Feels like I’m knockin’ on heaven’s doorKnockin' on heaven's door, Bob Dylan
In queste settimane mi sono ritrovato a scrivere un breve articolo divulgativo sul mezzo interstellare e, in particolare, su quei grumi di gas e polvere che si chiamano globuli di Bok. Identificati fin dai primi decenni del secolo XX, quando emersero i primi indizi dell’esistenza di materia interstellare, devono il proprio nome a Bartholomeus Jan Bok, l’astronomo che, per primo, ipotizzò in modo chiaro il loro ruolo nella formazione stellare. Oggi sappiamo che i globuli di Bok sono dense nubi molecolari, di dimensioni relativamente ridotte, nelle quali si formano le stelle. Cocoons stellari, bozzoli insomma, che nascondono stelle-farfalle nate da bruchi di materia diffusa.
Una bella storia, perché da qui inizia la storia di quasi tutti gli elementi chimici che conosciamo. E qui il treno deraglia. Perché mi accade, spesso, di fronte a un fenomeno, a un teorema o a una strada che portano il nome di qualcuno, di perdermi a cercare qualche informazione sulla persona, piuttosto che sul fenomeno. È la vecchiaia, temo, per cui ci si interroga sulla memoria che si lascerà. E camminando per Milano mi chiedo chi sia Marco Zanuso. O quando ha vissuto Paolo Lomazzo. E guardando un diagramma di Hertzsprung e Russell, se i due si conoscessero fin da bambini, se disegnassero insieme. Mi dispiace per i globuli, ma voglio saperne di più su Bok.
Facciamo un passo indietro. Siamo a Leiden, in Olanda negli anni ’20. Seduti a un bar all’aperto, una giovane donna fissa il suo interlocutore, tra lo sbalordito e il lusingato. Non può credere alle sue parole: quel ragazzo che le sta parlando è così giovane! Come può anche solo pensare… è una pazzia! Lei sorride, imbarazzata, muta. Sorride: è tutto assolutamente folle. Bartholomeus dovrebbe farsene una ragione: lei è già professoressa di astronomia, lui è appena un ragazzino neolaureato del comitato di accoglienza del terzo congresso dell’International Astronomical Union. Si sono conosciuto solo pochi giorni prima, quando lei è sbarcata dagli Usa. Bart la aspettava alla stazione, con un cartello che portava scritto il suo nome: Priscilla. Ha il compito di accompagnarla nei giorni del congresso e di semplificarle la vita nel Vecchio Continente. Cosa che evidentemente ha deciso di non fare, a sentirlo parlare adesso.
Certo, lui si è dimostrato entusiasta della ricerca, simpatico, divertente, con la battuta pronta, ironico e appassionato. Ma innamorarsi di lei fino al punto di chiederle di sposarlo dopo una settimana… no, questa è una follia che Priscilla non aveva davvero tenuto in considerazione.
L’anno dopo convolano a nozze. Nel mezzo, mesi e mesi di corrispondenza fra Leiden e Harvard, dove Priscilla Fairfield lavora, sotto la direzione di Harlow Shapley. Poi una borsa di studio, un volo negli USA e due giormi dopo l’arrivo il matrimonio. Tre figli, uno dopo l’altro, e Priscilla & Bart iniziano a vagabondare sulle autostrade e le stradine secondarie della via Lattea, come scriveranno anni dopo.
Nel 1987, la Royal Astronomical Society scriverà che dal loro matrimonio in avanti è difficile e senza scopo separare le scoperte di Bart da quelle di Priscilla. Una bella storia d’amore. Che fine ha fatto Priscilla? Scopritelo con i link in basso e paragonate le loro carriere.
Facciamo ora un salto in avanti, superando a piè pari la Seconda Guerra Mondiale. Troviamo Bart ad Harvard, professore di astronomia. È nel suo ufficio e pensa perplesso a una serie di lastre fotografiche di campi stellari. Ci sono macchie scure sui campi, che oscurano le stelle di fondo. A volte sono macchie estese, a volte di dimensioni ridotte. Quelle più piccole sembrano davvero uova di insetti attaccate alla lastra. Bisognerebbe classificarle, analizzarle più in dettaglio. E, siccome la fortuna aiuta chi vuole lei e non sempre gli audaci, proprio in quel momento arriva una giovane tecnica di laboratorio. Si chiama Edith Reilly. Ha dei problemi nervosi, una malattia che la costringe a camminare con difficoltà, persino a parlare con difficoltà. Ne risentono anche le mani: non riesce a stringere gli oggetti, che cadono, si rompono. Però ha una determinazione straordinaria. Ed è proprio con Bok che vuole lavorare. Lo vuole, con tutta se stessa.
Facciamola breve: spulciando il Lick Atlas e il Ross-Calvert Atlas, Reilly e Bok arrivano all’ipotesi suggestiva che abbiamo citato all’inizio. Quelle macchioline sembrano uova di insetti, ma sono uova o bozzoli di stelle. Sono l’anello mancante fra il gas diffuso da una parte e le stelle dall’altra. Dimostrano che la forza di gravità raccatta il materiale e lo fa precipitare su se stesso fino a quando è talmente denso da raggiungere una temperatura sufficiente a innescare le reazione di fusione nucleare. In altri termini: lo fa cadere su se stesso fin quando non si accende una stella. Reilly e Bok questo scrivono, nero su bianco, nel marzo del 1947 su una delle più importanti riviste di settore, l’Astrophysical Journal.
È la nascita dei globuli. Di Bok, però.
Negli anni successivi, Bok stesso chiederà di rinominare i globuli, rendendo merito a Reilly. Non accadrà mai.
Di Priscilla sappiamo, ma che fine ha fatto Edith?
Bell’articolo.
Mi ha incuriosito la domanda:
“Di Priscilla sappiamo, ma che fine ha fatto Edith?” e ho trovato questa significativa testimonianza di Harvey A. Smith, che fra il 1952 e il 1954 conobbe Edith Reilly che lavorava all’Operations Research Division del Fire Control Instrument Group presso il Frankford Arsenal di Philadelphia (si veda https://emerituscollege.asu.edu/sites/default/files/ecdw/EVoice24/hsmith24.html):
“Titolo di studio a parte, dal punto di vista intellettuale i migliori membri dello staff erano un uomo e una donna entrambi afflitti da paralisi cerebrale, che rendeva loro difficile trovare un lavoro non statale.
La donna, Edith Reilly, aveva fatto un’importante scoperta lavorando ad Harvard con il famoso astronomo Bart Bok. All’inizio gli oggetti da lei trovati furono chiamati le “Bok-Reilly dark nebulae” ma il nome di Edith fu alla fine tralasciato, e divennero noti semplicemente come “globuli di Bok”. Per ottenere il dottorato in fisica, Edith aveva effettuato un gran numero di calcoli per uno studio teorico sotto la direzione del professor Charles Ufford della Penn University. Quando ebbe faticosamente terminato i calcoli, il professore le disse che erano troppo di routine per la dissertazione, e allora rinunciò al PhD.”