Aggiornato il 28 Agosto 2021
Eccoci al secondo appuntamento con gli esperti per il progetto Destinazione Futuro. Oggi abbiamo il piacere di leggere e commentare alcune delle risposte ricevute insieme a Maria Frega, scrittrice e sociologa, appassionata sia di scienza che di fantascienza.
Puoi raccontarci il tuo percorso e com’è nata la tua passione per la scienza?
Sono laureata in sociologia, specializzata in comunicazione e per lungo tempo ho fatto giornalismo, poi mi sono focalizzata sulla scrittura più lenta e ho pubblicato libri di saggistica, tutti insieme allo scrittore Francesco De Filippo. Gli ultimi due, “Prossimi umani” e “Filosofia per i prossimi umani”, sono raccolte di interviste rispettivamente a scienziati e umanisti a cui abbiamo chiesto di raccontarci come sarà il mondo tra vent’anni. La scienza è il mio pallino da profana: mi affascina lo spettacolo del cielo, la magia di pensare che uno di quei mondi possa essere un giorno conosciuto dai nostri discendenti, e poi tutta la tecnologia che c’è dietro.
E la fantascienza?
Come per tanti, l’interesse è nato perché avevo un papà appassionato di fantascienza: guardavamo insieme Star Trek, penso di conoscere tutti gli episodi della prima serie, ogni fotogramma. Poi leggevamo le storie di H. G. Wells, i viaggi nel tempo… e poi Isaac Asimov, che per me è letteratura. Adesso mi sto appassionando a tutto ciò che ha a che fare con l’intelligenza artificiale, l’evoluzione delle idee di Asimov. Mi affascina sapere che la tecnologia che solo decenni fa era fantascienza adesso è possibile: satelliti, razzi per la luna, colonie spaziali.
Una delle nostre domande parte proprio da una suggestione di Star Trek: abbiamo chiesto ai partecipanti di raccontarci come immaginano “l’ultima frontiera” dell’umanità. Molti sognano viaggi spaziali e comunità interplanetarie, progressi nella propulsione e un allungamento del ciclo di vita. Ma non mancano riflessioni che ci riportano a Terra, come quella di Giancarlo Manfredi: L’ultima frontiera, sebbene non serva andare molto lontano nello spazio, è estremamente difficile (se mai possibile) da raggiungere: parlo di un’evoluzione etica dell’umanità, senza la quale non ci sarà futuro degno di essere vissuto, a dispetto di tutte le conoscenze e tecnologie. Spesso esplorare il Cosmo e migliorare la vita sulla Terra sono percepite come aspirazioni antitetiche, ma lo sono davvero?
Questa conciliazione del progresso che sia etico, sostenibile, umano è la chiave di ogni sviluppo scientifico e tecnologico nel futuro. L’esplorazione spaziale ci fa capire, con le sue difficoltà, che occorre innanzitutto salvaguardare la Terra. Non possiamo pensare, come fanno certi miliardari, di lasciare la Terra e andare a colonizzare Marte. E proprio la ricerca spaziale ci aiuta a trovare quella tecnologia per continuare a vivere bene su questo preziosissimo pianeta che, nei paraggi, pare sia l’unico vivibile. D’altro canto, tutte le tecnologie che ci aiutano a migliorare la vita – genetica, bio-ingegneria, robotica – sono avventure della conoscenza fantastiche, però dobbiamo ancora risolvere dei dilemmi etici enormi. Qui la filosofia ci viene incontro: ci sono laboratori scientifici, anche in Italia, in cui c’è un filosofo, uno storico, un antropologo…
Quello che dici risuona con alcune risposte a un’altra domanda, a proposito delle lezioni che la scienza può imparare dalla fantascienza. Secondo Dabogirl: Esplorare con ottimismo, collaborare anche con chi non ti aspetti possa aiutarti (es. scienze umane). Secondo Wolly, invece, la ricerca deve andare nella direzione di un futuro migliore, non per profitto. Cosa ne pensi?
Azzardo un paragone: così come la fantascienza è derivata per molti autori, come Asimov e Clarke, dai loro studi scientifici, non bisogna temere una deriva umanistica della scienza. Anche il genio più spettacolare in un laboratorio prima o poi si chiederà nelle mani di chi andrà la sua invenzione: deve chiederselo, altrimenti proliferano sfruttamenti, aberrazioni. L’orientamento etico e umanistico serve anche a indirizzare i fondi, che dipendono dal consenso democratico dei cittadini sulla base della fiducia, e la fiducia si dà a chi risolve i problemi.
Come vivono i giovani di oggi questa separazione delle discipline, che trova poco riscontro in una società in cui sono richiesti sempre più ibridi in grado di destreggiarsi tra i vari saperi?
Ne ho parlato con diversi ragazzi quando presentiamo i libri nelle scuole con il mio co-autore. La specializzazione eccessiva e la separazione dei saperi non sono problemi dei ragazzi ma del sistema scolastico. C’era nell’università il sogno di Giulio Giorello, docente emerito di filosofia della scienza scomparso lo scorso anno, che proponeva corsi di filosofia a chi studiava matematica, fisica, chimica. Sono casi sporadici, non c’è un sistema, ma io credo che i ragazzi ne approfitterebbero subito.
Circa il 60% dei partecipanti si è detto incuriosito dall’ultima frontiera descritta mentre il 30% ne è spaventato, e il 10% riporta entrambe le emozioni. Credi che questa distribuzione sia uno specchio della società oggi?
Penso che in questo momento storico siamo più spaventati. Lo dimostra lo scetticismo nei confronti del vaccino, soluzione straordinaria offerta dalla medicina. Io capisco lo scetticismo, la paura – capisco meno chi non vuole ascoltare i medici, i ricercatori. Ogni volta che, presentando il libro, raccontavamo l’ottimismo degli scienziati, ricevevamo domande spaventatissime. Si fa fatica a eliminare le paure: la fantascienza ha cercato di esorcizzarle con storie di distruzione, annientamenti, in cui però c’è sempre un barlume di fiducia nell’Uomo che risolve le cose. La curiosità è la molla più importante, sia per gli scienziati che per i cittadini, e in questo il lavoro divulgativo fatto dagli scienziati – la divulgazione dell’ottimismo e della fiducia – è fondamentale.
Quasi all’unanimità, i partecipanti pensano che no, non siamo soli nell’Universo. Alcuni citano Contact: sarebbe uno spreco di spazio. Altri sottolineano che l’Universo non è tenuto ad avere senso, con o senza di noi. GG si chiede chissà cosa vedremmo se potessimo guardarlo da altri pianeti o galassie. Eppure, neanche cento anni fa gli scienziati credevano di vivere in un Universo molto più piccolo: non si conoscevano altre galassie fuori dalla nostra. I primi pianeti extra-solari sono stati scoperti meno di trent’anni fa, e chissà se e quando riusciremo a trovare tracce di vita extraterrestre. Come ci ha cambiati tutta questa consapevolezza cosmica?
Ci fa porre domande. Domande a cui è difficile rispondere ma che sono altrettanto importanti quanto le risposte. Chiedere se esistono altre forme di vita non è una domanda tanto scientifica quanto filosofica: finché non avremo la prova di quel pianeta vicino a una stella simile al Sole con un barlume di atmosfera simile al nostro, non possiamo avere le prove dell’esistenza di forme di vita. Però facciamo un ragionamento filosofico: non possiamo essere soli, non può essere un caso.
Alla domanda riguardo al nostro diritto etico di terraformare un pianeta, il 43% ha risposto di sì, il 32% di no, e il resto sono indecisi. Siamo pronti, come società, a intraprendere questo dibattito?
Non è una domanda prioritaria nel dibattito pubblico, e anche da frequentatrice di festival scientifici non ne sento parlare. Io sono molto scettica sulla presenza umana su Marte. Sembra una prova di forza quasi colonialista. Certo sarebbe un’impresa grandiosa, ma ai fini scientifici bastano i robot, che si comportano egregiamente. E poi l’uomo su Marte apre altri dilemmi… chi si prende la responsabilità? Chi porta avanti queste iniziative, e perché? Anche il recente volo spaziale del fondatore di Virgin cos’è, se non un viaggio di piacere per super miliardari? Un’altra perplessità che ho ultimamente è sull’esplorazione lunare: si dice che debba andarci una donna, ma perché una donna? Una qualunque? Ci deve andare la persona più adatta a gestire una situazione enorme che rimarrà alla storia: sarei felicissima se fosse una donna, però non per elezione.
Questi dilemmi ci riportano a un’altra domanda: nell’eventualità di un primo contatto con gli alieni, chi dovrebbe parlare? C’è chi ha risposto l’Onu, chi i leader spirituali… molti ritengono che debbano farlo gli scienziati, molti ancora che non debbano farlo i politici. C’è chi dice semplici persone, purché empatiche e di ampie vedute, ma anche i bambini – che non sappiano ancora parlare secondo Giuseppe Piccinotti – oppure i musicisti. Torna alla mente il Golden Record che viaggia ai confini del Sistema Solare a bordo delle sonde Voyager. I linguaggi non verbali riscuotono successo: c’è chi propone la matematica, chi un abbraccio. Cosa ci dicono queste risposte sulla nostra voglia di comunicare, ma anche di raccontarci?
Vorrei citare, non ricordo chi l’ha detto, che se e quando arriverà una civiltà aliena, la prima cosa che comunicheremo è la Terra stessa, come abbiamo trasformato il pianeta. Vedrebbero questo pianeta meraviglioso, blu, pieno di flora e fauna, ma anche urbanizzato, in parte danneggiato: conoscerebbero la nostra civiltà attraverso il colpo d’occhio entrando nell’atmosfera. Per quanto riguarda la comunicazione, le risposte sono bellissime. Anch’io, in un mondo ideale, manderei i “cuori buoni” – un artista, un sognatore. I limiti dei politici e della diplomazia sono chiari: il loro compito è governare una società, non instaurare un dialogo con qualcuno che non conosciamo. Anche gli scienziati avrebbero qualche limite, finché non sanno chi sta arrivando e da dove… Un bambino sarebbe una bellissima idea, ricorda il classico della fantascienza Ultimatum alla Terra.
Tra le invenzioni ritenute realizzabili nei prossimi decenni, le risposte più popolari sono basi sulla Luna e su Marte e l’esplorazione del Sistema solare, ma anche intelligenza artificiale cosciente e ibernazione. Che ne pensi, anche alla luce delle ricerche nei tuoi due libri, Prossimi umani e Filosofia per i prossimi umani?
Le innovazioni spaziali potrebbero essere le più probabili, visti anche gli investimenti. Nei nostri colloqui con gli scienziati, abbiamo parlato molto di intelligenza artificiale, non ad arrivare alla coscienza, quello è un argomento molto dibattuto. Però l’intelligenza artificiale pervasiva già c’è: negli smartphone, nei luoghi di produzione, nelle fabbriche, con la pandemia l’abbiamo sperimentata anche negli ospedali. Sull’ibernazione la vedo più dura. Sarebbe una possibilità per pochi, di cui non si conoscono gli esiti: un capriccio, non un’esigenza globale. La frontiera dei prossimi decenni secondo me è ancora una volta la medicina, lo sviluppo di terapie per le malattie neurodegenerative che fra trent’anni colpiranno la maggior parte delle persone anziane. Altrimenti chi ci mandiamo sulla Luna?
Abbiamo anche chiesto che tipo di società dovremmo aspirare a costruire fuori dalla Terra. Molti descrivono società inclusive, egualitarie e senza pregiudizi – à la Star Trek dice El Qhawaq. Alcuni sono scettici che noi umani potremo realizzarla. Ma c’è chi è fiducioso, come Gabriella Cordone Lisiero: La stessa che auspico sulla Terra: un’unione di popoli il cui unico scopo sia quello di migliorare la condizione propria e altrui attraverso scienza e arte. Stiamo andando davvero in questa direzione?
Qui anche l’ottimismo degli scienziati potrebbe vacillare. Non vediamo sforzi per tornare a essere più solidali. La questione dei vaccini anti Covid-19 ci sta facendo vedere queste differenze: ci stiamo disinteressando agli stati più sfortunati, pur sapendo che se non risolveranno il problema, ce lo ritroviamo noi. L’ideale sarebbe avere nei “pianeti B” quello che accade nella comunità scientifica, sulla stazione spaziale o nei laboratori in Antartide: una comunità senza bandiere, volta solamente a migliorare la vita dell’uomo. Funzionerà? Non lo so, ma non è nemmeno giusto demandare ai cittadini o agli scienziati questa responsabilità, se no la politica ha fallito. Già rendersi conto che abbiamo un problema sulla Terra è una consapevolezza che potrebbe aiutare.
E per finire, una serie di domande a botta e risposta:
Film di fantascienza preferito?
Sarò banale: 2001 Odissea nello spazio.
L’ultima frontiera dell’umanità?
Abitare l’Universo come se fosse un pianeta – ma è proprio una fantasia!.
Come ti fa sentire questa ultima frontiera: spaventa, incuriosisce o entrambe?
Mi incuriosisce.
Siamo soli nell’Universo?
No.
Qual è la più grande lezione che la scienza può imparare dalla fantascienza?
L’essere umano è fragile ma non per questo bisogna sacrificarne l’umanità.
Descrivi in quattro parole il mondo di domani: una cosa bella, una brutta, una conquista, una perdita.
Bella: la solidarietà. Brutta: la rinuncia. Conquista: un benessere universale. Perdita: la natura amica.
Concludiamo ringraziando Maria Frega per il suo tempo e la disponibilità e cogliamo l’occasione del cinquantaduesimo anniversario dal primo allunaggio, il 20 luglio 1969, per lasciarvi con uno dei settantatré messaggi di capi di stato della Terra lasciati sulla Luna dagli astronauti della missione Apollo 11:
A tutti voi che leggete, l’appuntamento è per giovedì prossimo con la terza intervista di Destinazione Futuro.
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