La mia, dico.
Nel senso che da mo’ sospetto che la mia divulgazione non abbia nessun impatto non dico sull’universo, sul mondo, sulla società , ma neanche su mia zia o mia sorella. E non sto parlando di chissà quale impatto, di un cambiamento epocale di atteggiamento o di consuetudini, ma solo del fatto che se uno la pensa in un modo, poi continua comunque a pensarla in quel modo, indipendentemente da quel che io dica o faccia.
Il sospetto, insomma, è quello di essere la trasparenza totale, il numero zero della comunicazione additiva, il numero 1 della divulgazione moltiplicativa. L’elemento neutro, che lascia tutto com’era prima. Quella roba lì, insomma.
Il timore è lo stesso di ogni divulgatore/educatore (o quel che siamo) ed è piuttosto diffuso di questi tempi – non sono solo io a essere paranoico. Chiamiamolo “scoramento”.
E ha trovato una conferma perfetta quando, sui social, qualche giorno fa, è atterrata questa vignetta del mio amato Paperino. Si parla dei buchi neri. Leggetela.
Mi ha steso. Perchè fin dai primissimi anni della mia carriera, più o meno anno 0 o 1 di questo millennio, quasi 25 anni fa, insieme a Simona Romaniello (ora al Museo e Planetario infini.TO) e Francesca Cavallotti (ora al Museo del Balì di Saltara), impostammo una serie di incontri sui buchi neri. Di solito, in questi casi, si cerca di elencare o di mappare gli stereotipi più diffusi, per cercare di capire come usarli: se sia meglio smontarli affrontandoli frontalmente oppure essere strategici. Lo scopo è sempre quello di offrire una serie di immagini diverse (similitudini, metafore “controllate”) che aiutino il non-esperto a sostituire o accompagnare le proprie idee con rappresentazioni più vicine a quelle scientifiche ma altrettanto soddisfacenti. Per essere chiari: non è la soddisfazione di chi parla che conta, cioè quella del divulgatore, ma è quella di chi ascolta, di chi costruisce dentro di sè immagini che non aveva.
Ragionando sugli stereotipi più diffusi, Francesca, Simona e io avevamo elencato questi:
- I buchi neri non sono voragini nello spazio
- non risucchiano ogni cosa dentro di sè;
- e, santa pazienza, non sono enormi aspirapolveri galattici.
Poi c’era anche l’imbuto. Sull’imbuto, però, ci inchinavamo. L’imbuto restava in piedi – soprattutto grazie a Corrado Guzzanti e alla sua Vulvia. L’imbuto, anzi lo ‘mbuto non potevamo perdercelo. Ci fermavamo sull’orizzonte degli eventi a ridere. E questo valeva. Ecco un assaggio di ‘mbuti: nel video qui sotto li trovate dai 50″ in poi.
‘Mbuto più ‘mbuto, il punto è che questa vignetta dice esattamente il contrario di quel che volevamo “combattere—. E conferma drammaticamente ogni stereotipo: senza considerare che uscire su Topolino ha un effetto sulle giovani menti che noi non possiamo avere, come minimo per capacità di diffusione.
In definitiva, è l’esatta conferma del Teorema della divulgazione a impatto zero. L’incubo materializzato.
A questo punto scrivo a Simona, a Francesca: guardate, guardate! Scandalo e follia! La fine del mondo, siamo perduti, abbiamo fallito miseramente e la vita non ha più alcun senso! Loro se la ridono, senza prendersela. Forse allora il paranoico sono solo io dopotutto? Scrivo a Gianluigi: guarda! Scandalo e follia! La fine del mondo ecc. ecc. Ma dove è uscita, lo sai? Di che storia fa parte? Lo so, pare una domanda assurda: prendere una vignetta a caso e chiedere a qualcuno se sappia da quale fumetto è tratta è un po’ come canticchiare na na na e chiedere quale sia la canzone che cito. Ma Gianluigi non è uno qualsiasi. Lui sa tutto. Ma tutto. (“Bastava qualche na na in più e se me lo avesse chiesto avrei risposto la sigla del Batman anni ’60!” – nota di Gianluigi).
E siccome sa tutto, non batte ciglio e mi risponde nel giro di 1 minuto – forse meno: Topolino 1327, Zio Paperone e il tuffo nel black-hole, 1981. Ne ho scritto qui.
1981?
1981!
Diavolo d’un Filippelli.
Ho tirato un sospiro di sollievo. Non perchè creda che il teorema della mia divulgazione a impatto zero sia sbagliato, ma solo perchè potevo fingere ancora per oggi di non averne ancora incontrato la dimostrazione. E che la vita di un divulgatore qualsiasi abbia senso.
A proposito: volete vedere quali sono oggi i principali stereotipi sui buchi neri? Saranno cambiati rispetto a quelli elencati nella vignetta? Chi vuole, può approfondire in bibliografia. E se qualcuno vuole provare a dare un enunciato del Teorema della divulgazione a impatto zero ci scriva o commenti qui sotto!
Bibliografia minima
- Wikipedia: Zio Paperone e il tuffo nel black-hole, Topolino #1327, 3 maggio 1981.
- Ubben, M. S., Hartmann, J. Pusch, A., Holes in the atmosphere of the universe – An empirical qualitative study on mental models of students regarding black holes, in Astronomy Education Journal, 2022, Vol. 02, No. 1. doi: 10.32374/AEJ.2022.2.1.029ra
Diavolo di un Filippelli! Ero più che certo, visto l’argomento, che lui – e forse “solo” lui – sarebbe stato in grado in breve tempo di risalire, in un tempo brevissimo, al contesto di pubblicazione originale delle tavole “incriminate”!
Tuttavia, visto che la storia su Topolino è di più di quarant’anni fa, e che tutto sommato i buchi neri allora erano ancora abbastanza “nuovi” alla coscienza popolare (i testi in cui io studiavo astronomia li davano ancora per “probabili ma non certi”), forse si può essere clementi… 😉
Chiuderei aggiungendo, come definizione possibile per il buco nero, “centro di gravità permanente” come cantava il grande Franco Battiato, proprio ed esattamente in quel mitico 1981…