Aggiornato il 28 Novembre 2024
Nella seconda metà degli anni ’50, mentre ci si incammina verso l’era dei consumi, inizia la corsa allo spazio. Forse fra le due cose esiste qualche legame, ma in questa rubrica ci occupiamo soprattutto di astronomia e cultura, alta o bassa che sia. E per inciso sarà proprio lo spazio a mostrarci come, per un astronauta, la distinzione fra alto e basso non abbia alcun significato. E se è vero per un astronauta, a maggior ragione non ne ha per noi, che siamo astronauti della cultura.
In quel decennio e in quello successivo, seminali per il destino del mondo intero, il rapporto fra umanità e spazio cambia per sempre. I tempi parlano chiaro: si lanciano satelliti, si raccolgono nuove immagini di Luna e pianeti e anche gli scrittori devono tenerne conto. La sfida è chiara: si tratta di rinnovare temi e immagini della letteratura tenendo conto della tecnologia e della scienza.
In Italia, oltre a Calvino, uno dei primi a raccogliere il guanto non è un poeta qualsiasi: si chiama Salvatore Quasimodo e di lì a un paio di anni vincerà il Premio Nobel per la Letteratura. Un Premio che, fra l’altro, agitò fino all’inverosimile la cerchia dei letterati e degli intellettuali italiani “ fino a provocare vere e proprie espressioni di astio e di disprezzo nei confronti del vincitore, che aveva l’unica colpa di essere stato candidato da qualcuno altro e aver vinto per merito proprio. Rosicare, d’altra parte, è un vizio vecchio come il mondo.
Per Quasimodo, il fatto che un satellite artificiale, lo Sputnik, abbia raggiunto la Luna, satellite naturale della Terra, comporta l’apparizione di una “nuova Luna”. La breve ma divertente poesia Alla nuova Luna, inclusa nella raccolta La terra impareggiabile (1958), ne tratteggia le origini non divine, ma tutte umane.
e la terra, poi nel suo giorno
esatto mise i luminari in cielo
e al settimo giorno si riposò
Dopo miliardi di anni l’uomo,
fatto a sua immagine e somiglianza,
senza mai riposare, con la sua
intelligenza laica,
senza timore, nel cielo sereno
d’una notte d’ottobre,
mise altri luminari uguali
a quelli che giravano
dalla creazione del mondo. Amen.
Immagini di lentezza, di esattezza: è il piano divino. Mica ha fretta, Dio, anche se si stanca come tutti, se è vero che al settimo giorno, si riposò, come scrive Quasimodo.
E la nuova Luna? È tutta un’altra storia: è stata creata dall’uomo con la sua intelligenza laica, il suo incessante lavorio (senza mai riposare), e senza timore.
Non so a chi legge, ma a me mette una certa ansia questo darsi daffare come una formichina intelligente e senza paura, ma anche senza pause nè interruzioni. Uno si chiede “ il dubbio almeno viene “ se la formichina abbia un piano, se non divino almeno da formica, un piano umano insomma “ o faccia solo per fare, secondo l’assunzione che quel che si sa fare, prima o poi va fatta. Quasimodo non ce lo dice. Fatto è che nel cielo sereno d’una notte d’ottobre, la nuova Luna – anzi altri luminari, perchè Quasimodo usa il plurale – raggiunge il suo posto.
Conclude con una parola semplice, ma da capire bene. Conclude come si concludono le preghiere: amen.
Ora, amen significa tante cose, è un ginepraio che si perde fra mille lingue antiche e significati. Ma il senso più comune di questo termine mi pare risieda dalle parti del così sia, in verità , è certo, consolidato. Insomma amen è una formula che esprime una conclusione che non ammette repliche, ma che è feconda di conseguenze: l’umanità nevrotica di Quasimodo ha fatto qualcosa, c’è poco da aggiungere. Magari l’avrà fatto alla sua maniera un po’ agitata, certo, ma in modo certo, definitivo. Non possiamo che prenderne atto. Così sia, appunto e vedremo che ne uscirà .
Come vedete, Quasimodo si pone in un terreno ambiguo fra la celebrazione e il voler suggerire che non poteva andare diversamente, quasi fosse una condanna a cui non ci si può sottrarre: il genere umano è costretto a costruire come una formica che non riposa mai, quasi senza piano “ magari realizzando cose grandiose in sè, ma ignorando le conseguenze. Come Calvino, anche Quasimodo capisce che l’era della Luna antica, con i suoi significati, è perduta. Adesso c’è una Luna nuova. E bisogna arrendersi all’evidenza.
Divertente no? Calvino cancella la Luna e Quasimodo ne aggiunge una nuova. L’effetto è lo stesso: perdita e rinnovamento di un topos letterario. Azioni agli antipodi, ma identico risultato.
Tutto precipita di lì a poco. Il lancio dello Sputnik è una delle battaglie di quella nuova Guerra mondiale che chiamano fredda solo perchè non coinvolge direttamente chi gli ha dato questo nome. Altrimenti scotterebbe. A fine 1961 viene completato il muro di Berlino, 3,6 metri per 156 km di lunghezza, in calcestruzzo armato, e il 12 settembre 1962, il presidente USA Kennedy lancia la sfida con il suo celebre discorso:
In altri termini: è bene che siano gli USA a portare l’umanità sulla Luna. La loro umanità , ben inteso, in nome di tutti.
Quando nel 1967 ormai è del tutto chiaro che l’Astolfo dell’Ariosto, paladino di Carlo Magno – di origine inglese, ricordiamolo – sarà sostituito da un militare dell’aeronautica statunitense, la scrittrice Anna Maria Ortese si sfoga con Calvino:
non c’è volta che sentendo parlare di lanci spaziali, di conquiste dello spazio, ecc., io non provi tristezza e fastidio, e nella tristezza c’è del timore, nel fastidio dell’irritazione, forse sgomento e ansia. Mi domando perchè. Anch’io, come altri esseri umani, sono spesso portata a considerare l’immensità dello spazio (…) e devo riconoscere che (…) gli stessi silenzi che scendevano di là erano consolatori e capaci di restituirmi a un interiore equilibrio.
(…) Ora questo spazio (…) diventerà fra breve, probabilmente, uno spazio edilizio. O un nuovo territorio di caccia, di meccanico progresso, di corsa alla supremazia, al terrore. Non posso farci nulla, naturalmente, ma questa nuova avanzata della libertà di alcuni non mi piace. È un lusso pagato da moltitudini che vedono diminuire ogni giorno di più il proprio passo, la propria autonomia, la stessa intelligenza, il respiro, la speranza.
Calvino non esalta le imprese cosmonautiche, tutt’altro, ma non è d’accordo con la posizione della Ortese. Gli appare comoda, passata. Che interesse può avere, si chiede, una Luna che tranquilizza o che dà equilibrio:
(…) In qualche situazione è la letteratura che può indirettamente servire da molla propulsiva per lo scienziato: come esempio di coraggio nell’immaginazione, nel portare alle estreme conseguenze un’ipotesi ecc. E così in altre situazioni può avvenire il contrario. In questo momento, il modello del linguaggio matematico, della logica formale, può salvare lo scrittore dal logoramento in cui sono scadute parole e immagini per il loro falso uso.
Ripensare la Luna in termini scientifici: è da qui che nascono le Cosmicomiche di cui abbiamo parlato. L’atteggiamento è affascinante e raro. Il risultato però non è scontato e può anche non piacere agli scienziati. Prendiamo questa breve poesia, Al video, di un altro grande poeta italiano, altro Premio Nobel: Eugenio Montale. Che il 5 luglio del 1969, quindici giorni prima dello sbarco sulla Luna, butta già questo capolavoro di ironia:
guardo in fotografia
quale fortuna t’incolse
quando ti distaccasti
da una terra in ammollo.
Ma ora?
Come secondo elemento, si noti la contrapposizione fra l’amen-così sia di Quasimodo e la domanda ma ora? di Montale. Ora che l’ammollo terrestre ti ha raggiunto, cara Luna? Come la mettiamo? È la domanda angosciata di Montale. Vi viene in mente qualcosa di più diverso da un amen?
Naturalmente non esiste un teorema definitivo al quale ci possano condurre queste considerazioni. Fra l’altro, abbiamo voluto procedere per esempi e non per completezza di sguardo. Era solo per mostrare la complessità dei rapporti fra immaginario poetico e letterario e immaginario scientifico e mostrare qualcuno dei tentativi fatti, anche da grandi poeti. Perchè? Intanto per mostrare che si sono cimentati anche con la scienza e soprattutto per provare a ripensarli e stimolare la partenza con nuove idee, nuovi slanci, nuove letterature.
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