi realmente difficili è più che mai necessario iniettare nel cosmo quella parola poetica che si propone come viva ipotesi di senso, di bellezza e dunque di pace, ad ogni livello e in ogni ambito.
Venendo a Sorvoli, l’agile volumetto di Broggiato contiene diversi spunti perché possa essere inserito a pieno titolo nella nostra rubrica. Vale la pena percorrere rapidamente il volume trattenendo queste percepibili scie di cosmo, di luna e stelle: senza tentare qui alcuna recensione in senso proprio, ma rimanendo appena fedeli all’aggancio celeste che ci propone Broggiato e che porta avanti – in modo discreto ma costante – per tutto il volume.
Già dall’esergo in apertura (ma vorrei dire, già dal titolo stesso della raccolta) arriva il suggerimento di aprirci allo spazio,

Il poeta è colui che vola sopra la terra
e la guarda dall’alto e al tempo stesso
colui che ne vede ogni suo dettaglio.

Questo scampolo di Ceszlaw Miloz, assai meglio di tanti discorsi, ci mostra come tra poesia e cielo sussista un traffico buono, un commercio salutare: il poeta si stacca da terra proprio per vederla meglio, accoglie il cielo per essere più presente nel suo tempo.
Trovo particolarmente suggestivo, in questo senso, il fatto che la prima parola della raccolta sia stelle. Questa infatti la lirica in apertura volume:

Stelle inquiete e dalle palpebre stanche
guardano giù, alla temibile primavera
che finge di ascoltare una remota radio
dalla lingua inaccessibile.
il fiume si aggira stizzito
tra le aride pietre dove non suonano più
le sue acque.
Sulla riva, gli stridi brevi degli uccelli
si rincorrono: l’albero morto non dà riparo.

Noi, nessuno ci aspetta.

La notte, provata, si accomiata liberandosi
delle particelle scure lungo le bisbiglianti scale
che conducono a casa.
Torna il silenzio degli amanti primitivi
dove anche le vocali girano a vuoto.

Qui le stelle di Broggiato ci appaiono inquiete e dalle palpebre stanche: sono stelle che guardano giù ovvero cercano la relazione con la Terra e con chi vi abita. Soffrono loro stesse di questa notte provata che si allontana liberandosi dalle particelle scure (suggestivo rimando – o almeno io così lo vedo – a quanto di inconosciuto ci circonda, come materia ed energia oscura). Sembra che il cosmo stesso si strugga per la piana evidenza di questa gelida frase centrale, perno gravitazionale dell’intera composizione, Noi, nessuno ci aspetta.
Un cosmo di stelle vive è dunque la prima evidenza, per il poeta. Su questa medesima direttrice, ma in senso opposto, nella lirica Alberi rossi, vanto forte Broggiato noterà, nel descrivere uno scenario di natura arresa e sgomenta, che

nemmeno le stelle che si vedono,
qui, sono vive.

Per un poeta, come per un bambino, tutto è vivo. Per Broggiato le stelle vivono della vita sulla Terra e parimenti muiono, delle stesse morti di certi ambienti e certi scenari. In certe situazioni, in certi ambienti del cuore, le stelle si possono vedere ed al contempo essere morte, possono cioè gravitare al di fuori di quel rapporto specifico con l’umano, che le vivifica esse stesse.
Anche la Luna è fedele compagna di Broggiato, poiché la vediamo comparire in diverse liriche del libro. Il nostro satellite appare come una sorta di guida celeste, come colei che ci afferra e ci recupera dallo smarrimento. Così, infatti, in Prima del sonno

Quando il sole splenderà
molti più anni del previsto
e i ricordi sgomiteranno
per prendere il posto di quelli
che si sono rivelati soltanto
degli appiccicosi sogni,

sarà la generosa luna
affacciata sul giardino del ieri,
e provenendo perciò da un’altra vita,
a indicarci il luogo da cui
si riuscirà a percepire il cielo
anche senza vederlo.

Il cosmo e ciò che contiene, in estrema sintesi, si propone come punto di equilibrio nell’incerto snodarsi delle vicende umane. Sempre la luna accompagna, in un’altra lirica, il chiudersi di una notte così così

Mentre la luna si sta accomiatando
dopo una notte così così,
voci che non sono che ronzii
sperduti nel cavo degli anni, affiorano
difficili da riconoscere.

Voci simili a un antico sonoro
che chiamano giù,
nelle bisbiglianti acque del sonno.

Ma è nell’universo fatato dell’infanzia che la Luna si coniuga con la Terra in modo da ritrovarsi quasi uguale a lei, addirittura con una superficie simile. In quel tempo magico, come scrive in un’altra lirica

la terra, allora, era più vicina:
aveva una superficie simile
a quella della luna.

La Luna cioè era familiare, Terra e Luna erano specchio l’un dell’altra e avevano entrambe il colore del sogno, la fragranza delle immense possibilità. Luna e Terra sono simili per chi sente di avere tutto davanti a sé, l’universo e quanto contiene è amico e compagno di viaggio. Non c’è distanza, non c’è alterità, non c’è neppure quella cupa angoscia pascoliana che abbiamo già esplorato.
E su questa similitudine – che poi è un augurio di rinnovata alleanza tra cielo e terra, tra poesia e scienza – tutti noi possiamo riprendere fiato, riprendere il volo, possiamo tentare comunque nuovi sorvoli per scoprire, dall’alto, che tutto è sempre ancora giovane, tutto è sempre ancora da inventare, tutti noi siamo ancora bimbi, in fondo. E la terra – grazie al cielo – ha (di nuovo) una superficie simile a quella della Luna.

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Scritto da

Marco Castellani Marco Castellani

Ricercatore presso l'Osservatorio Astronomico di Roma. Si interessa di popolazioni stellari ed è nel team scientifico del satellite GAIA di ESA. Divulgatore e scrittore per passione, gestisce da anni il blog divulgativo Sturdust.blog (già GruppoLocale.it) e coordina il progetto Altrascienza.it.

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