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Educazione ed emancipazione: la pedagogia di Paulo Freire

In occasione del centenario della nascita, parliamo di Paulo Freire e del suo contributo al mondo della didattica.

Aggiornato il 21 Settembre 2021

Nessuno si educa da solo. Ci educhiamo gli uni gli altri, mediati dal mondo.Paulo Freire
Paulo Freire
Paulo Freire nel 1977. Crediti: Slobodan Dimitrov – CC BY-SA 3.0 – via commons

Il 19 settembre 1921 nasce a Recife, capitale dello stato di Pernambuco, Nordest del Brasile, uno dei pensatori e pedagoghi più influenti del ventesimo secolo: Paulo Freire.
Nato in una famiglia della classe media da genitori appartenenti a diverse confessioni religiose – padre spiritualista e madre cattolica, dal cui confronto apprende l’importanza del dialogo – è costretto a fare i conti con la povertà e la fame a seguito della crisi economica del 1929. Questa esperienza sarà determinante nello sviluppo del suo pensiero e della sua visione educativa.
Laureatosi in giurisprudenza, insegnando portoghese durante gli studi, anziché alla carriera di avvocato decide di dedicarsi all’insegnamento e alle problematiche della pedagogia, grazie anche all’incontro con Elza Maria Costa de Oliveira, insegnante della scuola primaria che diventa sua moglie. Come direttore prima del Dipartimento di Educazione e Cultura del Servizio Sociale dello Stato di Pernambuco e poi del Dipartimento per l’Espansione Culturale dell’Università di Recife, inizia a occuparsi di alfabetizzazione degli adulti nel contesto rurale del Nordest brasiliano degli anni Cinquanta, segnato da profonde disuguaglianze sociali ed economiche e da un tasso di analfabetismo del 60%. Durante il primo esperimento del suo metodo innovativo, nel 1963, trecento lavoratori della canna da zucchero nello stato di Rio Grande do Norte imparano a leggere e a scrivere in soli 45 giorni. Questo attira l’interesse del governo federale, che intende applicare la nuova metodologia a tutto il Brasile attraverso una vasta campagna di alfabetizzazione, campagna che viene però brutalmente interrotta dal colpo di stato e dall’avvento della dittatura militare del 1964.

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Il più celebre libro dell’opera di Freire. Foto: C. Mignone

Imprigionato e poi costretto all’esilio, Freire si rifugia brevemente in Bolivia e poi in Cile, dove rimane fino al 1969, insegnando all’Università di Santiago. Qui realizza campagne di alfabetizzazione estese a tutto il paese e scrive i suoi due primi libri, L’educazione come pratica di libertà (1967) e La pedagogia degli oppressi (1968), nei quali delinea la sua concezione rivoluzionaria: un’educazione realizzata in comunione tra educatori ed educandi, saldamente ancorata alla realtà, basata sul dialogo, il cui scopo è l’emancipazione degli individui e la trasformazione della società. Una didattica che “umanizza” i suoi protagonisti e “problematizza” la cultura per costruire, attraverso un approccio critico, possibilità di superare la condizione storica di emarginazione degli ultimi della società. Come tale, si contrappone drasticamente a quella che Freire stesso chiama educazione “depositaria” o “bancaria”, che si limita a “riempire” gli educandi con contenuti nozionistici da imparare a memoria in forma acritica.
Al Cile segue un breve periodo all’Università di Harvard, Stati Uniti, all’inizio degli anni Settanta, e una permanenza più lunga in Svizzera, presso il Consiglio Ecumenico delle Chiese a Ginevra, dove sviluppa programmi di alfabetizzazione per molti paesi del Sud del mondo, in particolare per paesi africani come l’Angola, São Tomé e Príncipe e la Guinea Bissau, che in quegli anni si erano affrancati dalla dominazione coloniale portoghese. Dopo 16 anni di esilio, Freire ritorna finalmente in Brasile nel 1980 e si trasferisce stabilmente a São Paulo, dove continua a sviluppare le sue teorie pedagogiche – dalla formazione allo sviluppo all’enfasi sulla formazione dei formatori – scrivendo numerosi libri molto influenti ancora oggi, come la Pedagogia della speranza (1992). Professore ordinario all’Università di Campinas dal 1985, ricopre la carica di assessore alla pubblica istruzione del Comune di São Paulo tra il 1989 e il 1991, implementando diverse riforme al sistema scolastico e ai curricula. Riceve molti premi e riconoscimenti, tra i quali il Premio UNESCO per l’educazione alla pace nel 1986, e numerose università nel mondo gli conferiscono la laurea honoris causa – tra esse l’Università di Bologna, nel 1989. Dopo la morte della moglie Elza, sposa nel 1988 Ana Maria de Araujo, sua allieva e collaboratrice, che continua a curare la redazione e pubblicazione di testi del grande pensatore anche dopo la sua morte, avvenuta il 2 maggio 1997.

Il pensiero

Il pensiero di Paulo Freire ha influenzato innumerevoli studiosi, insegnanti, studenti e organizzazioni in tutto il mondo: a cento anni dalla sua nascita e più di cinquanta anni dalla pubblicazione dei suoi primi lavori, l’eredità della proposta pedagogica freiriana – basata su valori quali umiltà, empatia, amore, speranza e dialogo – è quanto mai attuale nei contesti più disparati. Nella didattica scientifica, la sua visione “umanizzante” è centrale nello sviluppo di curricula che includano anche un approccio umanistico e una prospettiva socio-politica, come ad esempio gli sforzi in corso per decolonizzare la pratica e l’insegnamento della scienza. Ma le applicazioni vanno ben oltre la didattica, toccando in particolare il campo della comunicazione, elemento chiave nel suo modello di insegnamento e apprendimento.
L’educazione depositaria descritta da Freire si riflette in quel deficit model sviluppato nel Regno Unito durante gli anni Ottanta, agli inizi degli studi sulla comunicazione pubblica di scienza e tecnologia, anche se raramente il riferimento al suo pensiero viene citato esplicitamente in questi ambiti. Il modello di deficit, oggi superato, vede il pubblico come un’entità omogenea e passiva che, non comprendendo le ragioni della scienza, è ostile al suo progresso e va pertanto “istruito” attraverso la “traduzione” di fatti e nozioni da parte degli scienziati: il richiamo al modello bancario di Freire è evidente. L’influenza della sua pedagogia è altrettanto presente nell’approccio che va adesso per la maggiore in questo campo, quello del public engagement with science and technology, fondato sul dialogo e sulla fiducia reciproca, e la sua idea di ricerca partecipativa anticipa di molto il concetto di citizen science che oggi riscuote grande successo, sia tra gli scienziati che presso il grande pubblico.

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Scritto da

Claudia Mignone Claudia Mignone

Astrofisica e comunicatrice scientifica, tecnologa all'Istituto Nazionale di Astrofisica.

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