OAE Italia

Sabir: gli studenti al centro dell’apprendimento

Il racconto di un percorso che vedrà  la nascita di alcune interessanti attività  in pubblicazione su astroEDU
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In cima al duomo di Milano
Progettare e sparare razzi ad acqua nello spazio, trasformare la classe in una squadra di “minatori di asteroidi”, cercare pianeti extrasolari con un cellulare o tentare di tornare indietro nel passato per “salvare” Galileo. Sono queste, le proposte didattiche in pubblicazione in questi mesi su AstroEDU targate Sabir, il progetto dell’OAE Center Italy della IAU, International Astronomical Union, basato sui più moderni principi della didattica della scienza. Il percorso di Sabir è durato diversi mesi e si è concluso nella settimana dal 2 al 7 settembre, a Milano, con la partecipazione di un gruppo di insegnanti e ricercatori provenienti da tutto il Mediterraneo.  Ne parliamo con Stefano Sandrelli, Direttore dell’OAE Center Italy, ideatore e responsabile del progetto.
Sabir è un progetto di I-OAE che nasce con lo scopo di sviluppare attività  didattiche per le scuole superiori seguendo metodi didattici innovativi. Nel gruppo di lavoro, abbiamo invitato 4 team di colleghi da vari paesi, capitanati dai relativi NAEC, ovvero i coordinatori nazionali delle attività  didattiche per la IAU. Molti di loro avevano già   partecipato ai nostri progetti e proprio durante la Summer School organizzata nel 2023 in Marocco è nata l’idea di Sabir. Il lavoro del team si è svolto durante l’anno con una serie di incontri online culminati in una settimana in presenza  a Milano, ospiti dell’INAF Osservatorio Astronomico di Brera. In rappresentanza dei quattro team, erano presenti Jean-Pierre Saghbini dal Libano, Nayra Rodrà­guez Eugenio dalla Spagna, AyÅŸegà¼l Fulya Yelkenci dalla Turchia e Hassane Darhmoui  dal Marocco.  Il gruppo era completato da Dunja Fabian,  NAEC dalla Slovenia, da Gloria Tirabassi del nostro ufficio e da me stesso. Noi tre abbiamo svolto il ruolo di facilitatori delle discussioni, organizzatori, osservatori: insomma, quelli che tirano le fila.
Abbiamo chiesto a ciascun gruppo di proporre una sua attività  sviluppata con metodo tradizionale, mettendola in comune, pronta per essere smontata, rimontata, modificata. L’idea era quella di trasformare queste attività  in risorse basate sul metodo inquiry (IBL, inquiry based-learning),  cioè, per dirla in modo semplice, in attività  dove sono gli studenti e le studentesse a guidare il processo di apprendimento.
Il risultato finale sono 4 proposte che, da questo mese saranno pubblicate su astroEDU per essere utilizzate dal maggior numero di insegnanti possibili da tutto il mondo. Nella prima sfidiamo i ragazzi e le ragazze a costruire il loro miglior razzo (ad acqua), chiedendoci qual è la quantità  d’acqua “giusta” da usare, come si stabilizza la sua traiettoria, che altezza può raggiungere? Poi c’è una attività  che sfida i ragazzi a proporre una missione per sfruttare le risorse degli asteroidi cercando quelli più adatti, tra  orbite, spettri e database astronomici. Una terza attività  apre le porte al magico mondo della ricerca dei pianeti extrasolari attraverso un semplice esperimento, i cui elementi base sono una scatola di cartone e un paio di cellulari.  E infine pubblicheremo un’attività  per “salvare” Galileo e sostenere le ragioni del copernicanesimo: il confronto fra i modelli geocentrici ed eliocentrici attraverso le osservazioni di alcuni pianeti, Venere e Marte.

Si parla spesso di tecniche innovative applicate alla didattica, come l’inquiry che hai citato poco fa. Ci spieghi meglio cosa vuol dire e perchè è cosi importante nello spirito OAE
Come ho già  detto, l’IBL è una modalità  di insegnamento e apprendimento in cui sono gli studenti e le studentesse a guidare il processo: sono loro che devono essere molto attivi anche nel cercare le informazioni necessarie e contribuire con un apporto personale. In genere si cerca di coinvolgere le persone mostrando loro un fenomeno naturale o lanciando una sfida, magari con un esperimento o attraverso qualsiasi altro stimolo che li incuriosisca.  Sono poi i gruppi a decidere la direzione di indagine di quel fenomeno o il modo con il quale raccogliere la sfida. Ciascun gruppo è libero di decidere su quali aspetti concentrarsi e di cercare le informazioni che servono per affrontare il problema. Questo permette ai gruppi di investigare facendo passi alla propria portata: tutti riescono a dare un contributo. Quel che importa è che l’investigazione sia condotta in prima persona, che i gruppi imparino a scambiarsi opinioni e informazioni, che siano disponibili a confrontarsi sul metodo che hanno scelto: in poche parole, a imparare dal confronto.
Questo semplice fatto mette le persone di fronte al punto di vista degli altri: quando si capisce che si potevano fare scelte diverse, viene voglia di alzare il livello della sfida. Chi partecipa, inoltre, è portato in modo naturale ad argomentare, a fare ipotesi, a confrontarsi in modo costruttivo e spesso questa dinamica porta al divertimento. Sono tutti elementi di quel che viene chiamato pensiero critico, ovvero un pensiero divergente che non dà  mai per scontato il sapere, e che è un po’ il cuore delle nostre attività .

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Al lavoro sulle attività 

Facciamo un passo indietro e raccontaci la storia dietro a Sabir: cosa significa questo nome e come è nata l’idea di questo progetto?
Con il nome Sabir si identifica una lingua-franca, cioè una lingua non codificata che nasce dall’uso e per bisogni pratici. In particolare, è stata diffusa nel bacino del Mediterraneo dall’11esimo al 19esimo secolo fra marinai e commercianti. Ecco, abbiamo voluto mettere in evidenza che, attraverso quel che stiamo facendo, stiamo utilizzando una lingua comune, che non è nessuna delle lingue che ciascuno di noi parla a casa propria, ma è un mescolamento di espressioni. E che tutto nasce dalla volontà  di comunicare, di dialogare.
Il progetto nasce in modo naturale dalle esperienze degli anni passati e in particolare dalla prima, fondamentale, che abbiamo chiamato MIRTO/STEAM-Med e che si è sviluppata dal novembre 2021 al tutto il 2022, per culminare in una settimana in presenza in un luogo molto speciale, scelto per il suo significato simbolico: Lampedusa.
Con MIRTO/STEAM-Med abbiamo realizzato iniziative perlopiù indirizzate ai ragazzi e alle ragazze delle scuole primarie (anche queste pubblicate su AstroEDU), mentre con Sabir abbiamo cercato di aggiungere un contributo rivolto agli studenti e alle studentesse delle secondarie, anche se il metodo che abbiamo usato – in effetti – è applicabile anche ai più piccoli.

Immagino che queste esperienze di autoformazione, che riuniscono persone da tutto il mondo in uno stesso posto sono anche un momento incredibile di vita in comune.
Quello che mi ha colpito da subito di queste esperienze è stata l’immediata capacità  di ridere insieme: è accaduto non appena ci siamo visti in presenza, a Lampedusa, dopo mesi di incontri online. Eravamo a luglio, con un caldo terribile, arrivati con voli in ritardo, con valigie perse, con un sacco di lavoro da fare, e il cavo per le connessioni cellulari era stato tranciato. Inoltre avevamo scelto di stare in campeggio, sia per risparmiare sia per stare insieme in un ambiente molto informale. Insomma, alcuni elementi di disagio c’erano, ammettiamolo. Eppure abbiamo riso tantissimo. Questo accade ogni volta che ci vediamo. Può essere per il tentativo maldestro di scattarsi un selfie, oppure una fontana che, proprio nel momento in cui uno di noi si avvicina, sembra aver terminato l’acqua: niente di tutto questo sarebbe divertente per un osservatore esterno. Ma noi ridiamo come ragazzi. Dario Fo, premio Nobel per la letteratura nel 2007, diceva che “soltanto nel divertimento, nella passione e nel ridere si ottiene una vera crescita culturale”. àˆ bello pensare che il nostro co-design aiuti la crescita culturale attraverso questi elementi.

A proposito di co-design: anche questo è un termine che torna molto spesso nei progetti e nelle attività  dell’OAE Center Italy. Ci spieghi cosa si intende e perchè è cosi importante? In particolare per il nostro ufficio che, ricordiamolo, ha tra i suoi obiettivi quello di occuparsi dei paesi del Mediterraneo.
Il Mediterraneo è un bacino di multiculturalità  molto stimolante ma sicuramente complesso. Coordinare le attività  dei paesi del Mediterraneo significa prevedere l’interazione con una comunità  di colleghi che vivono e agiscono in paesi e condizioni molto diverse fra loro. Ci è apparso subito chiaro che l’unico modo di lavorare bene insieme e di stabilire rapporti che non fossero solo occasionali o formali, fosse quello di progettare insieme ciascun passo che stavamo facendo.
Il co-design riassume un po’ tutto questo: un gruppo di persone di paesi diversi, che collabora con umiltà  e rispetto reciproco, condividendo dei valori (dal valore della scienza al valore della storia o delle tradizioni), trasformando le idee o le pratiche di qualche membro della comunità  in idee o pratiche riconosciute come comuni. Senza dimenticare la sua provenienza. Questo si ottiene anche traducendo dalla lingua di lavoro, l’inglese, a ciascuna delle lingue dei paesi che partecipano al processo. A volte la trasformazione è significativa, a volte meno drastica. Ma alla fine tutti sanno che il risultato finale è un prodotto condiviso, che viene dal lavoro, dalla storia e dalle idee di tutti.

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Scritto da

Livia Giacomini Livia Giacomini

Direttore di EduINAF, il magazine di didattica e divulgazione dell'Istituto Nazionale di Astrofisica.

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