Aggiornato il 28 Novembre 2024
A Dante Alighieri non mancarono fonti di studio e di informazione in merito al suo grande interesse per le stelle, e il firmamento in generale. Coltissimo com’era e animato da una curiosità pari soltanto a quella dei suoi amati autori latini e greci, primi tra tutti Virgilio, Lucano, Ovidio e Aristotele, divorò infiniti libri allora disponibili in traduzioni essenzialmente latine, e non solo fu appassionato di poesia e filosofia, ma anche di astrologia e astronomia. È certo che la sua “bibbia” per gli studi astronomici furono l’Almagesto di Claudio Tolomeo, gli scritti aristotelici, Fisica, Metafisica e De Caelo, e l’opera di Isidoro di Siviglia Aetymologiarum libri, testo assai diffuso nel Medioevo. Dante ebbe dunque modo di concepire una cosmografia sostanzialmente tolemaico“aristotelica nella quale, oltre alla concezione geocentrica della posizione della Terra nell’universo, era centrale l’idea del movimento dei cieli e del Motore immobile, cioè Dio.Non mancarono i suoi studi sul pitagorismo e sulla kabbalah ebraica. Un’ipotesi è che egli possa aver appreso le dottrine esoteriche e mistiche ebraiche da uno dei maggiori esperti medioevali della kabbalah, cioè Abraham Abulafia, un filosofo spagnolo di origine ebraica, venuto anche in Italia, a Roma, intorno al 1280. Inoltre, non dobbiamo dimenticare che Dante frequentò l’università di Bologna, dove circolava liberamente tanta parte della cultura islamica, i cui influssi agirono sulla formazione di Dante non meno del pensiero di Aristotele: in particolare Avicenna e Averroè, personaggi che egli collocò nel Limbo, ignorando l’assoluta condanna della Chiesa nei loro confronti.
Non ultima tra le sue fonti va posto il suo maestro, Brunetto Latini, mente enciclopedica e autore del Tresor, opera monumentale in cui l’autore mostra di conoscere fisica, astronomia, geografia, architettura, ma anche di poter affrontare una storia universale, dalle vicende del Vecchio e Nuovo Testamento fino alla battaglia di Montaperti (1260), dopo la quale era stato costretto ad andare in esilio in Francia. Prima ancora era stato in Spagna, presso la corte di Alfonso X di Castiglia, dove certamente era entrato in contatto con la cultura araba e islamica. Tornato in Italia, dopo la vittoria a Benevento (1266) di Carlo I D’Angiò su Manfredi di Svevia, Brunetto Latini riprese la sua attività di politico oltre che di diplomatico ed ebbe molti allievi per la sua vasta cultura, tra i quali Dante, nei suoi anni giovanili. Non è quindi da escludere che sia stato anche dal suo insegnamento che il “sommo poeta” abbia tratto elementi di esoterismo filtrati attraverso le scienze in cui il maestro era edotto.
Il cielo dell’Inferno
L’Inferno è una cavità sotterranea da dove il cielo non si vede: anzi la privazione del cielo è la prima e più dolorosa punizione per i dannati. Nel Canto III, appena varcata la porta, Dante si trova in un mondo di oscurità e di dolore.Nell’Inferno dantesco domina il buio, eccetto che nel Limbo dove un circoscritto chiarore è dato dal fuoco che circonda le anime dei grandi(1)un foco ch’emisfero di tenebre vincia, Canto IV, vv. 67-69. Per il resto, a parte qualche bagliore dovuto sempre al fuoco che in alcuni cerchi si trova connesso ad alcune pene dei dannati, come per esempio nelle tombe infuocate degli eretici del sesto cerchio, una profonda notte toglie la vista del cielo e di ogni stella. Infatti, il poeta afferma che quella valle dolorosa Oscura e profonda era e nebulosa tanto che, per ficcar lo viso a fondo io non vi discernea alcuna cosa(2)Canto IV, vv. 10-12.
Le stelle, tuttavia, sono compagne del viaggio e Dante non rinuncia a esse. Ad esempio, le ricorda a proposito della bellezza di Beatrice, così come la descrive Virgilio nel II canto dell’Inferno vv. 55-57, quando racconta a Dante che una donna beata e bella era scesa dal cielo per sollecitarlo ad aiutare il poeta smarritosi nella selva e che i suoi occhi splendevano di una luce superiore a quella delle stelle(3)Lucevan li occhi suoi più che la stella.
Nel primo canto non siamo ancora sotto terra, e Dante ci informa che era il principio del mattino e il Sole era entrato in Ariete, la condizione di inizio primavera(4)Canto I, vv. 37-39 (come al momento della Creazione):
e ‘l sol montava ‘n su con quelle stelle
ch’eran con lui, quando l’amor divino
mosse di prima quelle cose belle.
Per Dante è molto importante seguire il passaggio del tempo attraverso l’osservazione del cielo, perchè in questo modo riesce a dare realismo a un racconto totalmente fantastico: ricorre dunque a Virgilio, per il quale è come se la volta della cavità infernale fosse trasparente. Alla fine del Canto XI, dopo aver spiegato a Dante come sono suddivisi i peccatori, gli dice(5)Canto XI, vv. 112-114:
chè i Pesci guizzan su per l’orizzonta,
e ‘l Carro tutto sovra ˜l Coro giace.
I Pesci sono all’orizzonte e quindi il Sole, che è in Ariete, è prossimo a sorgere: diciamo che è poco prima delle sei. Il riferimento ai Pesci a oriente basterebbe, ma nel quadro c’è in aggiunta uno sguardo a occidente: il Grande Carro è disteso nel cielo a nord-ovest, la direzione del Maestrale (chiamato in antico Coro).
Le stelle, quindi, sono utili per indicare il tempo del viaggio. Ed è seguendo le stelle, in particolare quelle della costellazione dell’Ariete, che proseguiamo il nostro viaggio nell’astronomia dantesca. Potete trovare ulteriori spunti di approfondimento nella versione integrale dell’articolo scaricabile in pdf. E ora:
La costellazione dell’Ariete
La prima costellazione che Dante chiama in causa, precisamente nel I Canto dell’Inferno, è l’Ariete(6)Canto I, vv. 37-39. È l’alba, il principio del mattino, e il Sole sta montando sull’orizzonte, congiunto alla costellazione dell’Ariete, la stessa con cui era unito nel primo giorno della creazione del mondo quando Dio si ritiene che, per prima cosa, abbia creato proprio le stelle.Di quale giorno si tratta? Se Dante si è smarrito nella selva la notte del 7 aprile, Giovedì Santo dell’anno giubilare 1300, ora siamo al giorno successivo 8 aprile, Venerdì Santo del 1300. Il Sole si trovava dunque nel segno zodiacale dell’Ariete, cioè nel primo arco dell’eclittica esteso per 30° a oriente dal punto equinoziale di primavera. Dante conosceva la precessione degli equinozi e sapeva che il punto equinoziale di primavera, e gli archi dell’eclittica, si spostano lentamente di 50″ in senso opposto, sovrapponendosi a costellazioni situate più a ponente.
È evidente che in tutto questo c’è un significato simbolico, connesso con la primavera che da sempre, anche nella mitologia, era considerata la stagione della nascita, dell’inizio di ogni cosa e della rinascita. Dunque, la creazione del mondo non poteva che essere avvenuta in primavera, per un disegno provvidenziale dello stesso Creatore e Motore dell’universo. Suggellano questo concetto i versi 40-43, successivi a quelli citati:
di quella fera alla gaietta pelle,
l’ora del tempo e la dolce stagione.
L’animo di Dante si apre, sia per l’ora che per la stagione, alla speranza di uscire dalla sua buia condizione di smarrito nella valle del peccato e di sfuggire al pericolo della lonza che gli è apparsa, per tornare alla grazia del Signore, risalendo il colle da cui si intravede la luce dei raggi del Sole, ove il Sole è simbolo di Dio.
[…] invece sarà sospeso nello spazio e mancheranno l’orizzonte e i riferimenti altazimutali. Se l’Inferno è caratterizzato dalla privazione del cielo, il Purgatorio si può caratterizzare con il guardare […]