Aggiornato il 1 Dicembre 2021
La nostra ospite di questo mese è una fisica matematica che ama la comunicazione scientifica e ha trovato la sua vocazione nella ricerca sulla didattica della fisica. Magdalena Kersting è una ricercatrice post-doc presso l’Università di Oslo, dove lavora a una moltitudine di progetti per integrare l’insegnamento della fisica a scuola con argomenti provenienti dalla ricerca contemporanea, in particolare le teorie della relatività speciale e generale sviluppate poco più di un secolo fa da Albert Einstein.
Partiamo dal tuo percorso: come hai scoperto la didattica della scienza come campo di studio e ricerca?
Ho studiato fisica e matematica, quindi sono una fisica matematica di formazione ma ho sempre avuto una passione per la comunicazione della scienza. Poi sono stata molto fortunata, ho visto un’opportunità di lavoro per un dottorato in ricerca in didattica della fisica presso l’Università di Oslo in Norvegia, che sembrava davvero unire il mio interesse per la fisica e la mia passione per la comunicazione della scienza.
Stavano cercando qualcuno con esperienza in relatività generale, che io avevo, per sviluppare un ambiente di apprendimento digitale per trasmettere le idee chiave delle teorie di Einstein. Sembrava molto entusiasmante, anche se non avevo esperienza nel campo della didattica prima di allora. àˆ stato un bel viaggio perchè la ricerca sulla didattica è molto diversa dalla ricerca che si fa nelle scienze naturali.
Più lavoro nella ricerca sulla didattica della fisica e della scienza, più sento l’importanza della formazione e dell’alfabetizzazione scientifica, e passo la maggior parte del mio tempo cercando i metodi migliori per insegnare la scienza sia in contesti formali che informali.
Com’è stato il tuo passaggio dalla fisica alla ricerca in didattica?
Durante il primo anno del dottorato ho faticato parecchio. Discipline accademiche diverse hanno tradizioni diverse, e mi sembrava che tutto quello che avevo imparato durante i miei studi – beh, non era proprio inutile ma sentivo di non poterlo usare per questo progetto, quindi per il primo anno ho pensato davvero di aver fatto un grosso errore!
Poi ho letto molta letteratura del settore, ho seguito corsi sui metodi di ricerca qualitativa e quantitativa, su come condurre ricerche video (quando c’è una telecamera installata in un’aula o a un festival della scienza) e analizzare questi dati, ho iniziato a partecipare a congressi… àˆ come imparare una nuova lingua: cominci a capire quello che dicono gli altri e dopo un po’ anche tu riesci a dire qualcosa.
Oggi mi piace molto perchè la didattica della scienza è molto eclettica: ho molti interessi e la ricerca sulla didattica combina aspetti di psicologia, scienze cognitive, filosofia, storia e filosofia della scienza e molte altre discipline.
Puoi raccontare ai nostri lettori com’è organizzata la comunità che si occupa di didattica della fisica in Norvegia e negli altri paesi in cui hai studiato o lavorato?
La Norvegia è un paese piccolo, con circa cinque milioni di abitanti: questo rende più facile entrare a far parte della comunità . Ed è abbastanza moderno per quanto riguarda la progettazione dei curricula di fisica e scienze: hanno introdotto sia la relatività speciale che quella generale già nel 2006.
La comunità di ricerca in didattica della fisica e della scienza è piuttosto all’avanguardia in Norvegia, perchè è più facile innovare in una nazione piccola. Io vengo dalla Germania, e se vuoi introdurre un’innovazione lì, probabilmente ci vorranno vent’anni! C’è tanta burocrazia, tante persone con opinioni diverse, mentre la Norvegia è più piccola e le cose succedono velocemente. Questo è bello: puoi innovare, cambiare alcune cose e vedere l’impatto educativo. Alcuni dei risultati della mia ricerca di dottorato sono finiti nei libri per gli insegnanti di fisica, quindi ora gli insegnanti studiano la mia ricerca. C’è una comunità coesa composta da fisici, educatori di fisica e ricercatori nel campo della didattica.
Ho anche fatto ricerca in Australia per quasi un anno. La collaborazione tra l’Università di Oslo e l’Università dell’Australia occidentale (UWA) ha portato alla nascita di un movimento mondiale per modernizzare la didattica della fisica. I miei colleghi dell’Einstein-First Project alla UWA, che hanno coniato il termine Einsteinian physics education research(1)In italiano: ricerca sulla didattica della fisica di Einstein, stanno cercando di sviluppare un curriculum moderno che ripensi e reimmagini completamente la didattica scientifica. Invece di partire da cose vecchie, ad esempio da Newton, seguendo il modello storico di insegnamento della fisica, partono da concetti moderni, dalla miglior comprensione della fisica che abbiamo oggi, e poi mostrano come queste idee si semplificano nel contesto della nostra vita quotidiana.
àˆ diventata una collaborazione mondiale. Abbiamo diversi collaboratori in Italia, uno dei più attivi è Matteo Luca Ruggiero del Politecnico di Torino, che ha recentemente pubblicato un articolo con alcuni collaboratori su un’attività basata sulla fisica di Einstein per studenti delle scuole primarie, in cui cercano di replicare i risultati australiani in Italia.
In questo contesto, quali sono le principali sfide nella didattica della fisica?
Penso che le sfide siano simili in tutto il mondo: cercare di colmare il divario tra ricerca e pratica. Ci sono molti fisici che si dedicano al miglioramento della didattica della fisica ma di solito provengono dal mondo accademico, poi ci sono ricercatori in didattica che cercano di lavorare con gli insegnanti, ma spesso molte idee rimangono all’interno dell’ambiente accademico.
àˆ necessario lavorare con gli insegnanti e formare i tirocinanti per migliorare davvero la pratica educativa, ma a volte è difficile raggiungere gli insegnanti.
Molti insegnanti sono intimiditi dalla fisica di Einstein perchè spesso non fa parte della loro formazione. Quindi la sfida più grande è tradurre i risultati della ricerca per una classe reale e collaborare con gli insegnanti in modo che possano ricevere la formazione di cui hanno bisogno.
Come si svolge il tuo lavoro di ricerca?
Come altri accademici, leggo molta letteratura scientifica, scrivo articoli, partecipo a congressi e passo troppe ore a rispondere alle e-mail! La parte di ricerca empirica poi dipende dal tipo specifico di progetto.
In Norvegia facciamo spesso “ricerca basata sul design” con le scuole: collaboriamo con gli insegnanti e portiamo diverse risorse educative in classe, e poi iteriamo insieme a loro. Quando stavo sviluppando l’ambiente di apprendimento della relatività generale durante il dottorato, abbiamo creato un modulo pilota lavorando con cinque scuole: durante il primo anno, gli insegnanti hanno insegnato usando quelle risorse e noi abbiamo installato telecamere nelle aule, poi abbiamo intervistato insegnanti e studenti e avevamo anche accesso alle risposte degli studenti nella piattaforma digitale.
Abbiamo raccolto tutti i dati che potevamo ottenere e li abbiamo analizzati, cercando problemi, difficoltà concettuali, equivoci. Quindi abbiamo inserito i risultati dell’analisi dati nella riprogettazione delle risorse. Durante il secondo anno, abbiamo lavorato con un team per creare un vero e proprio progetto dell’ambiente di apprendimento. Poi di nuovo: cinque insegnanti hanno insegnato con le nostre risorse, abbiamo raccolto i dati, filmato tutto, intervistato gli studenti – e così per 4 anni. Andavamo dagli insegnanti una volta all’anno e poi ripetevamo il processo in maniera iterativa per perfezionare le risorse didattiche.
Il mio progetto attuale presso il Dipartimento per la Formazione degli Insegnanti e la Ricerca Scolastica a Oslo è molto più grande, stiamo collaborando con 20 scuole e abbiamo riprese video di oltre 100 ore di insegnamento di scienze in aula per cercare di identificare collegamenti tra le pratiche didattiche e i risultati ottenuti dagli studenti. Se gli studenti ottengono punteggi molto alti nelle verifiche, per esempio, andiamo a vedere il materiale raccolto in classe per controllare se c’è qualcosa in comune che gli insegnanti hanno fatto in quella fase.
Perchè è importante insegnare la fisica di Einstein a scuola?
Nella didattica della scienza, si può guardare alla motivazione, all’interesse degli studenti verso la fisica e le scienze, oppure a quanto bene apprendano i concetti scientifici. Sfortunatamente c’è un declino sia nell’interesse che nell’apprendimento della scienza e della fisica nel corso degli anni. Nello studio PISA, un grande studio didattico condotto in tutti i paesi dell’OCSE, molti paesi mostrano la stessa tendenza: gli studenti diventano sempre meno interessati alla fisica e alla scienza e ottengono anche risultati peggiori nel tempo – almeno questo è il caso in Norvegia e Australia, i paesi con cui ho maggior familiarità .
Portare la fisica di Einstein nelle scuole aumenta la motivazione: gli studenti sono più disposti a imparare la fisica e apprendono anche meglio i concetti. Nella nostra ricerca, cerchiamo di capire perchè gli studenti sembrino essere così motivati ​​e come possiamo usare questo per aiutarli a considerare la scienza come una possibile carriera. Cerchiamo anche di identificare l’origine degli equivoci – ci sono molti equivoci sulla gravità , per esempio – e di trovare modi migliori per insegnare la scienza, sviluppando risorse didattiche che aiutino gli studenti a essere più motivati ​​e ad apprendere meglio la scienza.
Cosa c’è nella fisica di Einstein che li motiva?
àˆ importante distinguere tra l’effetto della fisica di Einstein come materia e l’uso di attività pratiche, simulazioni e lavori di gruppo, che di solito sono più coinvolgenti della maggior parte delle pratiche didattiche tradizionali in fisica. I miei colleghi in Australia usano molte attività pratiche ed è chiaro che gli studenti le apprezzano; in particolare, le ragazze delle scuole medie spesso preferiscono il lavoro di gruppo rispetto a quello individuale.
Ma quello che ho scoperto in un recente articolo è che la fisica di Einstein combina intrinsecamente diversi fattori che riescono a motivare gli studenti, indipendentemente dal format della lezione. Uno di questi è il fatto che la fisica è rilevante oggi, è un’attività umana in corso, non solo qualcosa che è venuta in mente a Isaac Newton 400 anni fa. E attira ancora molta attenzione: due degli ultimi premi Nobel per la fisica hanno premiato aspetti della ricerca sui buchi neri e le onde gravitazionali. Gli studenti si rendono conto che la fisica non è roba vecchia e superata: è ricerca di avanguardia a cui gli scienziati di oggi dedicano molto tempo. Trovano davvero entusiasmante il fatto che ci siano ancora misteri aperti: non sappiamo tutto, possiamo fare domande ma non abbiamo ancora le risposte, e questo può essere davvero motivante. E ovviamente, probabilmente questo lo sperimentate anche nel vostro lavoro, molte persone sono interessate all’astronomia e alla scienza dello spazio, inclusi gli studenti: mostrare che anche questi argomenti fanno parte della fisica può motivare molti studenti.
Hai anche esaminato specificamente l’esperienza delle ragazze delle scuole medie e il modo in cui sperimentano la fisica di Einstein in classe. Puoi parlarci di questo aspetto?
Studi precedenti avevano scoperto che le ragazze, quando incontrano la fisica di Einstein, sembrano avere maggior interesse e apprendimento migliore rispetto ai ragazzi, ma fino a poco tempo non sapevamo perchè. Così durante il mio periodo di ricerca a Perth, in Australia, ho fatto uno studio approfondito con due classi di studenti del 9° anno (circa 14-15 anni), intervistando le ragazze e chiedendo loro di scrivere le loro esperienze, e collaborando anche con gli insegnanti.
Abbiamo scoperto che la fisica di Einstein ha un eccellente potenziale per potersi identificare con la scienza e la fisica: molte ragazze hanno detto che in precedenza pensavano che la fisica fosse noiosa ed erano più interessate, per esempio, alla biologia, ma dopo il nostro intervento si sono rese conto che la fisica include argomenti interessanti come la scienza dello spazio o i buchi neri, e questioni filosofiche sulla natura dello spazio e del tempo. Gli argomenti e i contenuti della fisica possono davvero mettere in discussione gli stereotipi tradizionali, insieme a domande come: chi può essere un fisico? come lavorano i fisici? Ci si rende conto che i fisici hanno bisogno di molta creatività e immaginazione. Una delle ragazze ha detto: “Wow, Albert Einstein era la persona più creativa sulla Terra!” e molte di loro hanno detto di poter immaginare una carriera in fisica o in scienze.
La presenza di personaggi come Einstein aiuta a motivare gli studenti?
Scelgo spesso un approccio che viene dalla storia e dalla filosofia della scienza: invece di presentare solo i concetti di fisica, si può mostrare lo sviluppo di questi concetti e le persone dietro di essi. Invece di parlare solo di Albert Einstein o Emmy Noether, si può mostrare l’aspetto umano: Einstein ha faticato per dieci anni per passare dalla relatività speciale a quella generale e ha avuto bisogno dell’aiuto dei suoi amici matematici. Oppure si può parlare di Emmy Noether e di altre donne all’epoca e di quanto fosse difficile per loro anche semplicemente ricevere un salario, o della discriminazione che hanno subito.
Gli studenti apprezzano se i contenuti di fisica sonno presentati nel contesto più ampio della storia e della filosofia della scienza, in particolare gli studenti che di solito si entusiasmano meno ai contenuti tradizionali della fisica. Quando scoprono che la fisica è un’impresa umana e le persone che ci lavorano, iniziano a identificarsi con essa. La storia e filosofia della scienza è un tema ricorrente nella mia ricerca. Fornire il contesto più ampio della scienza mostra agli studenti che non si tratta solo di verità , di sì o no, ma che ci sono molte sfumature: le persone commettono errori e la nostra comprensione è in costante evoluzione.
So che sei coinvolta anche in un altro progetto che riguarda la realtà virtuale, di cosa si tratta?
Questa è una collaborazione con il team di didattica e divulgazione di OzGrav, il Center of Excellence for Gravitational Wave Discovery dell’Australian Research Council. Hanno sviluppato molte esperienze di realtà virtuale e realtà aumentata per l’insegnamento dell’astronomia, con un focus sull’astronomia delle onde gravitazionali, e mi sono unita al team per studiare l’efficacia di queste attività . La realtà virtuale è entusiasmante e sembra avere un grande potenziale per migliorare le attività di disseminazione, ma nel nostro studio abbiamo cercato di guardare al di là di questo entusiasmo. Abbiamo trascorso tre giorni a un festival della scienza a Melbourne, prima della pandemia ovviamente. Avevamo installato videocamere e condotto un sondaggio con i visitatori dopo che erano stati nell’esperienza virtuale, per comprendere i diversi modi in cui i visitatori del festival interagiscono con questi ambienti virtuali.
Cosa avete scoperto in questo studio?
Una cosa che abbiamo imparato è che si possono coinvolgere molte più persone usando un’applicazione che trasmette il contenuto su uno schermo. Spesso la realtà virtuale può sembrare un’attività che isola: hai il visore in testa e sei nell’ambiente virtuale ma non vedi le persone intorno a te e loro non vedono cosa ti sta succedendo. Noi avevamo uno schermo enorme; questo aiuta anche a soddisfare le esigenze delle persone che non possono (o non vogliono) indossare il visore per svariati motivi.
Per quanto riguarda la visualizzazione, le persone vengono spesso sopraffatte dalle esperienze di realtà virtuale e c’è un equilibrio tra la ricchezza visiva e il concentrarsi sulle idee chiave che si vogliono trasmettere. Consigliamo di non presentare troppe cose in una volta, in quanto ciò potrebbe rendere l’esperienza troppo intensa e poco piacevole per gli utenti.
Un altro consiglio è quello che chiamiamo l’effetto “incontra lo scienziatoâ€, che non è legato alla realtà virtuale di per sè. Ai frequentatori dei festival piace incontrare scienziati veri, e con noi al festival c’erano molti volontari: dottorandi e post-doc esperti di onde gravitazionali. Questo è stato davvero motivante per i visitatori del festival perchè potevano porre domande agli scienziati, il che ha arricchito molto la loro esperienza. Si tratta di una situazione doppiamente positiva perchè motiva anche i dottorandi e i post-doc: spesso i ricercatori a inizio carriera hanno la sindrome dell’impostore e pensano di non saperne abbastanza, ma se si dà loro la possibilità di parlare della loro ricerca e rispondere alle domande dei visitatori del festival, si rendono conto di sapere molte cose e di poter condividere le loro conoscenze e la passione per la scienza. Questo è un ottimo modo per coinvolgere il pubblico, anche senza costose apparecchiature per la realtà virtuale.
Al momento stiamo lavorando a un progetto di follow-up per formulare altre raccomandazioni, speriamo di poter presentare presto un nuovo articolo.
Quali sono gli aspetti più appassionanti e più difficili del tuo lavoro?
Mi sento davvero fortunata perchè posso lavorare su domande che trovo entusiasmanti; questo è vero per tutti i ricercatori, e inoltre ho anche la possibilità di vedere l’impatto educativo del mio lavoro. Questa è probabilmente la parte più appassionante, che combina gli aspetti positivi del mondo accademico a un impatto sul mondo reale.
Dal lato delle sfide, prima di tutto, bisogna essere bravi a prendersi cura di se stessi: quando si lavora su cose entusiasmanti, c’è sempre il pericolo di lavorare troppo e dire sì a troppi progetti. Una sfida più specifica è districarsi tra diverse discipline, che può essere entusiasmante ma anche difficile. A un congresso di fisica non sono proprio un fisico, a un congresso di didattica sono ancora troppo un fisico, se poi vado a un congresso di scienze cognitive non mi sono formata in quella disciplina, uso solo i loro metodi. àˆ la sfida della ricerca interdisciplinare: ci sono diverse comunità di riferimento ma non c’è una sola comunità a cui appartieni.
Come viene accolto il tuo lavoro dalla comunità della fisica?
Sempre più fisici si rendono conto dell’importanza della didattica e la percezione generale della ricerca sulla didattica della fisica sta cambiando. La gente condivide la necessità di una buona didattica della fisica: non si possono formare le persone semplicemente dando loro dei libri. Negli ultimi decenni, questo non è stato fatto nel miglior modo possibile e ora ci si sta rendendo conto che la ricerca sulla didattica della fisica può offrire informazioni valide su come migliorare la formazione sia nelle scuole che all’università – io personalmente non mi occupo di formazione universitaria ma c’è molta ricerca anche in questo settore. Certo, molte persone pensano ancora che essere un buon fisico significhi anche saper insegnare, ma non è vero: c’è una differenza tra essere un buon fisico e un buon educatore!
C’è qualche autore o scienziato che ti ha particolarmente influenzato?
In fisica, qualcuno che mi ha davvero influenzato è Sean Carroll. Vengo dalla relatività generale e ho imparato la relatività generale dal suo libro di testo Spacetime and geometry(2)In italiano: Spaziotempo e geometria. Poi ho insegnato la relatività generale usando il suo libro di testo e sono anche una grande fan del suo podcast. Il modo in cui faccio fisica e il modo in cui mi piace collegarla ad altri aspetti della società e del mondo accademico è stato influenzato molto da Sean Carroll. Ma traggo molta ispirazione da diverse discipline, quindi anche da filosofi, scrittori, fisici.
Hai appena pubblicato un libro sulla ricerca in didattica della fisica. Puoi dirci qualcosa a proposito di questo e altri progetti editoriali?
Poche settimane fa abbiamo pubblicato un libro intitolato Teaching Einsteinian Physics in schools(3)In italiano: Insegnare la fisica di Einstein a scuola che raccoglie l’esperienza di 30 colleghi in 9 paesi su 4 continenti. àˆ un libro per insegnanti di fisica, sia tirocinanti che già formati. C’è un enorme glossario con tutti i concetti importanti della fisica di Einstein e della ricerca in didattica, tanti capitoli che spiegano i fondamenti scientifici e gli approcci didattici, e anche una piccola sezione con progetti di ricerca da tutto il mondo. Io sono la curatrice principale ma è un lavoro di gruppo e siamo tutti molto orgogliosi. Poi c’è un nuovo libro in arrivo, Closer to science in the classroom(4)In italiano: ​​Più vicino alla scienza in classe, che sarà pubblicato a novembre. àˆ il risultato del mio progetto di ricerca attuale, in cui abbiamo analizzato l’insegnamento delle scienze in 20 classi studiando l’effetto delle pratiche didattiche sull’apprendimento e la motivazione degli studenti.
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