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Costanza Turrini: dove sono le ragazze?

In occasione della Giornata Internazionale delle Donne e delle Ragazze nella Scienza abbiamo intervistato Costanza Turrini sul tema

Aggiornato il 23 Settembre 2021

Il Global Gender Gap Report 2020 rivela che la parità di genere non sarà raggiunta per 99,5 anni e per la parità a livello di accesso alla partecipazione economica addirittura dobbiamo aspettare 257 anni. Quindi cominciamo col dire che nessuno di noi vedrà la parità di genere e forse nemmeno i nostri figli. L’Italia è penultima in Europa per la partecipazione femminile al mercato del lavoro. Lavora poco meno della metà delle donne. Il covid19 ha peggiorato questi numeri infatti il 72% delle persone ritornate al lavoro al 4 maggio scorso è uomo. Ciò significa che molte donne hanno sperimentato un lockdown lavorativo più lungo o anche un mancato ritorno sul posto di lavoro. La nuova edizione del Women in digital ScoreBoard, l’indice di valutazione annuale lanciato dalla Commissione Europea mostra che l’Italia è al quartultimo posto per partecipazione femminile all’economia digitale, una performance peggiore solo per Grecia, Romania e Bulgaria. Nella top 10 dei lavori emergenti in Italia la tecnologia domina: protezione e gestione dati, intelligenze artificiali, fusioni a supporto del business. 7 posizioni su 10 sono legate allo sviluppo software e gestione dei dati informatici. Dalla undicesima alla ventesima posizione troviamo ancora posizioni legate al digitale: Robotics engineer e il DevOps engineer, Information Technology Recruiter. In questo quadro le agenzie di reclutamento ci dicono che le competenze tecnologiche che mancano di più sono sono proprio queste: tecnologia, coding, problem solving, creatività.
Da dove nasce questo problema? Perché le ragazze non vengono agganciate se non tangenzialmente dalle discipline STEM? Perché l’IT è un mondo estremamente maschile quando le pioniere in questo settore sono state donne? Ricordiamoci che negli anni ’60 per il programma Apollo le “calcolatrici umane” erano un team di donne (di cui molte afroamericane) e lo stesso team fece funzionare per la prima volta i computer. Una bella risposta ce la da Reshma Saujani, fondatrice di Girls Who Code un programma per insegnare alle ragazze a programmare.

Secondo Reshma e la ricerca a supporto di questa idea, lo stereotipo di genere sulle discipline STEM, con tutta la perdita economica ma anche di realizzazione personale che ne consegue, nasce proprio da come dalla nascita educhiamo maschi e femmine diversamente crescendo le nostre ragazze per essere perfette mentre abituiamo i nostri ragazzi a essere coraggiosi e a prendersi dei rischi. Negli anni ’80, Carol Dweck, professoressa di psicologia a Stanford che ha forgiato le idee sul growing e fixed mindset mise subito a fuoco la prospettiva di genere e studiò come studenti molto brillanti di seconda media lavorassero su un compito che però era troppo difficile per loro. Trovò che le studentesse abbandonavano velocemente e più alto era il QI, più possibilità c’erano che abbandonassero. I ragazzi invece, affrontavano il compito difficile come una sfida, lo trovavano energizzante ed era più probabile che raddoppiassero i loro sforzi.
Uno studio del 2017 pubblicato su Nature mostra che già dai 5/6 anni i bambini e le bambine associano all’idea di una mente brillante l’aggettivo maschile e che il genere entra nell’educazione già dalla più tenera età.
Tutte queste evidenze ci dicono come sia necessario invertire la rotta nell’educazione delle bambine, come sia fondamentale costruire dei modelli femminili significativi e offrire una possibilità concreta alle ragazze di mettersi alla prova in un ambiente accogliente e che le aiuti a superare eventuali pregiudizi su se stesse.
Intervistiamo, allora, Costanza Turrini, ideatrice e responsabile del programma Girls code it better (GCIB) che in occasione della Giornata Internazionale dell’Educazione indetta dall’UNESCO (e che quest’anno è stata celebrata il 25 gennaio) è stata nominata Learning Hero da Twinkl, piattaforma didattica e casa editrice globale.

Prima di parlare di questo programma che conosco da vicino perché ho lavorato un anno con un gruppo di ragazze come esperta insieme ad una ricercatrice geologa; ti chiederei a che punto siamo con la parità di genere nelle STEM e tra tutti questi dati, tutti piuttosto sconfortanti qual è quello secondo te più significativo?

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Costanza Turrini
Secondo me la cosa interessante è che è poco tempo fa sono usciti finalmente dei dati incoraggianti rispetto alle ragazze e all’iscrizione universitaria a materie STEM. Purtroppo però questi dati comprendono degli indirizzi che noi sappiamo già essere di elezione delle ragazze ad esempio medicina dove il 63% dei laureati sono donne così come biologia e chimica. Il problema che noi abbiamo è che le ragazze non scelgono discipline tecnico scientifiche ad esempio non si iscrivono a ingegneria, se non gestionale, né a informatica né a fisica. Questo dato non è solo italiano ma globale. Non c’è nessun buon motivo per questo comportamento, ci sono tante ricerche per capire se a livello biologico davvero siamo ugualmente predisposti verso certe materie e giusto per fugare ogni dubbio lo ripeto: effettivamente è così, siamo ugualmente predisposti; messi nelle giuste condizioni, in un ambiente accogliente e non troppo sfidante dal punto di vista degli stereotipi le donne reggono benissimo.
shelter1In particolare sono stati fatti degli studi su quella che è definita la “minaccia dello stereotipo” curando l’ambiente e mettendo le ragazze in una condizione di tranquillità ma mantenendo alta invece la sfida disciplinare. In questi ambienti le ragazze si sentono ugualmente predisposte e capaci come i ragazzi e affrontano queste discipline senza bias con la loro forma mentis personale che non è “di genere” ma è una forma mentis dell’individuo. Quando costruiamo i laboratori di GCIB, che sono per sole ragazze, costruiamo comunque gruppi eterogenei. Nella secondaria inferiore con ragazze dalla prima alla terza media e nella secondaria di secondo grado ragazze del primo anno come del quinto. Ognuna di queste ragazze porta il suo essere, la sua intelligenza, la sua cultura, il suo background ma anche i suoi stereotipi; è importante mettere insieme tutte queste cose e confrontarsi. Quindi anche se questi laboratori sono omogenei per genere mettiamo insieme tante diversità: non abbiamo due ragazze neanche simili; soprattutto alle medie vediamo delle bambine insieme a delle ragazze e ognuna è chiamata a mettere in campo la sua personalità.
shelter2I dati allarmanti secondo noi sono che in primis non abbiamo abbastanza iscritti nelle lauree di ingegneria informatica, fisica e informatica che corrispondono a settori emergenti. Questo dato va al di là del genere perché anche i maschi non si iscrivono in numero sufficiente a queste facoltà. Noi vorremmo avvicinare le ragazze a queste discipline innanzitutto perché sono il 59,2% dei laureati e quindi stiamo di fatto lasciando fuori dall’innovazione la squadra che è maggiormente formata, la squadra che sta dimostrando di avere la voglia e la capacità di impegnarsi. Il problema enorme è che neanche il 50% delle donne lavora. Questo è ancora determinato da un fattore culturale e familiare ma anche le scuole, i soggetti orientatori non sono sempre così preparati a mostrare alle ragazze che non è una sfida fare una materia scientifica, dovrebbe essere la normalità, e se una ragazza è parimenti brava in italiano o in matematica le si dice di andare a una scuola ad indirizzo umanistico. Come se tutte le donne avessero questa vocazione.

Prendiamo in esame il settore IT che nasce proprio dalle mani delle donne. Agli albori dell’informatica sono state le donne ad occuparsi della programmazione che forse proprio per un bias di genere erano considerate più adatte. Lo sviluppo del software era considerato meno importante ed interessante dello sviluppo hardware, di dominio infatti maschile, per cui le donne lungamente sono state protagoniste gettando le basi della computer science. Che cosa è andato storto? Oggi soprattutto dove questo settore è di punta, le donne fanno fatica ad entrare e gli ambienti di lavoro sono terribilmente sessisti.

c64Il cambio di rotta è avvenuto negli anni 80 con il Commodore cioè quando il computer è entrato nelle case e più precisamente è entrato come regalo nella cameretta dei bambini e non delle bambine. I videogiochi erano per i maschi mentre le femmine continuavano a replicare il modello familiare quindi nella stragrande maggioranza dei casi la mamma casalinga. Anche ora il modello dominante femminile nella pubblicità, nei film, nelle rappresentazioni in generale è una donna sostanzialmente casalinga. Nel momento in cui la pubblicità riportava l’immagine del computer e papà e due figli maschi che ci giocavano quello veniva regalato ai maschi. Io ho parlato con alcune donne della mia generazione che si sono iscritte ad informatica e mi hanno raccontato il loro primo passo dentro l’università. Per prima cosa le donne erano pochissime ma poi cosa importante, le ragazze non avevano mai avuto un computer in casa a disposizione mentre i ragazzi venivano da anni di “smanettamenti” al computer e in ogni caso un primo avvicinamento alla disciplina era già avvenuto. Questo è estremamente importante se pensiamo a Vygotskij e alla zona di sviluppo prossimale, ovvero un’area in cui chi sta imparando può estendere le sue competenze e risolvere problemi grazie all’aiuto degli altri a partire da ciò che conosce. Chiaramente aver fatto esperienza sui computer e invece trovarsi in un mondo completamente alieno può fare la differenza.
1981LegoAdjpeg1Questa esasperazione nelle differenze di genere è evidente nella comunicazione che sicuramente è più pervasiva che negli anni ‘80 ed impatta nella vita dei bambini e delle bambine basta osservare un negozio di giocattoli. La LEGO negli anni settanta metteva una letterina per i genitori dentro alle scatole dei mattoncini dicendo che la creatività è di tutti e quindi se un maschio vuole creare una casa per le bambole una femmina una navicella spaziale va bene! La cosa importante è alimentare la creatività con dei buoni materiali. La LEGO di oggi invece ha creato una linea di prodotti per bambine (LEGO friends) che in Inghilterra ha scatenato una rivolta. In questa linea i personaggi sono ragazze e i setting sono principalmente di cura (animali, ospedale, scuola). Il problema forse ancora più grave qui non è per la bambina alla quale se è appassionata si regala comunque il LEGO spazio, ma è per il bambino al quale non si comprerà mai una scatola di costruzioni “per femmine”. Stiamo alimentando questa differenza tra bambini e bambine che prima delle elementari hanno la stessa predisposizione per la matematica ma poi il divario si allarga sempre di più.

Su questo ci sono tanti studi, ad esempio uno su Nature del 2017 condotto con bambini statunitensi, in cui si notava questo salto proprio attorno ai 5 -6 anni quando i bambini cominciavano ad attribuire l’intelligenza matematica e la vivacità intellettuale in generale al genere maschile piuttosto che al femminile.

Savigliano-3Questo è abbastanza spaventoso e anche pericoloso perché sicuramente incide sull’auto efficacia. Immaginiamoci una bambina in terza elementare brava (come un maschio) in matematica ma che comincia a credere che di non essere all’altezza. E’ difficile poi affrontare il percorso scolastico quando crescendo questa sensazione di essere meno brava, meno predisposta e meno adatta pesa sempre di più. Questo è quello che io combatto tantissimo e devo dire la cosa per cui mi arrabbio di più. In Italia oltre a ciò abbiamo un problema di linguaggio. Non abbiamo una lingua che permette alle bambine di immaginarsi in tutti i ruoli. Mi arrabbio quando vengo a sapere della rivolta delle architette che dicono di non volersi far chiamare architette e non si rendono conto che con i loro atteggiamenti magari escludono cento bambine dal poterlo diventare; così come ingegnera, ministra, sindaca. Il fatto è che noi donne per prime riteniamo che una figura professionale top debba essere indicata al maschile, quando invece la lingua italiana è molto chiara: la lingua italiana non ha il genere neutro, c’è il maschile e il femminile. Quando mi si dice suona male e poi abbiamo accettato “petaloso” onestamente ho i miei dubbi.

Questo non mi stupisce perché anche nel dorato mondo della ricerca vedo problemi simili. In astrofisica ci sono abbastanza donne rispetto ad altri campi STEM, vuoi perché abbiamo avuto dei modelli femminili significativi vuoi perché ci sono molti profili non strettamente tecnologici (analisi e interpretazione dati, osservativi, teorici) diverso è il caso se andiamo a vedere quante donne si occupano di aspetti tecnologici-ingegneristici. Non è impensabile che una ricercatrice appelli se stessa ricercatore, può venire anche naturale in un certo senso, quando i tuoi modelli sono tutti uomini e non è detto che ogni donna abbia fatto un percorso di questo genere, che abbia affrontato queste problematiche e che le sappia riconoscere. E’ importante comunque empatizzare anche con le donne che magari stanno in un punto diverso di questo percorso di consapevolezza. Questo discorso è forse ancora più importante per le insegnanti donne che anche loro sono figlie di questo tempo e spesso non sono preparate per lavorare contro questi stereotipi.
Io credo infatti che si dovrebbe davvero iniziare prestissimo. Adesso c’è tutta una campagna molto importante che sta nascendo in Italia sui libri di testo nella scuola primaria, perché anche lì il linguaggio ha un peso. Stiamo spingendo per avere dei ruoli maschili e femminili che possano essere rispettosi degli individui non solo del genere: la possibilità di dire che un papà stira aiuta sia il figlio maschio che la figlia femmina. Molti libri delle elementari non sono così, le maestre magari li offrono senza troppi distinguo e le famiglie non è detto che ne siano a conoscenza e poi riescano a discutere di questi stereotipi di cui i libri sono infarciti.

C’è da dire che anche dal punto di vista professionale non è detto che i docenti della scuola primaria e secondaria siano formati a riguardo e che, anche al di là delle STEM, ci sia una attenzione verso gli stereotipi di genere. Se c’è una sensibilità è frutto di un’analisi personale che deve tenere conto di vari bias strutturali ovvero che la stragrande maggioranza degli insegnanti alla primaria sono donne e vengono da percorsi di studi umanistici, che i docenti della secondaria sono un po’ più equilibrati e la componente maschile domina sulle discipline STEM (matematica scienze e tecnologia).
Stanno nascendo degli interventi formativi di questo genere perché riflettere su questo tipo di stereotipi ci permette di riflettere su tantissimi argomenti. Io generalmente non amo mettere insieme le questioni di genere relative a lavoro e educazione con la violenza sulle donne ma quando invece si parla di stereotipi questo invece ha senso. Perché queste aspettative sui maschi e sulle femmine generano tanti problemi anche diversi tra loro. In questa ottica si possono ad esempio anche analizzare comportamenti di bullismo e cyberbullismo. Un’arma per il perpetuarsi e forse inasprirsi di questi stereotipi è la pubblicità. La cifra di comunicazione della pubblicità è la persuasione, con la sua musica, i suoi tempi per cui è importante capire quando alcuni stereotipi vengono veicolati apertamente o sotto pelle. Anche nelle serie tv americane è stato più facile incorporare un’avvocata afroamericana che modificare lo stile stesso dell’avvocata che resta inamovibile con il suo tubino, il tacco 12 e senza figli. Mi rendo conto che negli anni ho costruito dei filtri da cui non passa niente però mi domando come possa farlo una giovane donna tutta da sola.

scrivania digitale

Queste pratiche sono ancora più odiose quando coinvolgono direttamente i bambini. Sono partite campagne andate a buon fine per chiudere alcune pubblicità costruite attorno agli stereotipi di genere anche legati alle STEM però ci vorrebbe anche un po’ di autodisciplina.
Gli stereotipi di genere, l’aspettativa della bellezza e l’iperfemminilizzazione, l’amplificazione di alcune di queste tendenze su social e nei media hanno un enorme impatto sulla capacità di immaginare se stessi nel futuro e quindi anche sulla possibilità di aprirsi ad una carriera nelle STEM. Le ragazze vengono incanalate in scelte predefinite. Con Girls Code It Better la cosa secondo me veramente interessante è che le ragazze in questo percorso possono veramente scoprire cosa piace loro.

Ecco finalmente parliamo un po’ del programma e di come funziona!

GCIB-1Noi siamo partiti sette anni fa con questo progetto nato all’interno di MAW (Man at Work) che è un’agenzia per il lavoro e da due anni abbiamo creato una fondazione che si chiama Officina Futuro fondazione MAW che ha proprio l’obiettivo di sostenere il progetto di GCIB e di trovare anche dei partner sui territori nazionali che come noi vogliono avere impatto su questi temi: STEM in generale, informatica, creatività digitale sulle ragazze. Quindi in totale in questi sette anni abbiamo formato circa 4.500 ragazze, quest’anno siamo in 53 laboratori e di questi 53 laboratori cinque sono le scuole superiori e uno extrascolastico, le altre sono scuole secondarie di primo grado su undici regioni italiane. L’obiettivo di questo anno scolastico era andare al sud e abbiamo quindici scuole tra Puglia, Sicilia, Calabria e Basilicata. E’ un laboratorio impegnativo che vede la presenza di un club, un coach docente e un maker. Il club è costituito dalle 20 ragazze sorteggiate tra tutte le ragazze che si candidano e che partecipano al progetto, quindi un ambiente molto misto dove non ci sono solo ragazze “brave”; il coach è un insegnante della scuola formato sulla metodologia del PBL (Project Based Learning) e il maker o coach maker è una figura tecnica che troviamo sul territorio generalmente collegata a fab-lab, makerspace, laboratori aperti che ormai sono presenti in quasi tutte le città. Lavoriamo con l’approccio PBL perché è molto importante che l’approccio alle tecnologie sia fatto con un metodo didattico che le valorizzi e che ne valorizzi la collocazione all’interno di un progetto. Noi utilizziamo un metodo per problemi e progetti: poniamo un problema o lanciamo un progetto e le ragazze lo risolvono attraverso le tecnologie. La figura centrale e importantissima in questo progetto è il maker che insieme al docente per 45 ore al pomeriggio (una volta a settimana per circa 4 mesi) aiuta le ragazze a risolvere il problema che è stato dato dato o che hanno scelto.
GCIB-3Un altro nucleo centrale del progetto è sviluppare l’imprenditorialità che significa trasformare un’idea creativa in una azione imprenditoriale. Capire la propria personalità, capire cosa mi piace fare, lavorare in team sono tutti tasselli per cominciare ad immaginarsi da grande. Spesso le ragazze scelgono i temi da affrontare, quest’anno li abbiamo provati a selezionare noi perché ci interessava vedere scuole diverse al lavoro sullo stesso tema per costruire una connessione tra scuole. Effettivamente questo è avvenuto e se ad esempio sia a Carpi che a Palermo si lavora sulla sostenibilità possiamo confrontarci su che cosa significa nei due contesti, come si affronta, che tipo di ideazione si propone e a quale bisogno si risponde. Quest’anno abbiamo offerto vari temi: la valorizzazione di personaggi femminili contemporanei nella tecnologia, l’influenza reciproca tra stereotipi e linguaggio, la riqualificazione/valorizzazione territoriale la sostenibilità e il benessere scolastico. Quest’ultimo è piaciuto molto ed è stato inteso in maniere molto differenti: dal benessere personale ma anche inclusività e inevitabilmente anche in relazione alla pandemia. Nel percorso si riflette anche molto sul linguaggio, di come incide sugli stereotipi e di a loro volta gli stereotipi condizionino il linguaggio. Il tema della valorizzazione delle donne contemporanee nelle discipline STEM, è per mettere l’accento sull’oggi perché altrimenti si rischia sempre di parlare di Ada Lovelace che sicuramente è interessante ma troppo lontana e con ragazze di 11-14 anni rischia di avere poco senso. Vogliamo mostrare che la tecnologia è trasversale e qualsiasi scelta professionale le ragazze faranno la tecnologia avrà un suo impatto, un suo valore e una sua funzione. Non promuoviamo una scuola rispetto ad un’altra, ci interessa che le ragazze si ascoltino per capire cosa piace loro, perché spessissimo i genitori ci dicono di lasciare piena libertà e scelta ma ovviamente la scelta dipende da cosa è stato presentato come possibilità e cosa le ragazze hanno potuto sperimentare. Se non hai provato niente probabilmente andrai nella scuola dove va la tua amica per motivi che non hanno niente a che fare con le tue aspirazioni. In questo percorso ci si mette alla prova in tanti ambiti. Nella fase iniziale si costruisce la mappa di ideazione quindi tutte le ragazze in questo pre brainstorming si parlano, si esprimono, vanno a negoziare le proprie idee rispetto al problema e alle idee delle altre. Subito dopo parte lo studio di fattibilità, che è una fase importantissima per capire di che cosa ho bisogno per realizzare i miei progetti, si tiene conto delle risorse cognitive, risorse umane,  risorse materiali e questa è la nostra parte di imprenditorialità. All’interno dei team ci sono tante figure diverse che si scoprono man mano. Certamente troviamo la programmatrice, quella che ha proprio quella passione, le piace da morire programmare e per lei è facilissimo tradurre le informazioni in codice o in qualcosa che possa essere un linguaggio macchina. Poi abbiamo le comunicatrici ovvero le ragazze che magari per tutto il periodo di programmazione sono un po’ tiepide e quando arriva il momento di presentare il progetto lo venderebbero a chiunque. Poi le super creative che si iscrivono per curiosità ma a loro piace soprattutto disegnare, credono che verranno solo a fare dei giochi e poi invece sono quelle che danno la vera spinta all’innovazione. In ogni team c’è bisogno di tutte queste figure.

A proposito di composizione dei team, quanto è importante che la squadra sia tutta femminile?

IMG_20190512_122337-1536x1152Per noi questo è ancora molto importante per quello che che che secondo noi è la minaccia dello stereotipo ovvero la consapevolezza del pericolo di essere giudicati in base a uno stereotipo, un ambiente tutto femminile semplifica enormemente le cose; ci sono varie ricerche a riguardo anche su uomini che sperimentano questa situazione difficile quando lavorano in ruoli percepiti come femminili. Recentemente rispetto a questa questione abbiamo fatto qualche sperimentazione. Nei laboratori al Festival della mente di Sarzana abbiamo proposto dei laboratori per ragazze ma abbiamo deciso di accogliere anche i ragazzi che si fossero presentati. Con un’audience mista abbiamo notato un cambiamento drastico nell’ambiente e nelle relazioni. Innanzitutto i maschi credono di essere più bravi, perché evidentemente gli abbiamo detto che sono predisposti per queste attività e sono stati da subito protagonisti mentre le ragazze erano inizialmente un po’ in seconda fila. Quando invece abbiamo dato il giusto spazio a tutti e le ragazze hanno dimostrato di avere le stesse capacità, anche perché quelle che si iscrivono generalmente sono molto curiose e cariche, i maschi si sono sentiti un pochino in difficoltà. In questo momento vogliamo evitare questo tipo di dinamica che inevitabilmente avviene e assolutamente ci vogliamo concentrare su altri elementi che non siano il genere. Creare un laboratorio di tutte ragazze, omogeneo dal punto di vista del genere ci consente di non doverci preoccupare di queste dinamiche e comunque ci lascia una grande ricchezza ed eterogeneità dal punto di vista degli individui e delle loro diversità.
Inoltre questa scelta innesca un meccanismo virtuoso che fa sì che le scuole che con GCIB offrono laboratori per le ragazze poi vogliano attivare anche altri laboratori misti e alla fine si ottiene un doppio risultato riuscendo a formare un bel numero ragazze e ragazzi. Alla fine un laboratorio tutto femminile toglie un pensiero alle ragazze e la concentrazione resta su altre cose. Un altro esperimento che stiamo facendo è misurare l’impatto del progetto sulle ragazze e sulla scuola grazie ad una partnership con Harvard Kennedy School – Bocconi e il dipartimento di scienze Economiche dell’Università di Bologna. I primi dati ci dicono che dopo un solo anno di laboratorio le ragazze cominciano a pensarsi in ruoli che prima non avevano neanche immaginato, anche ruoli tecnici e anche come programmatrici. Le ragazze compensano il gap di autoefficacia sulla matematica rispetto ai maschi e questo è un grandissimo successo. Un’altra cosa importante è capire cosa succede in una scuola quando le esperte nelle tecnologie sono le ragazze, come cambiano le dinamiche. A noi piacerebbe poi poter parlare anche di questo nelle scuole cioè mostrare come poter valorizzare dei percorsi per dialogare anche su altri ambiti ad esempio sugli stereotipi e sulla accettazione delle diversità.

Immagino cerchiate figure femminili anche per il ruolo di coach docente e coach maker, riuscite a trovare queste figure?

Carpi-3La figura del coach docente è quasi sempre femminile perché gli insegnanti nella scuola sono prevalentemente donne. Maker donna ci sono e se ne trovano ma non è sempre facile. A noi fa veramente piacere quando i ruoli si invertono e abbiamo l’insegnante uomo e il coach maker donna. Ci da la possibilità di mescolare le carte mostrare che la professione è una questione di inclinazione e realizzazione della persona e non è affatto legata ad un genere. Le maker sono poche soprattutto abbiamo poche ingegnere mentre abbiamo abbastanza architette e designer. Abbiamo delle ragazze che vengono dal mondo dell’arte e hanno avuto la fortuna di avere dei docenti che le hanno avvicinate alle tecnologie e quindi sono diventate davvero esperte ad esempio con stampa 3d e Arduino. Queste ragazze hanno la vocazione di mettere insieme la creatività dell’arte con la creatività delle tecnologie. Con queste ragazze come maker abbiamo fatto “bingo” perché noi dobbiamo in questo momento mostrare che le tecnologie sono lo strumento per realizzare e per mettere in pratica ciò che hai nella testa. La fase di ideazione poi va dettagliata e concretizzata e in genere quando le idee creative incontrano l’arte abbiamo dei prodotti meravigliosi che piacciono tantissimo alle ragazze come lo zaino massaggiante.

Nel programma c’è qualche maker che si occupa anche di moda digitale?

Focherini1Su Milano abbiamo fatto dei progetti wearable e alle ragazze era molto piaciuto. Anche a Carpi erano stati fatti dei progetti del genere perché la scuola ha chiesto di progetti che valorizzassero il territorio. Avendo la città una vocazione su tessuti e moda sono venuti fuori dei progetti molto interessanti ovvero la borsa che si illumina quando la apri, così è più facile guardare dentro e il taccorno, uno dei nostri progetti di eccellenza. Il taccorno è una scarpa con il tacco in cui nel plateau è stata inserita una micro scheda Arduino, il tacco è stato tolto, ridisegnato e modellato con la stampante 3d utilizzando un filato trasparente. All’interno del tacco sono stati messi dei LED programmabili attraverso la schedina gestita da un’app così a seconda dell’abito che si indossa si può intonare il colore del tacco. In questi casi si tocca con mano l’utilità di avere una tecnologia a disposizione e quanto la flessibilità delle tecnologia ci aiuta a mettere in pratica le nostre idee. Le ragazze in quel programma erano seguite da un giovane studente di ingegneria.

Ho notato infatti che i maker sono spesso molto giovani.

Focherini2Si assolutamente, perché è molto importante l’ambiente di apprendimento non inteso solo come ambiente fisico ma anche il rapporto che si instaura tra le persone. Per noi è fondamentale che si crei un ambiente sereno e rilassato e che le ragazze entrino in sintonia con chi le sta supportando in questo percorso che comunque è basato sul divertirsi. A febbraio l’anno scorso con il primo lock-down ci trovavamo ad interrompere tutti i laboratori che erano in presenza. Le ragazze ci hanno chiesto di continuare online e ci siamo impegnati nel portare avanti gli incontri cercando di organizzarci al meglio. Siamo riusciti in questo compito anche se non eravamo di certo preparati. Quest’anno quasi tutti i nostri laboratori sono online o ibridi ma anche a distanza si può lavorare per costruire un ambiente rilassato e propizio alla creatività e all’apprendimento. Certamente il programma online e in presenza non è uguale e assolutamente non vogliamo comparare la presenza con la didattica online. Il fatto è che le circostanze ci obbligano a lavorare online anche se non è la nostra prima scelta e certamente non è la prima scelta per le ragazze. La cosa però notevole è che i laboratori anche online hanno tenuto e che le ragazze per 45 ore hanno portato avanti i loro progetti. Certo i laboratori in presenza sono più divertenti e rilassanti, di solito le ragazze finita scuola si mangiano un panino insieme e poi stanno insieme al pomeriggio divertendosi. Il programma online ci ha offerto però alcune possibilità: quest’anno abbiamo organizzato una giornata di approfondimento con una società che ci sostiene. Dal momento che Girls Code It Better è completamente gratuito sia per le scuole che per le famiglie per noi è fondamentale trovare aziende partner. Questa azienda multinazionale, la Sew Eurodrive che ci sostiene da tempo ha organizzato con noi una giornata sulla sostenibilità. Anche se era una lezione extra si sono collegate ben 250 ragazze online e hanno fatto delle domande meravigliose perché erano proprio dentro l’argomento e molto curiose. Queste opportunità di mettere insieme tante ragazze da scuole e realtà diverse è sicuramente una nota positiva in questi tempi complicati.

Una domanda ancora sull’orientamento, un centro di formazione, e orientamento nel modenese ci racconta che, anche in un distretto industriale importante con grandi industrie di packaging e automotive, le ragazze che non vogliono andare all’università vengono spesso orientate o verso le professioni socio-sanitarie o su scuole professionali (cura della persona, cura di bambini o anziani), nei licei psico-pedagogici oppure nel migliore dei casi su scuole tecniche per occuparsi in futuro di contabilità. In questi distretti invece una scuola professionale o tecnica di stampo industriale garantirebbe grandi progressioni di carriera e sicuramente una stabilità e capienza finanziaria ben diversa. Quando invece un ragazzo non vuole andare all’università senza esitazione lo si orienta sul tecnico o sul professionale industriale perché è quello che garantisce un futuro. Quindi solo per il fatto di essere ragazze questa strada viene preclusa. Che sta succedendo?
C’è da dire che alcune scuole tecniche sono poco accoglienti per le ragazze, alcuni genitori ad esempio non vogliono mandare la figlia in una scuola che ha 1500 studenti di cui 1450 sono maschi. E’ possibile per le scuole creare dei percorsi diversi. E’ chiaro che ci sono ragazze molto motivate per cui un ambiente del genere non rappresenta nessun problema ma invece per alcune può esserlo. Al di là dei numeri dipende da ciò che riescono a mettere in campo le scuole: una cosa che si potrebbe provare è costruire dei corsi pilota un po’ più accoglienti ad esempio concentrando le ragazze e facendo una classe mista, ma anche semplicemente aggiornandosi un po’… ci sono anche degli istituti tecnici dove non esiste il bagno delle ragazze.

Sono proprio contenta di questa chiacchierata perché onestamente non penso ci sia un modo migliore per festeggiare questa giornata delle ragazze e donne nella scienza se non raccontando di progetti concreti per aiutare le ragazze a credere alle proprie aspirazioni e a buttarsi in tutto ciò che amano. Un’ultima domanda immaginando che queste ragazze scelgano le STEM e poi facciano “tutto giusto”, scuola giusta, università giusta, magari un periodo all’estero e si alla fine si costruiscano una grande professionalità; il mondo del lavoro italiano è veramente pronto ad accogliere queste giovani donne?
L’Italia è il paese che ha appena approvato ben 10 giorni di paternità [ridendo ndr] per i neo-papà quando nel nord Europa la maternità e la paternità sono quasi intercambiabili. In Italia i livelli di occupazione femminile sono ridicoli e durante il covid la stragrande maggioranza di chi ha perso il lavoro è donna. Certamente non è una paese pronto, la mia figlia maggiore vive a Londra e spero che anche la piccola, che ora è in Canada per il suo quarto superiore, non resti a lavorare in Italia. Certamente da una parte dobbiamo preparare le ragazze però parimenti dobbiamo certamente preparare il paese.

Locandina Evento Febbraio 2021-03

Per sapere ancora di più sul programma potete seguite il 13 febbraio un evento di GCIB nel quale ci saranno le ragazze di CGIB ma anche Marinella Levi, docente del politecnico di Milano che si occupa di stampa 4d e altre due giovanissime che lavorano nel digitale: Simona Maiorano che si occupa di videogame e Carmen Agnese Santoro che è una programmatrice.

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Scritto da

Sara Ricciardi Sara Ricciardi

Ricercatrice presso l'Osservatorio di Astrofisica e di Scienza dello Spazio di Bologna. Nel campo della didattica e della divulgazione, si occupa di attività di pratiche costruzioniste ed in particolare di tinkering a scuola.

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