Aggiornato il 23 Settembre 2021
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Oggi la nostra ospite è Alessandra Falconi che per me è Alessandra Zaffiria come se fosse nome e cognome, un po’ perché dal pochissimo che la conosco Alessandra mi sembra estremamente informale e schiva tanto che nella sua mail tiene solo il nome, un po’ perché il centro Zaffiria di cui è direttrice da 23 anni credo sia un bel pezzettino di lei. Alessandra si laurea all’Università di Urbino in Scienza della Comunicazione e dell’Informazione; poi un Master in Narratologia e Media sempre a Urbino e un corso di perfezionamento in Toydesign al Politecnico di Milano. E’ anche atelierista Metodo Bruno Munari®. Collabora con Erickson; è autrice del Quaderno Carta, forbici e app sugli atelier digitali per la scuola dell’infanzia, del volume Immaginari, delle valigette per capire e pensare: La valigetta dell’artista e La valigetta del geografo. Alessandra è la fondatrice e la coordinatrice del centro Zaffiria che crea materiali didattici, app e videogiochi, risorse educative digitali, mostre e installazioni; gestisce la ludoteca a Igea Marina Via Luzzatti 15 e la ludoteca digitale della città di Rimini. Si occupa di media education, creatività digitale, formazione docenti e collabora con il Centro Studi Erickson. Alessandra è la responsabile del Centro Alberto Manzi che prende il nome dal famoso maestro e lavora con le scuole, gli insegnanti, i bambini e le bambine per potenziare un modello educativo fondamentale per la coesione sociale delle comunità locali. Oltre a ciò coordina o partecipa a vari progetti europei e nazionali tra cui #Esediventifarfalla per il contrasto alle povertà educative, di #nodrugstobecool per la prevenzione all’uso e spaccio di droga, e la sperimentazione educativa di SilenceHate. E’ responsabile della collezione di giochi Italiantoy.
Avrò perso qualche cosa sicuramente perché ho provato a fare un elenco ma le attività sono tantissime e bellissime!
E’ quasi ora di andare in pensione anche se non c’è l’età ma se si potessero sommare le ore lavorate e ridividerle… A volte in certi ruoli il lavoro tende ad aderire con la vita questo è un po’ il rischio. Volevo segnalarti anche La valigetta del nuvolaio. Con Erickson abbiamo fatto questa operazione: partire dalle nuvole per riuscire a guardare il cielo in tanti modi. Se vi capiterà di sperimentarla sarà bello puoi avere anche una vostra opinione. Ho un bell’aneddoto su questa valigetta, che chiude il percorso con l’idea di misurare il perimetro delle nuvole. Siccome mi sembrava un’operazione matematica bellissima quanto improbabile ho scritto ad Alessio Figalli pensando che non mi avrebbe mai risposto mentre con una mail inviata alle 2 di notte, alle 6 della mattina seguente avevo già la sua risposta nella posta in cui mi spiegava che il problema era chiaramente matematicamente mal posto, perché non stavamo parlando di una superficie piana ma di un solido tridimensionale quindi non aveva senso calcolare un perimetro, ma riconosceva che per i bambini della scuola dell’infanzia e della primaria poteva essere veramente appassionante e quindi ha cominciato a farmi alcune proposte perché i bambini e le bambine attraverso il fare e riagganciandosi alla loro quotidianità potessero avvicinarsi a concetti scientifici così importanti. La valigetta quindi chiude proprio con un’ipotesi di misurazione dei perimetri delle nuvole.
Vista la tua grande esperienza nel visivo per me la prima domanda riguarda il modo un po’ dispari in cui le scienze vengono trattate rispetto ad altre discipline ad esempio negli albi illustrati. Quello che io con il mio occhio sicuramente meno allenato ho registrato è che mentre quando si parla di arte dal punto di vista visivo si fanno delle scelte molto coerenti, eleganti a volte coraggiose capita invece che quando si parla di scienza le immagini siano utilizzate un po’ come una carta colorata per impacchettare una pillola amara. Non che non esistano dei bei prodotti ma la mia impressione, che però è parziale, è che si tenda ad edulcorare la pillola
Io penso che tu abbia ragione: c’è un problema nel raccontare e nel far appassionare soprattutto bambini e bambine alle materie scientifiche attraverso un linguaggio come quello visivo che invece secondo me potrebbe essere una porta d’accesso fondamentale, proprio perché le spiegazioni sono quella cosa che Manzi diceva sempre finiscono per uccidere un po’ la curiosità; nel momento in cui qualcuno te l’ha spiegato tu magari non porti avanti una ricerca personale che invece era motivante; meglio invece un adulto che arricchisce quella domanda e che quindi ti permette di approfondirla lasciandoti protagonista di quel percorso di ricerca.
Il problema di come illustrare le materie scientifiche esiste. Per prima cosa perché c’è una grande paura di matematica e scienze, come se fosse naturalmente più facile avvicinarsi alle materie umanistiche, c’è stato un po’ fatto credere che queste siano materie difficili e quindi per teste particolarmente brillanti quindi meglio non mettersi in gioco perché 9 su 10 non siamo abbastanza brillanti. Questo chiaramente non succede nel caso dei bambini e delle bambine perché loro ci dimostrano di sapersi appassionare a una bolla di sapone, alla velocità dell’acqua, al perché la pioggia cade in un certo modo, quindi il mondo in realtà è fatto di domande matematico scientifiche e semmai il linguaggio sta lì a tentare di mettere insieme parole e risposte.
Tu parlavi degli albi a me vengono in mente anche i libri per la scolastica: c’è questa fatica nell’immaginare che il linguaggio visivo non sia solo un abbellimento della pagina ma che addirittura potrebbe essere qualcosa che guida la ricerca.
Io sto facendo da alcuni anni arte immagine per Rizzoli Erickson e ogni volta quello che chiedo è di poter integrare alcuni aspetti matematico scientifici con i linguaggi visivi. Ad esempio nel nuovo arte e immagine del prossimo anno i colori primari vengono fatti lavorando sui colori delle ali di farfalla così come lavoriamo sulla simmetria a partire dalle simmetrie della natura, idem per i ritmi. Secondo me nel momento in cui i bambini percepiscono anche nei supporti per loro questa complessità e complementarietà che vivono nella loro vita, potrebbero più facilmente avvicinarsi alle discipline scientifiche non come cose da imparare ma come strumenti per leggere il mondo. E come fa un bambino a leggere il mondo: spesso lo disegna. Quando lui disegna ci sta dicendo che cosa ne sa di quell’argomento, che cosa ha osservato per passione propria, perché gli è capitato magari un libro, perché una farfalla gli si è appoggiata sulla mano, perché è stato in compagnia di una lucertola su un sasso dieci minuti senza nessuna paura. Quindi con il disegno lui ci sta raccontando quello che vede, quello che sa e come lo sa. Attraverso il disegno ci potrebbe raccontare le ipotesi che sa fare su quello che non sa perché nel momento in cui ad esempio chiediamo ad un bambino che cosa c’è dentro una lucertola o come potrebbe essere la superficie di una luna è chiaro che lui attraverso il disegno può molto probabilmente dirci di più che non attraverso le parole. Le parole può non averle per tanti motivi quindi relegare la misurazione della sua capacità di immaginare all’uso della parola toglie tantissime opportunità. Può non avere voglia di parlare, perché anche i bambini alle volte possono non averne voglia, può essere un bimbo immigrato che sa ancora quelle dieci parole e fa di tutto per utilizzarle in mille modi possibili ma non bastano, può essere un bambino che ha delle disabilità. E’ necessario valorizzare tutti i linguaggi visivi, quindi non solo il disegno ma tutte le tecniche possibili immaginabili: dalla fotografia al collage, alle texture. Così veramente il bambino si avvicina al mondo in un modo scientifico e matematico utilizzando strumenti appassionanti in cui lui è veramente ricercatore. Quello che accade, quello che verrà fuori viene scoperto dal bambino mano a mano. Fa delle ipotesi, immagina, si confronta con la sua maestra e con gli altri compagni di classe, ha l’urgenza e la voglia di dire e magari il suo quaderno diventa un luogo bello in cui documentare le cose che lui ha scoperto.
Quindi tu proponi di ribaltare il focus dal prodotto oggetto-libro a quello che diciamo possono costruire i ragazzi a partire magari da un libro o una immagine. Recentemente ho sbirciato i libri di Otto e Marie Neurath, chiaramente mi sono innamorata, quello che è evidente per me è la fiducia nelle potenzialità dei ragazzi. Presentando uno strumento del genere come possibile modello per i libri di scuola c’è da una parte l’idea dell’educazione come strumento di democrazia e dall’altra questa giusta fiducia nei mezzi dei ragazzi. Guardando la produzione editoriale scolastica, parlo per primaria almeno che conosco abbastanza bene c’è il senso che qualcosa sia andato storto. Come si potrebbe provare ad invertire la tendenza?
Io spero che perlomeno non peggiori! Chiaramente ci si prova! Noi nei prossimi libri per la scuola primaria su cui stiamo lavorando si sono fatte delle scelte: magari non siamo arrivati dove mi sarebbe piaciuto arrivare ma mi rendo conto che un procedere per gradi. sui prossimi quaderni sussidiari Erickson Rizzoli arte immagine sarà anche in matematica e in scienze e questo dovrebbe permettere all’insegnante ai bambini di riuscire ad avvicinarsi ad entrare in quella disciplina veramente con una pluralità di linguaggi che non sia solo la spiegazione e l’eserciziario, imparare a memoria e rispondere ad un compito. E’ chiaro che ogni volta chiaramente c’è il tema di del dirsi quanto puoi spostare l’asticella sapendo che gli insegnanti ti seguiranno.
Infatti l’altro lato della medaglia viene da un racconto di una docente che finalmente aveva trovato un sussidiario di scienze per lei molto completo e fatto bene che però non è stato più pubblicato perché non era stato adottato dai docenti e ha avuto un’unica edizione. Al di là del visivo abbiamo dei libri con un numero di parole sempre più esiguo e contenuti che in genere di anno in anno si asciugano. Chiaramente se i docenti fossero scontenti di questi libri, velocemente ci sarebbe un cambiamento visto che il mercato lo fanno loro. Secondo te questo porta anche ad una semplificazione del pensiero?
Io temo sia di fatto un cane che si morde la coda nel senso che le persone come noi è facile che incontrino le “maestre d’eccellenza” nel senso che sono quelle maestre che studiano, che cercano i contesti formativi che cercano idee nuove. Io non riesco però ad avere un’idea di quanti siano questi insegnanti in percentuale rispetto al corpo complessivo del personale docente, per lo meno della scuola primaria. Questo me lo disse una cara collega: secondo lei in realtà io non vedo la scuola così com’è ma l’eccellenza della scuola e quindi tutte le idee che mi faccio sono errate. Lei mi parlò di una maestra su cento. Io mi auguro di no. Non riusciamo forse a vedere così profondamente la scuola o forse quando la vediamo ci lascia allibiti. Nel senso che vediamo anche insegnanti veramente poco preparati, insegnanti che sono sulle discipline senza averle mai studiate perché non può essere un esame di matematica o un esame di scienze che ti mette nelle condizioni poi di insegnare quella disciplina ma non può essere nemmeno pedagogia generale o didattica generale. E’ necessario entrare dentro la disciplina, padroneggiare gli strumenti con cui un bambino impara e a quel punto cominciare a far dialogare le discipline e gli strumenti. Purtroppo ci sono situazioni in cui questo non avviene a fronte di una certa povertà culturale dell’insegnante e quindi il libro diventava veramente la lezione. Ho visto situazioni in cui la maestra non aveva da aggiungere una parola in più su come veniva descritto ad esempio l’intestino su quel sussidiario. Quindi a questo punto il libro diventa ancora più importante. Per tutelare l’accesso di tutti i bambini e di tutte le bambine alla cultura quel libro deve avere uno standard minimo che ti permetta di sapere e capire in autonomia, perché non è detto che il bambino abbia una maestra in grado di appassionare a quell’argomento o genitori a casa in grado di accompagnare certe curiosità. Dopo di che si può immaginare di alzare il tiro e quindi si farà appassionare anche una maestra lontana dalle discipline scientifiche. Io penso che anche una maestra non laureata in matematica e magari un po’ lontana da questi temi se capisce che può lavorare sul perimetro delle nuvole magari comincia a fare matematica in modo diverso perché prima di tutto si appassiona lei. Secondo me il segreto sta nel riuscire ad accendere una fiamma di passione nel cuore delle maestre in modo che poi il libro sia uno degli strumenti. Poi certamente per la maestra “brava” il libro quasi non è necessario se non come strumento riepilogativo, per gli assenti o per aiutare i bambini a focalizzarsi. D’altra parte in alcuni casi invece i contenuti del libro sono l’unità minima da raggiungere e quindi è importante ci sia una grande accessibilità. Il dilemma nella scolastica è quindi proprio questo, di accogliere queste due tensioni di ricerca e di universalità in modo che sia uno strumento non solo per le eccellenze ma che possa avere un impatto sulla quella maestra, di quel territorio un po’ nascosto, di cui magari nessuno si accorge che qualcosa sta andando storto se non con l’INVALSI. Sappiamo che la valutazione dei docenti rimane qualcosa di complesso e che gli organi collegiali non hanno veramente la capacità di modificare il lavoro dei docenti forse similmente a quello che accade nelle università o negli enti pubblici. Diciamo che il libro di testo può essere una spia e un indicatore di come viene insegnata quella materia a scuola. Sicuramente le case editrici ci provano ad alzare l’asticella ma si trovano a districarsi tra queste due tensioni opposte anche con la necessità di costruire uno strumento valido per molti.
Un luogo diverso dove fare ricerca è il digitale. Noi come Zaffiria, ma anche Tinybop e altri stiamo sperimentando delle app che possano lavorare anche in classe per provare a creare nuove prospettive. Noi abbiamo fatto una app sugli insetti, una sulle piante, adesso ne stiamo facendo una sull’universo. Secondo me il digitale potrebbe diventare quel luogo dove il ludico e gli apprendimenti si incontrano e dove il bambino avrà un accesso diretto sempre meno mediato. Se le app per bambini sono fatte bene chiaro che anche un genitore si sente tranquillo nel lasciarlo giocare perché è un po’ come quando un bambino ha in mano un libro di scienze, nessuno toglierebbe mai di mano ad un bambino un libro sui dinosauri! Chiaramente questo settore ha bisogno ancora di investimenti importanti e anche qui non c’è un’offerta pubblica che sostenga questo lavoro ed è chiaro che se è il mercato a pagare le app, la logica è diversa. A fronte di mercato educativo che ancora non si regge noi riusciamo a sviluppare dei prodotti grazie alla progettazione europea e lo facciamo in modo che la lingua non sia un ostacolo in modo appunto da avere una diffusione per lo meno europea.
Chiaramente questi percorsi per regioni come l’Emilia Romagna dove ci sono parecchi device a scuola è molto abbordabile e bisogna solo far conoscere queste proposte ai docenti. Magari in altre regioni è più complesso. Il pensiero scientifico è un pensiero creativo e tanto più la ricerca è una ricerca di frontiera quanta più creatività ci dobbiamo mettere. Questo aspetto del sapere scientifico emerge benissimo attraverso le pratiche del tinkering sia in quello che ogni singolo bambino riesce a metterci di suo sia nelle dinamiche di gruppo che si instaurano che sono simili a quelle della comunità di ricerca. Forse la creatività come qualcosa di profondamente umano può essere una chiave unificante che ci porta attraverso le discipline?
Assolutamente sì! Io ci credo tantissimo e non solo: nel bambino il pensiero creativo può essere coltivato e nutrito nel momento in cui un bambino immagina, fa delle ipotesi, prova a verificarle, osserva quello che succede si immagina che cosa accadrà se magari varia quel parametro, se modifica la sua sperimentazione.
In un percorso artistico il bambino arriverà ad un prodotto individuale che potrà essere il segno di una sua espressività ma che comunque è collegato allo spirito del suo tempo, al senso comune, all’immaginario in cui vivi quindi comunque è espressione anche della propria comunità passando per una via espressiva più personale. Quando questo percorso creativo vive all’interno di mondi matematico-scientifici la scoperta meravigliosa che fa il bambino e che a un certo punto la creatività personale coincide con quella del mondo: quando tu scopri un pezzettino in più dell’universo, un pezzettino in più del microcosmo ti porti dietro una comunità.
Penso che la cosa più bella alla fine sia sempre quel “noi” che ti aspetta alla fine di questo percorso creativo, dove la tua misura individuale viene in qualche modo nutrita dal fatto che hai trovato qualcosa unificante. E’ chiaro che nel caso di un bambino la scoperta è nuova, nuovissima e appassionante perché affronta un mondo sconosciuto; nel caso di uno scienziato attrezzato è chiaro che diventa diventa nuova per il mondo intero però penso che il sentire sia lo stesso: l’idea che grazie alla alla propria immaginazione, alla propria capacità di collegare cose in modo diverso si arriva ad una idea nuova. Quando ad esempio i bambini scoprono che matematici studiano le bolle di sapone per loro è una rivoluzione perché pensano che allora la matematica può essere interessante. Allora perché non possiamo studiare i volumi partendo dalle bolle di sapone anzi che partendo dalle pagine di un sussidiario? La fortuna probabilmente di uno scienziato è che lui parte da domande vere e personali mentre noi facciamo partire il bambino non dalle sue domande ma da questi imparaticci, perché dovrebbe dovrebbe in qualche modo trovarci un qualche gusto?
Di fondo secondo me questo problema viene dal modo purtroppo comune in cui si trattano i bambini come se fossero un’umanità minore, se effettivamente invece si pensa al bambino “in grande” ovvero tutto ciò che veramente un bambino è e che può realizzare non verrebbe proprio in mente di dargli in mano un librettino misero. Fiducia nei bambini ma fiducia anche in se stessi come educatori, fiducia di poter reggere questo confronto perché effettivamente nella mia esperienza vedo che le domande che mi che fanno i bambini sono le domande più difficili e più profonde. Perché l’adulto fa domande mediate da se stesso, esponendosi con una domanda racconta di se stesso e quindi spesso le domande non sono così puntuali. I bambini invece sparano domande estremamente precise e anche molto profonde dal punto di vista scientifico. Chiaramente questo confronto con la curiosità dei bambini può essere difficile e veramente spiazzante. Vorrei chiudere questa chiacchierata con una nota di attualità sul covid e queste nuove modalità di interazione a distanza. Mi interessa un tuo commento su quello che è successo in questo periodo e quali sono le aspettative per il post-pandemia. Quello che ci ha insegnato questo periodo forzato a distanza e quello che assolutamente dobbiamo recuperare.
Probabilmente non sono nemmeno all’altezza di rispondere a due domande così importanti. Io penso che se non abbiamo imparato niente da questo periodo è grave: se questa situazione non ha avuto almeno il merito di ripulire lo sguardo e le pratiche per darci delle priorità, sarebbe veramente una occasione mancata. Io penso che una cosa bella che queste tecnologie abbiano permesso è stato comunque l’incontrarsi al di là dei confini geografici. Io l’ho visto abitando sei mesi su un cocuzzolo di una montagna perché mentre scoppiava la pandemia io ero andata via tre giorni con la mia ragazzina e ho fatto la scelta di non rientrare, quindi i miei figli grandi hanno cominciato a spedirmi i vestiti e i libri e quello di cui avevo bisogno. E’ successo che nonostante fossi veramente sperduta a 40 minuti dal primo supermercato riuscivo ad avere una relazione continua con le docenti; anche con eventi grandi con 4000 maestre alla volta. Questo mi ha dato la misura di come se al mio posto ci fosse stato un insegnante in questa modalità si aprivano molte possibilità che con le proposte formative in presenza sarebbero poco fattibili. L’online ha aperto le relazioni ci ha dato accesso a saperi, a persone, a sguardi che magari prima intercettavamo solo in presenza. Questo penso che sia stata una bella opportunità e io penso anche che tutti ci siamo formati di più, abbiamo sentito di più il bisogno di ascoltarci reciprocamente, di sentire proprio le emozioni degli altri, come stavano vivendo le cose gli altri, che cosa stavano imparando. Questo io vorrei che non lo perdessimo perché altrimenti la maestra di montagna continuerà ad essere una maestra che fa una fatica terribile a stare in certi circuiti. Da adesso in poi penso che tutti i nostri convegni avranno una modalità in presenza, perché abbiamo proprio bisogno di tornare insieme fisicamente, ma avranno sempre anche la possibilità di essere seguiti anche online. Penso sia cambiata per sempre l’esigenza di dare accesso ai materiali, ai contenuti e questo credo anche riguardi anche noi relatori. Oggettivamente quante ore abbiamo perso tra treni, aerei e sale d’attesa. In alcune circostanze il contributo a distanza è una misura giusta ed è giusto valutare se veramente vale la pena spostarsi fisicamente oppure no. Quindi certamente tra adulti questa modalità andrà ad affiancare le modalità più canoniche anche per venire incontro a chi effettivamente non può spostarsi fisicamente.
Per i bambini e i ragazzi abbiamo decisamente sbagliato la misura. Penso che come adulti tutti, dai decisori politici, ai rappresentanti di istituzioni, a tutte le prime linee e io per prima mi dico se tutto quello che so fare non è servito a niente in un momento di pandemia allora forse non valeva nemmeno molto. E qui penso che dobbiamo proprio un po’ pensare a che cosa hanno vissuto i ragazzi: chi aveva le spalle più coperte ha vissuto la pandemia tutto sommato bene al contrario degli altri e questo è stato veramente atroce. Poi penso che qualcosa di buono ci sia stato e ti faccio anche qui un esempio che per me è stato di una delicatezza incredibile. A un certo punto abbiamo lanciato un laboratorio su scratch che doveva essere per i bimbi di 4 comuni della della zona della Val Marecchia: abbiamo avuto 35 iscrizioni che andavano dalla Val Tagliamento in Friuli Venezia Giulia alla Basilicata. Vedere questi ragazzini dai 10 ai 14 anni abilissimi, a prendere la parola, ad usare il microfono, a interagire tra loro, a cercarsi. Tra di loro un bimbo di 9 anni che ha detto “io non ne avrei compiuto i dieci ma se siete d’accordo vorrei fare il progetto con voi”. In effetti loro non avevano problemi nemmeno prima rapportarsi con gli schermi, e lo sappiamo, però certamente non li avrebbero usati così. Per me questi 35 ragazzi e ragazze, c’erano anche tante ragazzine, sono stati meravigliosi. Il nostro compito è stato solo quello di coltivare il gruppo e di far sì che tra un incontro e l’altro si sentissero liberi di scriversi, di far amicizia in un momento in cui non riuscivi ad uscire dalla tua cerchia perché non vedevi nessuno, e poi abbiamo lavorato per costruire dei lavori collettivi dando magari spunti alle scuole, perché a volte in alcune scuole si faceva fatica a uscire da quel frontale traslato su piattaforma.
Detto tutto questo noi li abbiamo trovati pieni di voglia di imparare e di stare insieme. Se la ridevano, si raccontavano le loro cose, si collegavano prima perché erano già pronti e cominciavano intanto a chiacchierare. Questa osservazione ci ha portato a ragionare su un progetto di assemblea regionale dei bambini e delle bambine che faremo come assemblea legislativa della regione Emilia Romagna che metterà insieme bambini e adolescenti di tutta la regione su meet, perché ormai sappiamo che su questo on c’è nessun problema, e noi da lì agganceremo un percorso di partecipazione collegato al consiglio regionale che fa leggi anche nell’ambito delle politiche per l’infanzia e l’adolescenza. Quando decidi dell’ambiente, quando decidi di scuola, quando decidi se in un quartiere costruisci una fabbrica anziché un parco è chiaro che sta impattando anche i diritti dei bambini e delle bambine. Per poter partecipare prima era necessario fisicamente andare in consiglio comunale mentre con la modalità online possiamo ritrovare freschezza e semplicità anche in strumenti un po’ invecchiati. Ad esempio i consigli dei bambini e delle bambine non sapevamo più come farli adesso possiamo usare uno strumento diffusissimo e che è normale per i ragazzi e offrire nuove occasioni. A maggior ragione i ragazzi sono pronti a scegliere dei percorsi interessanti, e secondo me se voi domani come INAF lanciate dei percorsi per bambini e per ragazzini sempre di più loro accederebbero in autonomia sentendosi anche padroni di dire di sì ad un Osservatorio di Astrofisica che egli sa proporre una cosa bellissima e che magari la loro maestra non proporrà mai. L’importante è che sia gratuita e una buona comunicazione perché arrivare a certe famiglie che si informano di meno è un pochino più difficile.
Io Alessandra avrei altre mille domande perché ho studiato le proposte e mi sembrano meravigliose, avrei domande ad esempio su frangimondi e sulla nuova app che state sviluppando sull’Universo che ovviamente mi interessa.
Adesso stiamo sviluppando questa app sull’universo che effettivamente potrebbe essere interessante quindi magari quando saremo pronti potremmo ragionarci anche insieme e per far sì che poi le scuole la usino. Dietro questa app ad esempio oltre al nostro Zeno che è meraviglioso c’è uno sviluppatore Luis Rigaut che ha vinto anche il premio della fiera del libro di Bologna come miglior sviluppatore quindi insomma ci sono anche delle teste che sarà meritano di essere seguite. L’approccio sarà quello del visivo e anche del musicale. Attraverso queste due modalità cercheremo di fare un passo in più nell’universo.
Grazie mille Alessandra di questa bellissima panoramica sul visivo, le discipline STEM e come cambia l’apprendimento e le relazioni dell’apprendimento attraverso i nuovi strumenti.
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