Aggiornato il 23 Settembre 2021
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La nostra ospite oggi è Elena Parodi, una persona veramente eclettica. Elena parte con una laurea in conservazione e restauro dei beni culturali e poi un dottorato in Scienze e Tecnologie Chimiche all’università di Genova. Comincia ad occuparsi di didattica e divulgazione della scienza del restauro, poi continua con la didattica e divulgazione ambientale per arrivare finalmente alle STEM. Accumula un’esperienza veramente impressionante nel design e nella facilitazione di laboratori didattici lavorando con Scuola di robotica, Festival della Scienza di Genova, Science Center Muvita, Fabbrica di Staglieno e nel frattempo trova anche il tempo di diventare autrice del Libro Robotica Creativa per giovani tecnologici.
Cosa bolle in pentola Elena in questo periodo?
Adesso sono in Madlab da ormai 2 anni e mezzo. Madlab 2.0 è un laboratorio di stampa 3d e Robotica umanoide e ci occupiamo principalmente di formazione: scuole di ogni ordine e grado, privati, adulti e bambini. Il mio ruolo è la progettazione didattica di laboratori e quello a cui ci siamo dedicati di più recentemente sono dei laboratori finanziati da un bando del ministero (bando STEM rivolto particolarmente alle bambine). Abbiamo avuto dai 7 ai 9 bambini in ogni laboratorio, di cui la maggior parte bambine della scuola primaria, che venivano a turno ogni pomeriggio a fare con noi attività di vario tipo: dal tinkering, alla stampa 3d ma anche programmazione. Per quanto riguarda la stampa i bambini hanno progettato collettivamente e hanno seguito tutto il processo dall’inizio alla fine. Quest’anno un problema ulteriore che io personalmente ho sofferto parecchio sono le tantissime regole che dobbiamo imporre perché ovviamente non è possibile scambiarsi i materiali, né si può lavorare fisicamente in gruppo e bisogna normare tutte le interazioni. I miei laboratori sono sempre collaborativi quindi la difficoltà è stata enorme soprattutto con bambini così piccoli. Stiamo anche cercando di convertire le nostre attività in attività online e di nuovo per il tinkering questa operazione è difficilissima.
Il tinkering è una pratica che si basa sulla condivisione di tutto non solo dei materiali ma anche delle idee. Ma allora secondo te si riescono a condividere le idee anche se non si possono condividere i materiali?
In questi laboratori di stampa 3d la cosa che ci preoccupava di più e che volevamo a tutti i costi evitare era la situazione in cui ogni bambino avesse un tablet e che lavorasse da solo al suo progetto. Per evitare questo scenario abbiamo aperto il laboratorio con una attività molto libera usando delle sagome stampate 3d (nella foto il bestiario immaginario 3d) dove i bambini realizzano un animale utilizzando degli stencil articolati in 3 parti (testa, corpo coda), i ragazzi costruiscono l’animale immaginario e poi come veri zoologi gli danno un nome, lo classificano e raccontano la storia della sua scoperta. A quel punto è venuto spontaneo spiegare meglio il funzionamento delle stampanti che avevano prodotto il bestiario. Oltre a vederle dal vivo abbiamo cominciato a progettare tutti insieme con la LIM.
Siamo partiti da un oggetto neutro come un cubo e i bambini hanno cominciato a “sparare richieste”: ingrandiscilo, fallo più alto, fallo giallo, poi questo cubo è diventato un grattacielo, abbiamo aggiunto le finestre, il portone e poi ogni bambino ha scelto un piano e lo ha personalizzato ad esempio c’è chi ha voluto finestre tonde come oblò di una nave e chi ha fatto un mega finestrone unico. Per concludere abbiamo stampato il mini condominio di Scienziatech (nella foto), lo abbiamo posizionato sul tavolo all’ingresso e i bimbi sanno che è la loro casa. è stato anche un modo per parlare di spazi e distanziamento: ogni bambino aveva un piano, non abitavano tutti insieme ma nello stesso condominio.
Quindi la parte sociale e di cooperazione l’avete recuperata in qualche modo attraverso la mediazione del facilitatore?
Si certamente, tra l’altro con almeno una ventina di bambini possiamo contare anche su una relazione più profonda e quasi quotidiana perché hanno fatto con noi i centri estivi e ci siamo visti tutti i giorni o perché li andiamo a prendere a scuola.
Quanti ragazzi avevi per queste attività?
Avevo bolle di un massimo di 10 bambini per volta, un totale di 30 bambini con 40 ore per bolla. Quindi diciamo un impatto non trascurabile sulle loro giornate.
Comunque avendo 10 bimbi alla volta riuscivi immagino a fare una facilitazione molto delicata e molto puntuale?
Assolutamente! Qui dirò una cosa impopolare: se devo trovare un che di positivo a questa pandemia è la possibilità anzi la necessità di fare gruppi più piccoli. Questo non perché io non voglia stare con i bambini ma perché vorrei offrire dei laboratori super curati! Su questo ho molte evidenze e l’ho sperimentato anche nel campo estivo: avere un gruppo piccolino non è solo più semplice da gestire ma c’è proprio una differenza nelle relazioni che si creano. In gruppi più piccoli e più curati i ragazzi si sentono molto più liberi di parlare e esprimersi. Questo con i gruppi grandi non sempre avviene e soprattutto non avviene per tutti.
Certamente questo è vero perché i vostri numeri sono modulabili. Se si pensa alle scuole questo non succede e le attività hands-on vengono semplicemente soppresse. Pensi che sarà difficile ritornare alla vita scolastica pre-covid e che queste attività verranno a lungo percepite come rischiose?
Il rischio c’è. Di recente ho fatto una chiacchierata con una insegnante di una scuola con una impostazione molto hands-on e infatti proprio per questo timore stanno ragionando su una serie di laboratori a distanza dove ciascun bambino ha un kit preparato da noi.
A proposito dei laboratori a distanza: sei riuscita già a portare qualcosa online e quali sono i tuoi progetti?
Durante il primo lockdown come MadLab per scuola di Robotica facevo due webinar a settimana con una modalità furba e funzionale perché è servita sia a noi per migliorarci sia a supporto degli insegnanti. La mattina c’erano i laboratori con la possibilità per i docenti di adottare quell’attività e di inserirla automaticamente nelle ore di didattica a distanza. Durante la DAD I bambini e l’insegnante si connettevano, c’era una mezz’ora di “socialità di classe” e poi si partiva con l’attività. Chiaramente la sfida era quella di fare del tinkering facile, senza materiali troppo difficili da recuperare non avendo avuto modo di preparare la cosa dando i materiali ai ragazzi abbiamo fatto cose che si possono fare con materiali comuni: reazioni a catena, ologrammi… In questa fase invece, un po’ per richiesta , un po’ perché comunque forse la mia valigetta mi ha lasciato l’imprinting del kit, stiamo cercando di organizzare, sia in collaborazione con il Museo di Storia Naturale di Genova, sia in collaborazione diretta con le scuole l’invio di kit didattici per i singoli bambini. Stiamo anche pensando a modalità miste con l’intervento invece dei docenti. Questo lavoro non è semplice e poi chiaramente non è una pratica completamente inclusiva perché o la scuola si sobbarca l’acquisto di questi kit come se fossero dei materiali scolastici oppure ci sono dei bambini che hanno i materiali e quelli che non li hanno e questo non è possibile. Le soluzioni possono essere tante: una soluzione politica potrebbe essere non far pagare le spese di spedizione alle scuole in questo momento, oppure trovare un fornitore che fatta la lista ti invia il materiale a scuola. Comunque è ancora tutto da capire.
Al di la della difficoltà logistica c’è il rischio che lavorando online si perda molto del co-design e della collaborazione tra pari e della relazione. Qual È la tua esperienza?
Con i laboratori a distanza, io faccio una fatica enorme perché spesso non posso vedere i visi dei bambini. Visto che registriamo per gli assenti per questioni di privacy dobbiamo tenere le loro telecamere spente. Stesso problema è la meccanica della mano alzata che toglie completamente la spontaneità della relazione. L’unico parziale antidoto è fare tutte le attività in coppia per cercare di tenere completamente sotto controllo la chat e le mani alzate e recuperare un po’ di interazione. Una cosa su cui stiamo lavorando è una specie di museo delle piccole cose, ovvero una classroom dove i bambini possano caricare i loro lavori per condividerli con i compagni e con noi, in modo che anche noi possiamo dedicare del tempo per commentare e valorizzare le esperienze. Anche se è un’esposizione solo virtuale è certamente è utile.
Chiudiamo per un attimo la parentesi sul presente pandemico, secondo te qual è la cosa più importante delle pratiche che ci hai raccontato per gli educatori e per gli studenti?
Per i ragazzi il fatto che anche quelli meno sicuri, quelli più in difficoltà, quelli che partono con “io non ce la faccio” col tinkering poi vanno e vanno alla grande. In queste attività si crea un’atmosfera per cui alla fine tutti si mettono in gioco; che trovino la loro soluzione completamente da soli o perché un compagno da loro una dritta non fa differenza. Penso ai circuiti morbidi dove capita che all’inizio del laboratorio tutti pensano di avere il led rotto poi qualcuno ha l’idea di provarlo a girare e la scoperta di uno diventa la meraviglia di tutti. Questa meraviglia alla fine è ciò che rimane e che poi portano con sé! Io stessa ho fatto studi completamenti diversi e anche io all’inizio non avevo idea di come lavorare sulla didattica delle STEM. Alla fine ho capito che l’unico modo per me era proprio lavorare con il tinkering proprio per questa modalità. Vedo lo stesso problema con i docenti che tendono a partire scoraggiati perché magari hanno un forte pregiudizio su se stessi; non parlo solo di conoscenze scientifiche ma anche della difficoltà di mettersi in gioco anche con una attività manuale o artistica. Da adulti probabilmente è più difficile fare questo salto. E’ importante che i docenti sentano di poterci riuscire, se scatta questo poi la strada è spianata. Il mio approccio al tinkering è di fondo qualcosa che si basa e si intreccia con una storia, uso tantissimo gli albi illustrati e i fumetti. Forse un’altra caratteristica della mia pratica è la cura estetica dell’attività e dei materiali specialmente materiali di scarto che diventano qualcosa di eccezionale.
Questi aspetti che hai toccato ovvero la playfulness per rendere possibile il mettersi in gioco e la cura di ambienti, materiali e design sono fondamentali. Questo forse caratterizza il tinkering rispetto ad un gioco generico con materiale di recupero?
Si certamente è una differenziazione ma poi anche qui è bello poter mescolare i registri. Si può fare un’attività specifica molto ragionata utilizzando i Lego Spike ma il giorno dopo si può proporre un’attività liberissima dove i ragazzi si possono tuffare in un vascone di Lego! Ci vuole tutto e mescolare tutto.
Immagino che tu consideri il tinkering tra le pratiche didattiche più innovative. Perché?
Non bisogna pensare che per fare didattica innovativa sia necessario avere l’ultimo tablet o la lim o qualsiasi oggetto tecnologico. Fai innovazione quando la storia di Erberto (Lara Hawthorne Ed. Lapis) diventa un modo per parlare di movimento, rotazione o quando al “ravano” (genovese per il frugare) si aggiunge la compilazione di una scheda tecnica. Fai innovazione quando c’è contaminazione delle idee in primis, mettendo insieme principesse e sottomarini. La paura che ho infatti è proprio quella che questa situazione di regole necessarie possa farci tornare indietro di fronte alla contaminazione.
In fondo è proprio quello che da molti punti di vista stiamo facendo, stiamo evitando di contaminarci. Per questo sarà importante ripartire tutti insieme e riprenderci il campo.
Ultima domanda se ci vuoi raccontare una attività particolarmente interessante o divertente per te?
Mi sono divertita con voi all’INAF con voi durante il workshop di un anno fa perché ho rivissuto il laboratorio del festival di Genova per Konika Minolta che forse è stata un po’ la mia svolta personale che ha fatto diventare il tinkering la mia attività.
Ma Open Vicoli invece?
Open Vicoli è un progetto gigante ideato da Il Laboratorio Cooperativa Sociale e BAM! Strategie Culturali insieme a un’ampia rete di soggetti: musei, realtà della cooperazione e dell’aggregazione sociale, imprese e associazioni culturali che vivono o operano nel centro storico di Genova. Il progetto è realizzato con il sostegno della Compagnia di San Paolo, nell’ambito del Bando Open Community, destinato a progetti focalizzati sul coinvolgimento del pubblico, presentati in tandem da reti di comunità culturali e professionisti dell’audience development. Noi siamo su un tavolo che si chiama pavimenti.
Il gruppo di lavoro è costituito da: MadLab 2.0 (laboratorio di stampa 3D e robotica umanoide), Arte e Gioco (realtà genovese che si occupa di formazione munariana attraverso laboratori artistici e pubblicazioni), Musei Civici Genovesi, Solidarietà e Lavoro (cooperativa sociale che gestisce buona parte della didattica dei musei civici genovesi), Philos (Associazione che opera nella ricerca psico pedagogica e nell’assistenza di soggetti con disturbi dello spettro autistico), Clemson University (ricerca urbanistica e la progettazione), Social Hub Genova (incubatore di impresa sociale).
L’obiettivo finale è rappresentato dalla progettazione di un puzzle stampato in 3D ispirato ai pattern delle tarsie marmoree presenti nei pavimenti di Palazzo Rosso (Musei di Strada Nuova). Le prime fasi del progetto sono terminate: rilievi, documentazioni fotografiche e formazione artistica per sviluppare percorsi visivi e giochi compositivi. Poi formazione per educatori ed a operatori della didattica museale mentre in una seconda fase, coinvolgerà direttamente gli utenti di Philos: bambini e bambine affetti da spettro autistico.
Il valore sociale di questo progetto è riporre un’attenzione particolare alle esigenze di persone con disturbi dello spettro autistico, rendendo il puzzle finale anche un valido strumento terapeutico, oltre che un originale prodotto di design. La ciliegina sulla torta è la stampa 3d di queste tarsie marmoree: un tangram splendido. Nel cofanetto ci sarà anche la storia del progetto. Ovviamente questa cosa si può fare su ogni pavimento e potrebbe essere uno strumento interessante di indagine.
Io ringrazio tantissimo Elena per questa splendida chiacchierata in cui ci ha raccontato cose bellissime, difficili e divertenti. Speriamo di rivederci presto a facilitare un workshop insieme!
Tutte le immagini sono di Elena Parodi
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