Aggiornato il 26 Settembre 2023
Quattro matematici (due dei quali anche fisici), due ingegneri, un entomologo, un medico, due chimici. Sono i dieci scienziati – nove uomini e una donna – protagonisti del libro L’Universo tra le dita, di Michele Mele.
Sei di loro sono figure del passato, quattro sono viventi e praticano attivamente la ricerca nei rispettivi campi di studio. Ad accomunarli, non solo l’essere non vedenti o ipovedenti, ma anche l’esser riusciti a contrastare i pregiudizi che circondano questa condizione, superando difficoltà fisiche ma soprattutto culturali per realizzare i propri sogni ed eccellere nella pratica scientifica, proprio come lo stesso autore, matematico ipovedente originario di Salerno, ricercatore presso l’Università degli Studi del Sannio.
Il libro dedica un capitolo a ciascuno scienziato, in ordine cronologico, raccontandone la vita e il contesto sociale e familiare con dovizia di dettagli, immergendo lettrici e lettori nella campagna inglese, tra le montagne della Svizzera, nella Mitteleuropa ottocentesca fino alle vibranti città statunitensi del secolo scorso e i campus universitari odierni. Perchè ciascuna di queste storie deve il successo non solo alle straordinarie capacità e tenacia dei rispettivi protagonisti, ma anche a una costellazione di genitori, coniugi, parenti, amici e talora – ma non sempre – docenti, mentori e colleghi, che ne hanno stimolato la curiosità e l’ingegno, supportandone le scelte e la ricerca dell’autonomia, senza mai cadere nella commiserazione e nello stigma che troppo spesso circondano chi soffre di gravi patologie della vista.
Da Nicholas Saunderson, noto per i teoremi e le notazioni a tutti gli studenti di matematica, che perse la vista a un anno ma non fu mai dissuaso per questo dagli studi, anzi ne ricavò addirittura un maggior potere di astrazione, a Leonhard Euler, meglio noto come Eulero – probabilmente il più famoso tra i dieci profili raccontati nel libro, di cui si ricordano costanti, funzioni, angoli, diagrammi, congetture e molto altro anche se i più ignorano che fosse non vedente: dopo aver perduto la vista a trent’anni, forse a causa dello stress dopo tre giorni di intense osservazioni astronomiche, Eulero fece ricorso alla sua eccezionale memoria e all’aiuto di un sarto che riportava su carta calcoli e grafici per continuare le sue ricerche.
Si procede con le storie dell’ingegnere britannico John Metcalf, che nel Settecento progettò strade nello Yorkshire, di cui conosceva la geografia meglio di molti vedenti, e dello svizzero Franà§ois Huber, che erudì il suo domestico perchè gli facesse da aiutante, sostituendosi ai suoi occhi, nello studio delle api e degli alveari, avendo intuito che vedere e osservare non sono necessariamente sinonimi.
Un altro tratto comune a queste dieci storie è la perseveranza, come quella di Jacob Bolotin, nato senza la percezione della luce da una famiglia di immigrati ebrei nella Chicago di fine Ottocento, che dovette scontrarsi più volte con una scuola decisamente non pronta a formare uno dei primi medici non vedenti e, dopo essere riuscito nell’impresa – grazie anche a uno spiccato senso dell’udito e del tatto, a un collega che gli leggeva ad alta voce i testi universitari e a modellini anatomici appositamente tessuti a maglia – affrontò il pregiudizio verso la sua disabilità dentro e fuori la professione medica, non ultimo con gli stessi pazienti.
Accomuna questi personaggi anche la spinta a superare i limiti, come nel caso dei matematici statunitensi Abraham Nemeth e Lawrence Baggett, che nei decenni successivi ebbero un’esperienza scolastica meno negativa di quella di Bolotin, e oltre a eccellere nella ricerca si impegnarono nella creazione di strumenti inclusivi per la matematica, dai codici di trascrizione delle formule alle sintesi vocali.
E, naturalmente, la creatività , come quella del britannico Damion Corrigan, che a cavallo tra il ventesimo e il ventunesimo secolo trova l’accesso alla medicina più difficile rispetto allo stesso Bolotin cent’anni prima, ma senza farsi scoraggiare spazia dalla biologia cellulare alla farmacologia molecolare fino alla chimica bioanalitica, costruendo una carriera scientifica interdisciplinare che lo ha portato, negli ultimissimi anni, a sviluppare un test rapido per la diagnosi del Covid-19. Oppure quella di Mona Minkara, chimica di origine libanese, l’unica donna ritratta nel libro, che fu ispirata da personaggi come Eulero e Bolotin ed è oggi la prima accademica donna di fede islamica e non vedente negli Stati Uniti, impegnata non solo nella ricerca ma anche nella divulgazione con il progetto Planes, trains and canes che, attraverso coinvolgenti video su YouTube di cui lei stessa è protagonista, esplora e sfida le percezioni culturali della disabilità in giro per il mondo.
Storie che culminano in quella del chimico e imprenditore californiano Henry Hoby Wedler, non vedente dalla nascita: dalla madre che, dinanzi a un sistema scolastico inadeguato, decide di diventare educatrice per non vedenti e ipovedenti, all’insegnante di chimica, alle cui perplessità il giovane obiettò facendo notare che nessuno può vedere gli atomi e richiedendo un assistente per poter svolgere gli esperimenti nel laboratorio della scuola. Esperienze che portano Wedler a sviluppare un’attenzione particolare verso l’accessibilità della scienza, mediante standardizzazione dei protocolli di lavoro, stampa 3D e sintesi vocali: pratiche che oggi, attraverso l’azienda di consulenza strategica Senspoint, cerca di estendere anche alle arti visive e alle discipline umanistiche – dove la carenza di contenuti per la fruizione da parte di verso ipovedenti e non vedenti è forse ancor più pervasiva che in ambito scientifico – creando esperienze multi-sensoriali per godere a pieno di quadri, fotografie, mappe geografiche e rendere più inclusive anche attività come il turismo e l’intrattenimento.
Un libro che si rivolge a docenti, studenti, famiglie e alla società tutta, per scoprire alcune pagine nascoste della storia della scienza ma anche quanto poco basti per creare un ambiente accessibile. Attraverso l’esempio di queste dieci figure, che attraverso secoli e continenti hanno brillato in molteplici settori, l’autore invita a riflettere sui fattori che hanno portato al successo scienziati ipovedenti e non vedenti di ieri e di oggi, e sulle ragioni della loro rarità . Dimostrando, proprio come si fa per un teorema matematico – ma in questo caso chiamando in causa le loro storie di vita e i molteplici strumenti che li hanno aiutati di volta in volta a superare i più disparati ostacoli pratici e logistici: dalla tavola tattile di Saunderson ai supporti in tessuto, fino alle moderne stampe 3D e sintesi vocali – che nulla preclude lo studio della scienza e la pratica della ricerca, se non la “cecità †del pregiudizio e dell’ignoranza.
Abbiamo parlato di:
L'Universo tra le dita
Michele Mele
Edizioni Efesto, gennaio 2021
191 pagine, brossurato – 13,50 €
ISBN: 978-88-3381-238-0
Add Comment