Stupendi i versi di Walt Whitman
Quando le dimostrazioni, i numeri, furono dispiegati dinanzi a me,
Quando le carte e i diagrammi mi furono mostrati per sommarli, dividerli e misurarli,
Quando ascoltai trepidante l’astronomo nell’aula delle sue famose lezioni,
Quanto inspiegabilmente presto divenni esausto e sofferente,
Fino a quando alzandomi e scivolando via iniziai a vagare in solitudine,
Nell’umida e misteriosa aria notturna, e secondo dopo secondo,
Volsi lo sguardo alle stelle nel perfetto silenzio.
Quello che viene considerato il padre della poesia americana, che pubblicò (a proprie spese) uno dei poemi più importanti dell’era moderna, ovvero il celeberrimo Foglie d’erba, poteva certo permettersi di parlar chiaro, ovvero fare una cosa che (per ovvi motivi) non è espressamente consigliata a un giovane studente di fisica o di astronomia.
La composizione poetica – estrapolata proprio da Foglie d’erba, qui presentata nella traduzione di Roberto Anglani – non è scevra di una certa scoppiettante irriverenza, cosa che ne rende assai piacevole la lettura. Il nostro Walter (era questo il suo vero nome), possiede una indubbia carica dirompente, approdata anche sullo schermo: rimane famosa la ribellione gentile dei ragazzi del prof. John Keating – impersonato da un immortale Robin Williams – che, in piedi sui banchi, declamano i versi di Whitman, O capitano, mio capitano! nel finale de L’attimo fuggente. Con la sincerità immacolata tipica di un vero poeta, Walter mette sotto i nostri occhi quel che noi, molte volte, non vogliamo vedere.
A un livello più meditato – ci ritorno più avanti – vale poi la pena notare il gioco sottile di contrapposizione tra la teoria e l’esperienza. Possiamo ammetterlo, la scienza spesso annoia. Non dobbiamo avere paura di tale evidenza. Ogni paura non lavorata, infatti, ci rende un po’ meno liberi, e dunque dobbiamo pur affrontare questi versi di Whitman: non tanto per contrastarli sterilmente, ma per estrarne il vero che c’è dentro. E parimenti, per comprendere come uscirne fuori, come venirne a capo.
La poesia ha questo di bello, che vive di una sua propria logica, che non si esaurisce nel bilancio delle parti, nella contrapposizione delle diverse opinioni. Da scienziato, mi interessa capire che la scienza non è tutto ma può senz’altro parlare con tutto ed imparare, come tutti possono imparare dalla scienza, dai suoi metodi, dalla sua chiarezza procedurale. Se è una poesia a ricordarmelo, ben venga tale poesia.
Perchè se è vero che, a volte, di fronte a certe lezioni inspiegabilmente diventiamo esausti e sofferenti (chiedere a qualsiasi studente impegnato in una facoltà scientifica), è anche vero che volgere lo sguardo alle stelle nel perfetto silenzio rimane un’operazione semplice, tuttavia realmente capace di commuoverci e di innamorarci (per l’ennesima volta) dell’Universo nel quale siamo immersi.
Cos’è dunque che non va nell’erudito astronomo? Perchè non ci avvince la sua spiegazione? Perchè le sue carte e i diagrammi alla fine non ci emozionano? Ma diciamola proprio tutta, perchè la scienza spesso è percepita come noiosa?
Accennavo prima alla contrapposizione tra teoria ed esperienza. Ecco, la scienza appare noiosa quando smarrisce il legame con l’esperienza, quando si ammala di razionalismo, quando pretende (senza ammetterlo) di esaurire l’esperienza conoscitiva umana dentro un insieme di equazioni. Non a caso, Walt parla di dimostrazioni e numeri.
La scienza, dunque, annoia quando – forse per un malinteso senso di semplicità – rinuncia alla sua vera natura, trascura cioè il confronto serrato ed accanito con quanto è osservabile: per l’astronomia, ciò si traduce in un ascolto appassionato ed umile dei segnali del cielo. Solo allora può partire il tentativo di comprendere ed interpretare tali segnali, necessariamente svolto anche con la teoria, con la matematica, con dimostrazioni e numeri. Probabilmente quell’erudito astronomo si era così incastrato nei suoi calcoli da evitare di perdere tempo nel guardare il cielo notturno: fonte sublime di perenne meraviglia, non descrivibile compiutamente da nessuna equazione.
Può accadere. Niente di tragico, può succedere. Ma allora ci vogliono i poeti. Ci vuole un poeta per accusare il disagio, per svelare l’inganno, per riportarci ad una posizione più corretta. Quella posizione nella quale il dialogo tra scienza e letteratura, scienza e poesia, ritorna stimolante per entrambi i poli (sì perchè anche la poesia senza la scienza – senza una visione coerente e moderna del mondo naturale – annaspa, rischia di perdersi).
A pensarci bene, a inquadrarla correttamente, l’astronomia è interessantissima. E piace a tutti. Le prime immagini del James Webb hanno ormai fatto il giro del mondo, battendo tutti i record di visualizzazione. Giustamente, la gente si emoziona nel guardare le meraviglie di cui siamo circondati. La stessa impresa scientifica può allora rivestire i caratteri di una interessantissima epopea moderna, da vivere con grande partecipazione. C’è una foto che mi commuove sempre, quella che mostra l’esultanza dei tecnici e degli scienziati NASA al momento del risveglio di New Horizons nei pressi di Plutone: dopo quasi dieci anni di viaggio, alcuni dei quali trascorsi in regime di quasi ibernazione, ritrovare un dialogo attivo con la sonda è stato realmente un evento coinvolgente.
Allora ecco cosa accumuna profondamente la scienza e la poesia, ecco dove si possono incontrare. Nella rinnovata capacità di stupirsi, di meravigliarsi. Fuori di questa, la noia è subito in agguato. Perchè la noia è quello che ci assale quando siamo davanti a qualcosa che non tocca la nostra vita, le nostre emozioni, le nostre sofferenze e le nostre gioie.
In realtà , come ci insegna il premio Nobel Richard Feynman, una conoscenza scientifica non può che far aumentare il senso di meraviglia, di mistero, di ammirazione (…) Può solo aggiungere, non capisco davvero cosa possa sottrarre.
La sincerità di Walter è preziosa, ci insegna a non rimuovere un sentimento di imbarazzo, a non nasconderlo sotto nessun tappeto dialettico. La rimozione è psicologicamente sconsigliabile, lo sappiamo. Si tratta dunque di andare fino in fondo a quella noia che ci descrive l’autore intrepido ed anticonformista delle foglie. E capire cosa ci sta realmente dicendo.
A livello più profondo, ci sta indicando un pericolo e insieme la necessità di ripensare la scienza mantenendo vivo il collegamento con la meraviglia (che è sempre una esperienza e mai una descrizione). Insomma, ci sta facendo un grande favore e io gliene sono personalmente grato, anche adesso.
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