Lo spazio tra le pagine

Quella villa sulla Luna

Tra memoria contadina e sogni di cosmo, la voce di Antonio Seccareccia illumina la Luna come spazio di libertà autentica.

Antonio Seccareccia nacque a Galluccio (provincia di Caserta) nel 1920 e si spense a Frascati (in provincia di Roma, assai vicino a dove scrivo adesso) nel 1997. Da ragazzo fece il contadino. A diciotto anni si arruolò nei Carabinieri, dove rimase fino al 1966. Diceva di se stesso: Se potessi tornare indietro, farei il contadino per tutta la vita. La Natura non tradisce mai chi la conosce’ama: gli uomini sì.
In questa rubrica ho sfiorato la sua figura già molte volte, parlando del premio che si svolge ogni anno in suo onore (appunto, Premio Frascati Poesia Antonio Seccareccia), perché mi sono occupato spesso delle poesie dei suoi finalisti. Giunto ora alla sessantacinquesima edizione, vedrà l’evento di consegna del premio – guarda caso – proprio il giorno successivo all’uscita di questo mio articolo. Essendo uno dei premi di poesia più autorevoli nel territorio nazionale, scandagliare i testi che da lì son passati, cercandone tracce di cosmo, è un modo che ho scelto per confrontarmi su come il cielo entri nella produzione poetica più attuale. Insomma il premio – per la sua autorevolezza, per la sua storia – mi appare un osservatorio privilegiato, per i nostri scopi. Torno subito ad Antonio, però. Leggo dalla voce di Wikipedia che

Si sposò il 18 febbraio del 1950 con Lea Francocci; i due si erano conosciuti a Mignano Monte Lungo, il paese dove lei abitava, vicino a Galluccio, ma, dopo essersi trasferiti a Frascati, trascorsero lì tutta la loro vita. Dopo 12 anni di matrimonio nacque l’attesa figlia Rita, che oggi porta avanti con grande impegno e passione le attività legate al Premio Frascati.

Conoscendola ormai da tempo, concordo totalmente sull’impegno e la passione di Rita, che considero fuori discussione. C’è altro, però. Qui, per chi scrive, molte cose convergono. Occuparmi finalmente di Antonio vuol dire, per me, ricondurre tutto all’unità. Collaboro da molti mesi con Rita e Frascati Poesia, scrivo regolarmente sul magazine dell’associazione, per una rubrica che si chiama (e come potrebbe essere diversamente?) Cosmo e poesia.

Una Villa Sulla Luna
“Una villa sulla Luna”, elaborazione dell’Autore attraverso Copilot Designer di Microsoft

L’occasione – graditissima – per parlarne ora è una sua poesia che mi ha mostrato proprio Rita in occasione di un recente incontro, dandomi il permesso di pubblicarla integralmente. La poesia di cui parlo, che ha come argomento la Luna, è stata pubblicato sul volume edito da Crocetti nel 2007 Dall’alto del Gianicolo vedo i Castelli Romani. Poeti a Frascati 1959 – 2006. Noto appena le date: il componimento è del 1958, la corsa alla Luna era già cominciata e in quegli anni i sovietici erano decisamente avanti, rispetto agli americani. In essa, Antonio si rivolge a Giorgio Caproni, il poeta che, insieme con Giacomo Debenedetti, lo aveva “scoperto”, facendo circolare i suoi versi.

Caro Giorgio, hai sentito?
I “grandi” litigano
per il possesso della Luna,
e qualcuno ha già in progetto di costruire lassù una villa,
con cielo privato e camere segrete per i nostri viveurs.
A proposito: li hai visti,
i nostri principi marchesi
senza più maschera, in una gabbia?
Io li ho “guardati” all’una di notte
nel giardino di una villa,
su un’altalena con le ragazze, e dopo,
mentre salivano in macchina, salutati
da un disgraziato come me.
Ma credimi, sono felice. Anzi, vorrei
che andassero tutti lassù,
coi loro codazzi di servitori.
Solo così, forse, anche noi
potremmo realizzare
i nostri stupidi sogni terreni:
tu in Liguria, sulla costa, per andare
in barca la sera; io nel Sud,
sulla terra amara che mia madre
difese per i figli a denti stretti.

Mi pare assai interessante mettere in relazione questa poesia con lo “stato delle cose” come era all’epoca della sua scrittura. Il 4 ottobre 1957 l’Unione Sovietica (URSS) aveva lanciato con successo lo Sputnik 1, il primo satellite artificiale a essere messo in orbita attorno alla Terra. Data che segnò l’inizio della corsa allo spazio. A causa delle implicazioni militari ed economiche, infatti, lo Sputnik provocò timori e dibattiti politici agitati negli Stati Uniti, che incitarono l’amministrazione Eisenhower ad approvare diverse iniziative, tra cui la costituzione stessa della NASA. In quel periodo, il lancio dello Sputnik venne visto nell’Unione Sovietica come un importante segno delle capacità scientifiche e ingegneristiche della nazione.
Erano indubbiamente anni di grande fermento. Dopo appena quattro mesi veniva infatti lanciato lo Sputnik 2, con a bordo il cane Laika. Circa quattro mesi dopo il lancio dello Sputnik 2, gli Stati Uniti lanciarono il loro primo satellite, l’Explorer 1, anche se a Cape Canaveral si susseguirono molti lanci falliti. Siamo nel 1958, l’anno di scrittura della poesia. Anche Sputnik 3 veniva lanciato (al secondo tentativo) proprio in quell’anno.
Certo, di arrivare sulla Luna ancora ufficialmente non si parla, sono appena satelliti che girano intorno alla Terra (quando ci riescono). Eppure già si litiga per il suo possesso. Appare senz’altro notevole come Antonio Seccareccia riesca a presentire la direzione – ideale prima che “tecnica” – di tutto questo, anticipando di alcuni anni quello che sarebbe stato il focus principale di questa competizione tra URSS ed USA, ovverosia la Luna.
Amara e dolce al medesimo tempo, così sento questa poesia. Amara per la distanza avvertita, tra l’amichevole sodalizio con Caproni e i grandi della Terra, sorpresi in atteggiamento predatorio verso il nostro satellite, impermeabili alla bellezza e interessati principalmente ai propri divertimenti (efficacemente resi con su un’altalena con le ragazze). Se la conquista della Luna è l’ennesimo pretesto per proseguire nell’attitudine di rapina e dominio – estesa ora perfino allo spazio – il Poeta sceglie sobriamente di farsi da parte, di cercare altro. Dolce, per l’ipotesi che fa salire a galla, di un diverso modo di vivere, ovvero uno spazio sempre possibile di libertà, anche rispetto ai grandi della Terra: dove ben si comprende come la qualifica grandi non trasporti, in questo caso, alcuna qualità positiva.
Così negli stupidi sogni terreni (preziosissimi, nella realtà) si mantiene fragrante l’anelito a una vita semplice e pura – direi una vita contadina, ricordando le predilezioni del poeta – non intossicata da veleni di conquista. Andare in barca la sera come pure dimorare nella terra amara che mia madre difese sono le scelte, minori solo in apparenza, che custodiscono la vera speranza di un accesso differente al cosmo. Differente, perché autenticamente umano. Mentre tutto era ancora da fare – prima ancora della famosa promessa di Kennedy del settembre del 1962, di portare l’uomo sulla Luna entro i Sessanta – l’abile penna di un nostro poeta vergava sul foglio il manifesto di una vita differente, di un modo diverso di vivere tutto, anche l’incipiente avventura spaziale.
Non mi stupisco affatto. I veri poeti sono realmente contemporanei, leggono i tempi e ci aiutano a presentire quello che noi, solo dopo anni, leggiamo nelle cronache. Per questo i poeti sono necessari. E lo sono, ogni giorno di più.

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Scritto da

Marco Castellani Marco Castellani

Ricercatore presso l'Osservatorio Astronomico di Roma. Si interessa di popolazioni stellari ed è nel team scientifico del satellite GAIA di ESA. Divulgatore e scrittore per passione, gestisce da anni il blog divulgativo Sturdust.blog (già  GruppoLocale.it) e coordina il progetto Altrascienza.it.

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