Aggiornato il 18 Giugno 2021
L’astronomia spesso e volentieri evoca immagini di spazi infiniti, di bellezza senza limiti, e probabilmente l’idea stessa di una libertà totale e assoluta. E può dunque sembrare un po’ paradossale andare a parlare di astronomia a persone che vivono una situazione angosciante, chiusi in uno spazio confinato, privati della loro libertà per un certo periodo. In realtà, però, l’astronomia è forse una delle scienze migliori per lavorare in carcere. È una scienza teorica, osservativa e tecnologica i cui contenuti, ma soprattutto i cui processi e metodologie, possono essere raccontate con vari strumenti di didattica non formale. Strumenti che vanno al di là dell’astrofisica in sé, che possono contribuire a creare o rafforzare quelle soft skills utili non solo nel mondo ristretto del carcere, ma soprattutto nel mondo in cui, prima o poi, i carcerati – in particolare quelli giovani – dovranno rientrare.
Con questo spirito è stato avviato, nell’agosto 2020, il progetto Apriti, cielo! all’interno dell’Istituto Penale Minorile di Quartucciu (CA). Un progetto costruito, in co-progettazione tra INAF e lo staff dell’IPM, intorno ai bisogni educativi dei giovani detenuti. Un percorso che si basa sulla partecipazione attiva dei ragazzi, per creare un’esperienza coinvolgente ed emotivamente forte.Niente lezioni frontali, niente attività pre-strutturata. Tanti racconti per iniziare: di biografie di scienziati famosi e forse noti ai ragazzi (Galileo, Newton, Einstein, Marie Curie), ma anche di personaggi meno comunemente noti (Edison, le astronome della scuola di Harvard). Ma anche storie di come si è arrivati a certe scoperte (per esempio gli esopianeti) o a certi risultati incredibili (per esempio la corsa storica alla Luna e quella più recente alle missioni spaziali), o ancora storie legate alle diverse culture.
Storie che introducono attività, ma che spesso servono per solleticare l’immaginazione, per stabilire un contatto, per abbattere barriere culturali (e linguistiche) ma soprattutto per creare una relazione emotiva con le vite e le esperienze dei ragazzi. Che hanno commesso crimini, è vero, alcuni anche crimini gravi. Ma che sono ragazzi e come tali hanno ancora voglia di mettersi in gioco, di sperimentare, di raccontare a loro volta. Basta trovare la chiave giusta, e ascoltare prima di ogni altra cosa. Per scoprire che molti di loro hanno un livello bassissimo di conoscenze di base (spesso il livello di scolarizzazione si ferma alla scuola secondaria di primo grado), un alto livello di diffidenza e a volte paura del giudizio. Ma anche curiosità e voglia di confrontarsi, e addirittura voglia di imparare. Perché, anche se in modo magari istintivo crediamo tutti che, come ben dice Paul Freire, l’educazione è libertà.
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