Aggiornato il 18 Giugno 2021
Un workshop con conferenze di esperti e tavoli di progettazione per creare contesti inclusivi e consapevoli, che rendono valore alla democrazia e all’imparzialità dell’Universo.
La potenza e il fascino dell’astronomia possono essere usati per includere il disagio, sia esso fisico, di genere, culturale, cognitivo? La risposta sembra ovvia. Ma spesso l’astronomia inclusiva è pensata solo come “astronomia anche per”, i ciechi, i sordi, i migranti.
L’obiettivo ambiziosissimo che l’Istituto Nazionale di astrofisica (INAF) si propone è quello di raccontare l’astronomia “senza barriere”, secondo il modello della progettazione universale: non per tutti, che sarebbe presuntuoso e forse irrealizzabile, ma accessibile da diversi punti di vista e che offra anche spunti di riflessione sull’altro, secondo i principi dell’inclusione sociale, in cui tutte le differenze (non solo i deficit) sono pensate come modi personali di porsi nelle diverse relazioni e interazioni. L’idea è quindi creare contesti accoglienti per tutti e non, paradossalmente, pensati in modo esclusivo per accogliere un certo tipo di difficoltà .
A tale scopo, i tecnologi e ricercatori INAF impegnati nella didattica e divulgazione hanno organizzato un workshop per farsi raccontare dagli esperti cosa c’è dietro alcuni disagi, difficoltà o semplici differenze e come usare l’universalità dell’astronomia per includere più possibile ogni tipo di pubblico. L’incontro, organizzato in collaborazione con Nicoletta Lanciano del Dipartimento di Matematica della Sapienza e del Movimento di Cooperazione Educativa, si è tenuto il 13 e 14 maggio presso l’Istituto Nazionale di Alta Matematica “Francesco Severi“, all’interno della Città Universitaria “La Sapienza” di Roma. La parola agli esperti dunque, perchè è importante riconoscere le professionalità specifiche in qualunque contesto e particolarmente in questo, in cui la complessità è enorme e conoscerla è fondamentale per creare ambienti di comunicazione davvero inclusivi e consapevoli.
Ilenia Picardi dell’Università “Federico II” di Napoli ha introdotto le insidie ancora legate alle problematiche di genere nella scienza, Flavia Capozzi, neuropsichiatria infantile, ha parlato di disabilità intellettive e, per contro, Viviana Castelli dell’Associazione Step-Net Onlus ha raccontato le opportunità e difficoltà che i ragazzi “gifted“, o plusdotati, incontrano nel loro percorso di educazione e formazione. Poi Stefano Rini, animatore digitale ed esperto in nuove tecnologie per la scuola, ha raccontato come i disagi e le diversità sono incluse nella scuola, sia dal punto di vista della normativa ministeriale e in termini di piani didattici personalizzati, sia come lavori che autonomamente gli insegnanti riescono a fare sul gruppo classe, anche usando le nuove metodologie e tecnologie per la pedagogia informale. Luca Bianchi e Deborah Donadio dell’Istituto Statale per Sordi di Roma hanno parlato di accessibilità in progetti con persone sorde e infine Marina Tutino, docente CPIA presso la Casa Circondariale di Rebibbia, ha parlato di cosa significa fare scuola in “zone di confine”.
Alcune conferme, molte scoperte, ma soprattutto fonti, studi e spunti di ricerca a cui rifarsi per la progettazione delle attività INAF. Per esempio, la comunicazione delle difficoltà di genere alle nuove generazioni può basarsi sull’attenzione alle differenze, non ignorate o minimizzate, ma affiancate alla piena consapevolezza delle difficoltà incontrate e delle scelte fatte nel percorso di lavoro. Molte manifestazioni di disabilità intellettive possono essere incluse con successo in percorsi di didattica e divulgazione, arricchendo il contesto in cui vivono o studiano le persone incontrate. Conoscere le caratteristiche, anche emotive, dell’interazione che i plusdotati attuano con i loro gruppi di apprendimento e gioco, aiuta a immaginare un buon modo per far sentire tutti apprezzati e pienamente inclusi. E poi c’è la cosiddetta “disabilità invisibile”, la sordità , che spesso è poco oggetto di studio nella progettazione di attività inclusive e che porta con sè grandi potenzialità di comunicazione alternativa e arricchimento, anche per chi sordo non è. E ancora il disagio sociale, ad esempio quello delle persone che vivono in carcere, che insegnano a guardare all’Universo come una delle cose più imparziali e unificanti che esistano. L’inclusione di questi e altri disagi o diversità a scuola vive il suo maggior successo quando c’è uno sforzo e una riflessione da parte degli insegnanti sull’intero “gruppo classe”, teso a integrare eventuali supporti personalizzati, quando presenti, con attività collaborative e inclusive, che stimolano le diverse intelligenze e attitudini, creando reale accoglienza e consapevolezza.
Dopo le presentazioni il personale INAF, insieme a Nicoletta Lanciano e Dania Malerba dell’Università La Sapienza, si sono messi alla prova, con tavoli di progettazione per provare a inventare e realizzare nuovi percorsi o esperienze di didattica e divulgazione dell’astrofisica che tengano conto il più possibile di quanto è vario il pubblico che si può incontrare, per non escludere nessuno anzi per creare, dove possibile, anche un contesto di riflessione consapevole per chi non vive questi disagi e non ne conosce la complessità e la ricchezza. Guidati dal filo rosso della progettazione di un’attività pensata nello stile del “gioco serio” alla Munari, sono stati estrapolati e discussi alcuni principi generali, ritenuti validi capisaldi da cui partire per la progettazione di attività inclusive: riflessione consapevole, offerta di diversi approcci, tempi di fruizione distesi, attenzione alla persona, scomposizione dei modelli fisici in micro-contenuti, narrazione, cura e bellezza dei materiali, esplorazione libera, gioco, uso di materiali familiari.
Il workshop è stato realizzato grazie al sostegno del Settore D della Struttura per la comunicazione della Presidenza dell’INAF (responsabile Stefano Sandrelli)
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