Aggiornato il 4 Agosto 2021
Per la serie degli esperti consultati per commentare le risposte al nostro questionario Destinazione Futuro, parliamo con Chiara Meluzzi, ricercatrice in linguistica presso l’Università degli Studi di Milano, che un paio di anni fa ha tenuto un seminario sul Klingon e sulle lingue inventate.
Iniziamo da una delle prime domande del nostro questionario: Qual è secondo te l’ultima frontiera dell’umanità e che emozione ti suscita? Ti spaventa, ti incuriosisce, o entrambe? Tra le risposte ricevute, più del 60% delle persone è incuriosito, il 30% spaventato e un 9% prova entrambe le sensazioni.
Citare Dante sarebbe forse banale, ma credo che, come scienziati e studiosi, la curiosità sia quella che spinge la nostra conoscenza verso frontiere sempre nuove. Non mi piace l’idea di “ultima frontiera” perché secondo me ci sarà sempre un nuovo orizzonte verso cui spingere le nostre conoscenze e verso cui tendere con la nostra curiosità scientifica.
E se qualcuno mi chiedesse perché dovremmo continuare a esplorare nuovi “luoghi”, anche in senso metaforico, risponderei come James T. Kirk: perché ci sono!
Secondo te, siamo soli nell’Universo? Quasi l’80% delle persone dice di no, circa il 20% non si esprime, solo pochi sostengono di sì…
No, e sarebbe anzi sciocco (e un po’ presuntuoso) pensarlo. E poi, non sarebbe anche estremamente noioso pensare di esserci solo noi nell’universo?
Le risposte date mostrano che si punta ai due estremi opposti della comunicazione, ossia da un lato un’estrema spontaneità (i bambini, gli abbracci, gli occhi e i gesti), dall’altro invece la specializzazione (la NASA, la Matematica). Tra le risposte che ho letto, qualcuno giustamente è preoccupato che ci sarebbero difficoltà di comunicazione, perché ovviamente i mezzi comunicativi sarebbero diversi. Per esempio, non è detto che gli alieni abbiano occhi, mani o labbra come noi e così non è assolutamente detto che nella loro cultura un sorriso sia sinonimo di gentilezza e non invece una minaccia. Nel caso delle comunicazioni con gli alieni, poi, non è detto che la matematica così come la intendiamo noi esista anche da loro (ricordo un numero di Topolino in cui si prendeva in giro proprio questa credenza).
La cosa più interessante che emerge dalle risposte è che, al di là del primo contatto, in molti vedono poi lo sviluppo della comunicazione come scambio di conoscenze, che tramite la lingua ci aprono l’orizzonte verso nuove forme di vita e civiltà. La lingua, quindi, diventa il veicolo verso la condivisione di saperi e culture, anche aliene.
Ti voglio proporre questa domanda creativa, alla quale molti hanno risposto scatenando la propria fantasia o rivelando sogni e ideali: Descrivi in quattro parole il mondo di domani: una cosa bella, una brutta, una conquista, una perdita. Ecco alcune risposte: tecnologia e scienza, (El Qhawaq); forse conquisteremo il Cosmo ma dovremo stare attenti a non perdere noi stessi (Umberto Genovese)
La tecnologia e la scienza vengono viste sempre come una lama a doppio taglio, ossia portatrici potenzialmente di innovazioni molto positive, ma anche cariche di una valenza negativa. Lo stesso si vede nello sguardo verso il futuro: l’idea di spingersi oltre il noto porta sempre con sé la paura anche della perdita di quello che si lascia indietro, a cominciare dalla propria identità. Lo stesso capita con le lingue: spesso si sente ancora, purtroppo, dire che acquisire una lingua straniera equivale a perdere la propria, senza mettere invece l’accento sull’arricchimento mentale e di possibilità.
Questa carica invece positiva verso l’ignoto ma anche le potenzialità degli esseri umani di superare i propri limiti erano gli ideali della serie originaria di Star Trek. Oggi invece le serie di fantascienza, anche le rivisitazioni di Star Trek, tendono a essere forse un po’ disincantate, un po’ meno ottimiste, forse, ma mostrando sempre una delle caratteristiche precipue dell’umanità: la curiosità verso l’ignoto.
Vorrei porti anche questa domanda che riteniamo molto importante: Qual è la più grande lezione che la scienza può o forse deve imparare dalla fantascienza? Qualche risposta del pubblico: A guardare sempre oltre (Alberto Varese); Di non porre limiti all’immaginazione (Emerald16); Pensare al di fuori degli schemi (Giancarlo Manfredi); La fantascienza è ciò che l’uomo immagina di realizzare: essa diventa scienza quando l’uomo realizza ciò che aveva immaginato (Michela Pavan)
Scienza e fantascienza vanno a braccetto. Molta letteratura di “fantascienza” non sarebbe stata possibile senza le innovazioni scientifiche degli anni in cui veniva prodotta e, allo stesso modo, la fantascienza ha ispirato molte delle innovazioni scientifiche di cui beneficiamo ancora oggi. Pensiamo alle innovazioni presenti in Star Trek a cominciare dai telefonini o agli ologrammi che proprio recentemente si stanno sperimentando con grande successo (attendiamo ancora, e con ansia, il teletrasporto…).
C’è poi da sfatare secondo me un grosso mito, ossia quello che la scienza sia un qualcosa di arido, privo di fantasia. Fare scienza in realtà vuol dire avere molta fantasia per ipotizzare che ci sia qualcosa oltre quello che già sappiamo, per pensare a possibilità che non sono ancora state a volte nemmeno contemplate nei diversi campi del sapere. La differenza con la fantasia, però, è tutta nel metodo: una volta che ho avuto un’idea o un’intuizione, il metodo scientifico mi permette di testarla, in un processo lungo e laborioso, a volte anche estremamente noioso e apparentemente poco appagante… di norma, nei film è il momento in cui si inserisce un “avanti veloce” con musica di sottofondo, solo che nella vita reale non è così. Ma il risultato, alla fine, è lo stesso molto appagante!
Inevitabile proporre anche a te un quesito fondamentale per una patita di fantascienza: Come ti immagini le (eventuali) forme di vita extraterrestre? Citiamo solo alcune tra le tante belle risposte: Come in Star Trek, miste (Gaia); Non riesco a immaginarmeli questi ipotetici alieni, comunque sarebbero bellissimi (Paola Tegner “Zanna”); Anche molto diverse da noi fisicamente (Marco).
Ovviamente è difficile pensare come potrebbero essere nuove forme di vita extraterrestri. Già in Star Trek veniva detto chiaramente che lo sviluppo delle diverse forme di vita dipendeva dall’ambiente specifico in cui si sviluppavano, per cui potevano esserci forme di vita al carbonio ma anche al silicio, per quanto per noi potesse sembrare strano. Il fatto poi che in Star Trek fossero quasi tutti umanoidi è solo legato a un problema pratico: gli alieni alla fin fine devono essere sempre interpretati da attori umani!
Molte delle persone hanno risposto positivamente alla nostra domanda: È forte la voglia di prevedere il futuro? Per esempio: È quello che ha mosso l’uomo dal suo primo sguardo al firmamento, ma abbiamo così tanto da scoprire che oggi è più forte che mai (Claudia): Tu che ne pensi?
Dalle risposte emerge secondo me un grande ottimismo e il riconoscimento di una caratteristica peculiare dell’essere umano ossia la curiosità. Mi piace come molti associno l’idea di “prevedere il futuro” alla fantasia e all’immaginazione, visti come il vero motore dell’innovazione. C’è anche però il rovescio della medaglia, ossia chi teme il futuro e quello che ci porta: è la paura dell’ignoto, di quello anche che non possiamo pianificare perché ci è nascosto. Ad esempio, per i Turkana il futuro è alle spalle proprio perché non si vede. In generale l’ignoto provoca insicurezza e paura nell’essere umano, a cui fa da contraltare la fantasia e l’immaginazione per spingerci sempre “oltre”.
Ora ti vorrei porre una domanda un po’ più personale, che penso interessi il pubblico: Come sei arrivata alla fantascienza?
Fin da piccola ho sempre preferito le storie di fantasia a quelle ambientate nella realtà, forse per un bisogno di evasione e di gioco. Da bambina guardavamo spesso la cassetta (VHS) in cui papà aveva registrato il quarto film di Star Trek, “Ritorno alla Terra” che per noi era il film con le balene. Poi dopo Star Trek 2009 abbiamo recuperato anche le precedenti serie (l’evoluzione tecnologica e internet hanno aiutato notevolmente) e sono veramente affascinata dalla Serie Classica, ma anche da tutte le altre che, ognuna a modo suo, aggiunge un tassello all’universo trekker e ci porta là dove nessun uomo è mai giunto prima.
Il Klingon nasce un po’ per caso, come tutte le cose: il regista aveva degli esseri alieni che dovevano parlare in una lingua che suonasse parimenti “aliena”. Le prime parole in Klingon furono ideate da James Doohan, l’attore che nella serie classica interpreta Montgomery “Scotty” Scott, l’ingegnere capo sulla Enterprise. Ancora non si trattava di una lingua strutturata come invece fu a partire dal terzo film di Star Trek “Alla ricerca di Spock”: in questo caso i Klingon dovevano pronunciare battute anche molto lunghe e quindi c’era bisogno di un sistema linguistico con una sua coerenza interna. Per questo fu interpellato un linguista, Marc Okrand, che scrisse una grammatica e un primo dizionario del Klingon.
Il mio interesse per il Klingon è nato da linguista e in particolare da fonetista, perché ero curiosa di quei suoni molto aspri e gutturali così caratteristici. Da lì ho iniziato ad appassionarmi anche al lessico e alla struttura morfo-sintattica e quando ho scoperto che c’è anche il corso su Duolingo è stata la fine!
A proposito di lingue “aliene” o “inventate”, c’è chi ha introdotto il termine di “xenolinguistica” per la scienza che se ne occupa: cos’è la xenolinguistica e quali sono le differenze tra lingue inventate e lingue artificiali?
Il termine “xenolinguistica” non indica una branca delle scienze linguistiche odierne, ma un campo ipotetico di studio di linguaggi alieni. Nella fantascienza di solito gli interpreti o esperti di comunicazione come Nyota Uhura sono esperti di xenolinguistica, con un maggior grado di specializzazione in una o più lingue: ad esempio Uhura ha difficoltà a parlare in Klingon come si vede nel sesto film, mentre nel film del 2009 dice che parla correntemente tutti e tre i dialetti del romulano.
Puoi descrivere il tuo metodo di ricerca? Fino a che punto la linguistica può essere considerata una scienza?
La linguistica è da considerarsi una scienza in quanto applica un metodo scientifico basato sull’osservazione della realtà, la formulazione di una domanda di ricerca, la raccolta di un campione di dati per testare l’ipotesi di ricerca e poi un’analisi per rispondere alla domanda inizialmente formulata. Ovviamente la domanda di ricerca cambierà a seconda del livello di analisi del sistema linguistico che stiamo considerando. Ad esempio, io mi occupo principalmente di variabilità sociofonetica della lingua, ossia sono interessata a vedere se modifichiamo i suoni della nostra lingua a seconda del tipo di interlocutore con cui interagiamo. I campi di applicazione della linguistica sono davvero potenzialmente infiniti, ma quello che conta è la serietà e il rigore metodologico con cui si opera se si vuole condurre un’indagine linguistica.
Passiamo a qualcosa di sempre più comune nella nostra vita quotidiana: Siri l’assistente vocale, Alexa, in pratica il dialogo uomo-macchina: da HAL in “2001: Odissea nello Spazio” alla lingua dei robot, fino agli assistenti vocali. Che rapporto c’è secondo te tra lingua e intelligenza artificiale?
L’idea di creare delle “macchine parlanti” ha una storia di quasi un secolo, con risultati più o meno felici a seconda dei casi. L’idea alla base è che una macchina possa comunicare con l’uomo e viceversa, con degli ovvi problemi di inter-comprensione reciproca, non tanto a livello di forma della lingua ma dei significati e soprattutto di tutto quel ‘non-detto’ su cui si gioca la conversazione umana. Ad esempio, le nostre comunicazioni si giocano molto sulle conoscenze condivise del mondo tra noi e il nostro interlocutore, ma anche sull’ironia o gli scherzi, per non parlare della grande variabilità della lingua, dagli accenti al tono di voce. Questa è la frontiera attuale per potenziare il dialogo uomo-macchina.
Per finire, un classico tentativo di comunicazione con gli alieni, esemplificato anni fa dal messaggio di Arecibo: cosa inseriresti in un ipotetico benvenuto inviato nello Spazio un po’ come un messaggio in una bottiglia?
Sarò forse banale, ma inserirei un videomessaggio con la frase Ciao, un saluto dalla Terra! in tutte le lingue del mondo… o almeno in tutte quelle che riusciamo a documentare!
Grazie mille per il tuo prezioso contributo Chiara!
Per un approfondimento sul Klingon, potete dare un’occhiata alla breve video-intervista con Chiara Meluzzi.
Vi diamo appuntamento a giovedì prossimo con la quarta intervista di Destinazione Futuro.
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