Aggiornato il 21 Luglio 2021
Il Programme for International Student Assessment, il celebre PISA, promosso dall’OCSE, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, nasce nel 2000 con l’idea di promuovere e stimolare la formazione di un cittadino consapevole. Diciotto anni dopo, il Segretario Generale dell’OCSE Angel Gurràa chiarisce che
PISA riconosce un ruolo centrale alla scuola e traduce i suoi obiettivi cercando di fotografare il livello di scolarizzazione dei quindicenni e, in modo indiretto, di stimolare un insegnamento di qualità .
Ma che cosa è il PISA? In sintesi, si tratta di un campionamento internazionale che, ogni triennio, misura le competenze di lettura, matematica e scienza degli studenti di 15 anni dei paesi OCSE e di altri paesi che aderiscono a questo rilevamento.
In Italia, oltre a guardare al contenuto (i risultati) o al contenitore (l’OCSE), per lunghi anni si è stati molto attenti a comprendere anche il significato del termine “competenza“, che è apparso inizialmente oscuro a tanti e che ha rimpiazzato i più familiari “saper essere” e “saper fare”.
Oggi è abbastanza semplice indicare che cosa non può essere ricondotto alla competenza: competenza non significa saper ripetere una definizione matematica o descrivere una cellula. Competenza non equivale neanche al saper fare: per esempio al saper svolgere problemi di matematica o al saper scrivere un tema, anche se ci si avvicina. Questa equivalenza non c’è perchè nel saper svolgere un esercizio di matematica, nella scuola di oggi, si presuppone di averne visto un esempio prima o qualcosa che gli assomigli. Così come nel saper svolgere un tema, si presuppone che esista un “archetipo” di tema a cui ispirarsi e che sia stato reso noto agli studenti.
La competenza in una determinata materia, invece, riguarda la capacità di mettere in gioco se stessi e tutto quel che si conosce, la propria esperienza di vita oltre che “di disciplina”, per risolvere un problema piuttosto inedito. Quanto risulti inedito a ogni singola persona dipende dall’esperienza di quella persona, dalla sua capacità di osservazione, dalla sua esposizione negli anni (mesi, giorni) precedenti a situazioni che ne hanno allargato l’orizzonte.
Intendiamoci: non è che per risolvere ogni singolo quesito del PISA ci si debba mettere a nudo, sia necessario aver viaggiato in Kenya o aver sviluppato un approccio olistico all’esistenza. Sono problemi e questioni calibrati sull’esperienza di un quindicenne “ideale” che servono a fissare un “punto 0” comune a tutti i paesi che partecipano all’indagine stessa.
Come nelle precedenti indagini triennali, PISA 2018 ribadisce un fatto noto. In Italia gli studenti che hanno maggiori competenze sono coloro che, in media, possono contare su condizioni socioeconomiche migliori: per esempio coloro che hanno oltre 500 libri in casa e almeno tre bagni. Questo matrimonio fra performance e background socioeconomico è, in realtà , la regola generale in tutti i paesi, anche se esistono delle eccezioni.
E se è vero che c’è sempre qualcosa da imparare dalle rondini fuori stagione, resta il fatto che una rondine non fa primavera: nel nostro paese, anche le aspettative per la vita futura riflettono lo status socioculturale ed economico delle famiglie. Fra le persone che hanno buoni risultati, oltre l’80% degli studenti avvantaggiati si aspetta di poter proseguire gli studi, mentre solo il 60% di quelli svantaggiati. Vale la pena sottolineare che le eccellenze italiane sono competitive con le eccellenze a livello mondiale, ma rimangono comunque a livello di performance inferiori.
Per contro, PISA mostra che gli insegnanti italiani, sulla carta, sono fra i più preparati del pianeta. Eppure servono a poco: l’indagine conferma che le scuole non incidono molto sulle competenze. Il report del 2018 lo dice chiaramente:
Ovvero se sei immerso in una condizione socioeconomica favorevole hai maggiore probabilità di essere bravo.
Se da una parte questa conclusione era prevedibile in senso molto generale, dall’altra ci offre lo spunto per qualche riflessione sull’indagine stessa. L’OCSE (OECD in ambito internazionale) riunisce essenzialmente i paesi sviluppati che si riconoscono in un’economia di mercato. Per dire: in OCSE c’è pochissima parte del continente latino-americano, nessuna dell’Africa continentale, pochissima ASIA “ eccetto Corea e Giappone “ sebbene oggi l’adesione al PISA si estenda ben oltre i confini dell’OCSE stesso. “La missione dell’OCSE“, si legge sul sito del MAECI, “è la promozione, a livello globale, di politiche che migliorino il benessere economico e sociale dei cittadini.” Inoltre favorisce “l’integrazione dei mercati e la realizzazione dei più alti livelli di crescita economica e di occupazione sostenibile, favorendo gli investimenti e la competitività e mantenendo al contempo la stabilità finanziaria.“
Senza lanciarsi in chissà quali interpretazioni, è lecito il dubbio che le competenze valutate dal PISA riguardino soprattutto quelle che sono ritenute positive nel modello socioeconomico di riferimento. Come dire: più ottimizzazione di processi e meno ricerca di vie alternative. Approfondiremo la questione. Chi volesse contribuire mi contatti.
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