Aggiornato il 28 Novembre 2024
Se mi chiedessero a cosa penso quando sento parlare di Milano, verrei colta da una folla di pensieri pari a quella in uscita dalla metro alla fermata centrale. La mia mente andrebbe subito all’Osservatorio di Brera, dove, quattro anni fa, io e il mio amico astroviandante Francesco ci siamo avvicinanti al mondo della divulgazione scientifica, ignari di quanto avrebbe saputo regalarci; penso alla cupola in fiore, al telescopio Schiaparelli. Poi mi sorge spontaneo spostarmi in metro al museo della scienza Leonardo da Vinci, e poi al Duomo, e a Parco Sempione, con le sue papere che nuotano, felici, e all’Arena.
Lucio Dalla direbbe: Milano mi prende allo stomaco, mi fa morire, come d’altronde fanno tutti i bei ricordi, quando se ne parla al passato.
È proprio Milano la città in cui ho conosciuto Famelab, l’8 maggio del 2019. La finale nazionale mi aveva lasciata con qualcosa dentro, una voglia di mettermi in gioco in una situazione che ti fa uscire da ogni comfort zone possibile: parlare ad un pubblico di un argomento scientifico. In tre minuti. Che sia tanto o poco, questo è relativo: in tre minuti l’universo ha detto tutto quello che doveva dire, e in tre minuti e 26 secondi Hicham El Guerrouj corre i 1500 metri.
Insomma, l’importante era trovare un modo efficace e divertente per spiegare un qualcosa che non tutti conoscono. E subito, in quei giorni, avevo scritto delle bozze su quello che mi avrebbe fatto piacere raccontare. Fino al momento in cui ho scoperto che non avrei potuto iscrivermi per l’anno successivo, non prima di prendere una laurea. La rabbia era tanta, ma avevo anche capito che, forse, non era quello il momento adatto, e che avrei dovuto aspettare.
E, per un po’, mi sono dimenticata di Famelab.
Ad aprile di quest’anno l’interesse sboccia di nuovo, quando vedo la locandina delle preselezioni di Milano, e decido di mandarla subito a Francesco. Io e il mio amico abbiamo una caratteristica in comune: quando si tratta di queste cose, spegniamo il cervello e non pensiamo a quello che potrebbe succedere dopo, all’impegno che comporta aggiungere un’altra cosa alle duemila che già facciamo, o al come faremo ad incastrare tutto. Semplicemente non lo sappiamo, e lo facciamo lo stesso. Così, nel giro di poche ore, eravamo iscritti alla selezione del 3 maggio.
Quella mattina, ovviamente, eravamo di corsa. Io venivo da Padova, e avevo camminato dalla stazione centrale fino all’auditorium del politecnico, in una Milano caotica e rumorosa, che aveva ben contribuito ad aumentare l’ansia di quella giornata. Francesco, invece, arrivava (in ritardo, ma glielo concediamo) da Pisa. L’auditorium era pieno, il palco era piccolo ma bene in vista, e una colazione sullo stomaco mi ha costretta a scappare in bagno durante i tre minuti di un’altra concorrente. Prima l’ho detto: in tre minuti succedono tante cose.
Di quello che è successo dopo, non ricordo più nulla, se non una voce tremante e la voglia di scappare. Ma anche una grande sorpresa quando, alla fine, sia io che Francesco venivamo scelti per la fase successiva: la selezione finale di Milano.
E a seguire tante, tantissime foto di gruppo.
Il tempo per prepararsi era davvero poco, e in venti giorni dovevamo trovare un modo per convincere i giudici a farci andare alla finale nazionale. Non semplice, vero? E così ho studiato tutti i consigli che mi erano stati dati: valorizzare di più gli oggetti che avrei usato per spiegare il mio argomento, usare metafore semplici, alla portata di qualsiasi tipo di spettatore, e imparare a usare la respirazione diaframmatica, che mi avrebbe permesso di togliere quel fastidioso tremolio alla voce. E dopo qualche respiro profondo, ero di nuovo sul treno per Milano, con un osso di plastica e delle spugne (quelle per lavare la macchina) nello zaino.
Per la serata l’ambiente era diverso: nella sala c’erano navi e catamarani, e in quella a fianco dei treni. Un ambiente grande, e questo significava più persone che potevano assistere ai dieci concorrenti. Io ero l’ultima, e le presentazioni prima di me sembravano una più bella dell’altra, e nell’ascoltare stavo dimenticando sempre di più quello che avrei dovuto dire io: ecco che quindi, girellando per il museo e ascoltando le voci da lontano, ho trovato un gattino nero, che evidentemente non doveva proprio stare in quel posto, ma che ha saputo calmare l’ansia tremenda che sentivo "“ i mici sono davvero un dono.
E arrivava così il mio turno. Ho sfilato il modello di omero in plastica dalla manica, e ho esordito: Osteoclasti o osteoblasti? Questo è il dilemma!.
Insomma, sì. Ho parlato di ossa, in particolare del loro modificarsi nel tempo a seconda di come le utilizziamo. È uno degli argomenti che più mi ha affascinata quando ho seguito i corsi di meccanica dei tessuti biologici e di anatomia all’università . Ma c’è chi sostiene io l’abbia scelto perchè mi chiamo Barosso, di cognome…
E con un gran sorriso di sollievo sono scesa da quel palco.
Da qui un susseguirsi di sensazioni strane: emozione, speranza, ma anche delusione, per non aver fatto meglio. Una ragazza mi ha vista e mi ha detto: Non ti preoccupare, la prossima volta andrà meglio, hai tanto tempo davanti a te, confermando quanto stessi pensando. Un po’ mi dispiaceva, ma quello era lo stato d’animo giusto per affrontare una situazione del genere: prepararsi alla delusione, in modo tale che, se succede qualcosa di bello, la felicità sia ancora più grande.
E così è successo: da astroviandante, mi sono classificata in seconda posizione sul podio, accanto ad un primo posto di Valentina Vavassori, che sarebbe ufficialmente diventata la mia compagna di viaggio milanese per le fasi successive di Famelab.
Solo qualche giorno più tardi, telefonando a un mio amico, ho realizzato quanto fosse successo. Mi sono fermata, sono rimasta in silenzio, e gli ho detto: ma ci credi che vado alle nazionali di Famelab?
Ma, prima di arrivare a quel punto, c’è ancora molto da raccontare: il viaggio fino a Perugia, l’incontro con gli altri finalisti provenienti da tutta Italia, la Masterclass, e la finale nazionale.
Ma è un po’ come quando vorresti fare un audio di dieci minuti su Whatsapp, e ti senti meno in colpa nel dividerlo in piccoli messaggi vocali più corti. Per cui, come è andata avanti, lo scoprirete nella prossima puntata!
Qui sotto la playlist con tutti i concorrenti di Milano:
Add Comment