Da quassù la Terra è bellissima, senza frontiere nè confini(1)Citato in Roberto Vittori, Io, nel guscio della Soyuz, pensando a Gagarin, corriere.it, diceva Yuri Gagarin dopo il suo primo volo nello spazio, a bordo di una Soyuz allora sovietica. Ed è vero: vista da qualche centinaio di chilometri di quota, la Terra appare azzurra, fragile, priva di barriere artificiali che distinguano uno stato da un altro.
A dire il vero, non è affatto necessario essere un cosmonauta per provare una sensazione di questo genere: basta volare in aereo per smetterla di vedere confini. Da appena 10 km di quota, vedi terre bellissime, coltivazioni, montagne, nevi, mari e assenza di confini.
Qualche giorno fa ho avuto il privilegio di sorvolare Roma, l’agro pontino, poi i monti del Molise, della Basilicata, fino alle piane della Puglia e il mare. E più oltre l’Albania, la costa fino al Peloponneso, le splendide isole e Cipro divisa e, stando ai monitor di bordo, le luci notturne di Gerusalemme, il silenzio luminoso del deserto arabico fino al Barhein, al Quatar, agli Emirati. Non è necessario andare nello spazio per vedere una terra bellissima e fragile, abitata da una dolente umanità – dolente sì, e piena di scorni e affari propri ma anche disposta a ridere insieme, ad abbracciarsi, a prendersi cura uno dell’altro. Chi cerca una sola faccia dell’umanità è destinato a restare deluso.
Non è necessario andare nello spazio e, a dirla tutta, non è neanche necessario andare in aereo.
Da qualche mese a questa parte, mi alzo molto presto e vado al lavoro a piedi. Sono 7 chilometri e mezzo ad andare e altrettanti a tornare, una distanza di poco inferire alla quota a cui vola un aereo di linea. Circa un’ora e dieci, un’ora e venti.
E poichè ho la fortuna di lavorare nella sede di Brera, nel centro di Milano, e di abitare in un quartiere ospitale e periferico, la mia passeggiata diventa un’occasione per cercare confini. Parto dal mio quartiere, abitato da tanti immigrati degli anni ’70, dove la Puglia si mescola con la Calabria, con la Sicilia, la Sardegna, ma anche con tanta Milano. E negli ultimi venti anni, è diventato più verde: confina con grandi parchi pubblici e un ippodromo, è ricco di ciclabili. Da lì raggiungo il QT8 – un quartiere “sperimentale”, progettato da Piero Bottoni, che ospita anche l’unica collina di Milano, il Monte Stella, costituito con le macerie prodotte dai bombardamenti della II Guerra Mondiale. Era pensato come quartiere per gli sfollati, ma grazie all’attenzione del progetto, è un quartiere semplice e ricercato. E poi, proseguendo, ecco Via Albani, più borghese, che conduce alle porte del lussuoso City Life, regno dei nuovi ricchi, attraversando il quale e con un breve tratto di via Monti, si raggiunge rapidamente l’Arco della Pace, in un crescendo di borghesia. Progettato fin dal 1807, accolse Napoleone III e Vittorio Emanuele II, reduci dalla vittoria di Magenta nel 1859. Da qui ha inizio il Parco Sempione, fino a entrare nel centro vero e proprio, con appartamenti da 10-14mila euro al metro quadrato. Brera, Municipio 1.
Una zona non è identica all’altra, ma confini no, non ne vedo. Ci sono strade da attraversare, ci sono ricchi, ci sono poveri, c’è una numerosissima classe media. Ma nessun confine: gli sguardi sono più o meno gli stessi, i bisogni primari sono gli stessi. Possono cambiare gli abiti o la fretta con cui le persone si muovono o le auto che guidano. Ma non ci sono confini.
Ha a che fare con l’astronomia, tutto questo? Nella misura in cui vogliamo usare l’astronomia per migliorare il mondo certamente sì: il cielo si apre sopra le differenze, che esistono e sono enormi. Ma il cielo le sorvola e non se ne cura. Lo spazio rimane se stesso (non lo stesso) sopra ogni testa pensante o meno, sopra ogni popolo, in guerra o in pace, ogni lingua, ogni generazione, ogni emozione, umana o animale.
L’astronomia è di per sè creatrice di metafore. Guardando altre stelle, altri pianeti, altri quartieri cittadini e osservando l’infinita varietà (e vanità ) del tutto e riconoscendo sempre gli stessi bisogni, le stesse vulnerabilità , permette di sviluppare un distacco ironico da molte cose umane: dai confini fra stati alle differenze di colore della pelle; dal mercato globale alle guerre locali – che non sono mai locali. Ma permette anche di riconoscere che homo sapiens e la sua straordinaria avventura sul pianeta Terra hanno un immenso valore e che le differenze inconciliabili fra gruppi di persone sono soprattutto un artificio mentale. Che non va negato, ma va discusso. Va ricondotto all’unica attività che caratterizza in maniera univoca la nostra specie: la capacità di un dialogo complesso e di un compromesso doloroso.
Note
↑1 | Citato in Roberto Vittori, Io, nel guscio della Soyuz, pensando a Gagarin, corriere.it |
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