Aggiornato il 28 Novembre 2024
La relatività è semplice, dicono alcuni colleghi e amici. Oppure, concedendo qualcosa: La relatività , dopo tutto, è semplice. Personalmente l’ho sempre considerata una teoria innervosente come un sasso in una scarpa, specialmente quella detta ristretta o speciale. Intendiamoci, è vero: una volta accettate un paio di cosucce e qualche regola operativa, fila via liscia. Non è così difficile.
Pubblicata per la prima volta nel 1905 con il celebre Sull’elettrodinamica dei corpi in movimento (in tedesco suona Zur Elektrodynamik bewegter Kà¶rper), nel suo complesso la teoria della relatività è la deduzione “ a partire da un paio di postulati “ delle relazioni tra grandezze fisiche osservate da sistemi di riferimento inerziali diversi. Cioè da sistemi di riferimento che si muovono con una velocità costante uno rispetto all’altro.
Il postulato di base è semplice in modo sospetto: le leggi della fisica sono le stesse in tutti i sistemi di riferimento inerziali. Si tratta della generalizzazione del principio della relatività già enunciato da Galileo Galilei nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (1632). Il passo è celebre:
E via così, per concludere che, diremmo oggi, le leggi della meccanica sono le stesse in tutti i sistemi di riferimento inerziali.
Notate che Galileo si serve di mosche, farfalle, pesci, corpi cioè che non sono inerti, ma il cui funzionamento dipende anche da forze elettrostatiche, magnetiche ecc. Con il senno di poi (di circa tre secoli più tardi), il suo esempio funziona solo se il medesimo principio vale per tutte le altre leggi della fisica. Galileo ne era inconsapevole, mentre Albert Einstein lo assume come principio. Fin qui siamo sulla ragionevolezza.
Il secondo postulato, che secondo alcuni non è del tutto indipendente dal primo, è invece fastidiosissimo, come una zanzara che senti ronzare ma che sfugge da tutte le parti: la velocità della luce nel vuoto è la stessa in tutti i sistemi di riferimento.
Sintatticamente e grammaticalmente appare innocente, un cerbiatto con gli occhioni ingenui. Se non che, passando dalla forma al contenuto, è indigeribile. Concettualmente ingombrante come un elefante in motoretta. E da qui in poi la situazione peggiora. Salta subito fuori che lo spazio e il tempo non sono indipendenti fra loro; che la simultaneità è una pura illusione (da cui l’impossibilità di essere puntuali a un appuntamento) e che la velocità della luce nel vuoto costituisce un limite invalicabile nel trasporto delle informazioni. Inutile salire su un treno velocissimo o mettersi a cavallo di un raggio di luce: se devi mandare un whatsapp a un amico lontano 40 anni-luce, devi aspettare almeno 80 anni per avere risposta. Inquietante.
Con grande eleganza, molto understatement e consapevolezza tutta da dimostrare, ha giocato con questa inquietudine un autore quasi insospettabile come Dino Buzzati, in un racconto breve scritto nel lontano 1943.
Buzzati non è certo celebre per aver parlato di scienza nelle sue opere. Accanto a una vasta produzione giornalistica, Buzzati è noto per una produzione narrativa e pittorica che presenta molti elementi del modo fantastico. Sembra difficile immaginare un autore più lontano dal ragionamento matematico e dalla razionalità . Eppure basta riguardare la definizione del fantastico(1)Lugnani, Lucio “ Ceserani, Remo “ Gocci, Gianluigi “ Benedetti, Carla “ Scarano, Emanuela (1983), La narrazione fantastica, Pisa: Nistri-Lischi. per accorgersi del contrario:
Se il reale è l’esperienza quotidiana a portata dei sensi, è chiaro che la relatività rientra perfettamente nel regno del fantastico (come la meccanica quantistica, del resto).
Il racconto a cui mi riferisco è I sette messaggeri: un giovane principe non sa quanto sia esteso il regno del padre. Parte per l’esplorazione, pensando di raggiungere i confini in poche settimane e porta con sè 7 cavalieri per mantenere i contatti con casa:
Iniziano ad arrivargli curiose lettere ingiallite dal tempo, e in esse trovavo nomi dimenticati, modi di dire a me insoliti, sentimenti che non riuscivo a capire.
Avete capito dove si va a parare ma, se non conoscete questo racconto perfetto, non vi rovinerò il finale. Voglio solo sottolineare che il meccanismo narrativo è legato all’assunzione dell’esistenza di una velocità limite: l’informazione, ovvero le lettere manoscritte che i messaggeri portano, non può diffondersi a una velocità superiore alle 60 leghe al giorno. Da qui il dramma e la solitudine.
Da cui si comprendono tre cose:
- che la distinzione fra scienza e letteratura è essenzialmente linguistica;
- che la fantasia si nutre di alimenti incontrollati e casuali;
- che il fantastico è solo un modo elegante per dire che la realtà è ancora un quesito senza risposta.
Note
↑1 | Lugnani, Lucio “ Ceserani, Remo “ Gocci, Gianluigi “ Benedetti, Carla “ Scarano, Emanuela (1983), La narrazione fantastica, Pisa: Nistri-Lischi. |
---|
Add Comment