Aggiornato il 28 Novembre 2024
L’universo ha ancora moltissimi misteri da svelarci. Il modo più semplice per vederlo è andando a esaminare la sua composizione: all’incirca il 5% dell’universo è costituito da materia ordinaria; circa il 30% da materia oscura; il restante 65% da energia oscura. Mentre c’è la speranza che parte di quella materia oscura sia costituita da materia ordinaria o da buchi neri, per quel che riguarda l’energia oscura si brancola letteralmente nel buio. La sua presenza, però, viene in qualche modo valutata all’interno delle equazioni della cosmologia standard, che si basa sulla teoria del Big Bang e sull’inflazione cosmica. Secondo questa visione, infatti, l’universo, a causa di fluttuazioni quantistiche, si è espanso da una situazione a densità infinita con una velocità superiore a quella della luce. Nonostante tutti i problemi che i modelli di inflazione cosmica si portano dietro, questa visione dell’evoluzione dell’universo è ancora saldamente quella standard, soprattutto per via dei risultati sperimentali ottenuti dallo studio della radiazione cosmica di fondo.
Quest’ultima è una radiazione che viaggia nello spazio a una frequenza pari a quella delle microonde, generata alcuni minuti dopo l’espansione iniziale propriamente detta del Big Bang: la sua scoperta da parte di Arno Penzias e Robert Wilson (per cui vinsero il Premio Nobel nel 19..) fu la conferma sperimentale più importante della teoria. Quando, successivamente, ci si rese conto che per descrivere in modo più corretto l’espansione dell’universo era necessario un nuovo ingrediente, si fece largo l’idea dell’inflazione cosmica, proposta nel corso degli anni Ottanta dallo statunitense Alan Guth e, in maniera indipendente, dal sovietico Alexei Starobinski.
L’idea dell’inflazione cosmica e tutti i modelli che si sono basati su di essa, pur avendo ottenuto tutta una serie di successi e conferme sperimentali, è ben lungi dall’essere completamente accettata dalla comunità dei cosmologi: viene, infatti, vista come un meccanismo complesso, costruito ad hoc man mano che i risultati sperimentali venivano arricchiti o miglioravano, mentre altri modelli cosmologici alternativi sembrano più efficaci perchè basati su pochi elementi matematici, per quanto forse più complessi. Uno dei modelli che hanno sfidato la cosmologia standard basata sull’inflazione cosmica è l’universo ciclico di Paul Steinhardt e Neil Turok, che hanno raccontato la costruzione del loro modello e il confronto con l’inflazione cosmica in Universo senza fine, saggio del 2007 giunto in Italia l’anno dopo grazie al Saggiatore.
Il testo dei due cosmologi è una cavalcata appassionante all’interno della storia della cosmologia, non solo dei quasi trent’anni che hanno preceduto l’uscita del libro, ma anche dei sessanta che hanno preceduto la nascita dell’inflazione cosmica. I due autori, infatti, con grande chiarezza e con qualche digressione pop che non fa mai male, raccontano dell’avventura della fisica teorica per comprendere l’evoluzione dell’universo a partire dalla relatività generale di Albert Einstein. Peraltro dei due autori, uni di questi, Steinhardt, ha anche fornito un contributo fondamentale al modello iniziato da Guth per risolverne alcuni problemi, salvo poi osservare come il modello, anzichè semplificarsi, diventava sempre più complicato, un po’ come il modello tolemaico del Sistema Solare. D’altra parte la semplicità del modello dell’universo ciclico costruito da Steinhardt e Turok si basa sulla teoria delle stringhe, in particolare su una sua versione unificata con la supersimmetria che prevede l’esistenza di due universi-membrane di dimensioni superiori a 4 che interagiscono uno con l’altro attraverso una forza di tipo elastico che permetterebbe al tempo stesso di spiegare i periodi di espansione accelerata e l’energia oscura che sembra in qualche modo guidarli.
I due modelli, però, non hanno ancora ottenuto la verifica definitiva, quella che ci farebbe stabilire quale dei due è corretto (o se nel caso non lo sia nessuno dei due, come in qualche modo sembrerebbero suggerire le sempre maggiori discrepanze riscontrate nella misura della costante di Hubble). D’altra parte il modello ciclico, matematicamente legato a teoria delle stringhe e supersimmetria, modelli che non sono ancora riusciti a superare alcuna verifica sperimentale, sembra decisamente in difficoltà . Se uniamo ciò a quanto velocemente si sono succeduti alcuni importanti risultati astronomici negli ultimi due o tre anni, si sarebbe tentati di tacciare il testo di Steinhardt e Turok come datato. Il punto, però, è che i risultati della missione Planck sulla radiazione cosmica di fondo non hanno risolto la diatriba tra i modelli inflazionari e le sue alternative, incluso il modello ciclico, mentre la scoperta delle onde gravitazionali, citate insieme agli interferometri LIGO all’interno del testo, non avrebbe mai potuto fornire un indizio in favore di uno di questi modelli. Per cui, anche a distanza di poco più di un decennio, Universo senza fine risulta un’ottima lettura divulgativa, che anche se un po’ indietro rispetto alle scoperte sperimentali, continua, purtroppo, a essere una buona fotografia sullo stato dell’arte della cosmologia moderna.
Il punto forte del libro, però, è un altro e lo si scopre alla fine della lettura: i due autori, infatti, alla fine più che voler convincere il lettore della correttezza del loro modello, vogliono passargli un’idea fondamentale, ovvero che la costruzione della conoscenza scientifica è un processo lungo che richiede anni e anni di ricerche, sia matematiche sia sperimentali, e che spesso si arricchisce quando ci sono modelli matematici concorrenti, come nel caso dei modelli cosmologici. E questo mi sembra un buon motivo per leggere ancora oggi Universo senza fine.
Abbiamo parlato di:
Universo senza fine
Paul Steinhardt, Neil Turok
Il Saggiatore, 2010
312 pagine, brossurato – € 12,00
ISBN: 9788856502046
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