Aggiornato il 20 Maggio 2024
E questo che c’entra?
Il 17 novembre, presso il suggestivo Teatro India di Roma, abbiamo avuto la splendida opportunità di rappresentare l’INAF nella platea de Il messaggero delle Stelle di Francesco Niccolini (tratto dall’omonimo romanzo a fumetti che lo stesso Niccolini ha sceneggiato) con Flavio Albanese, regia di Marinella Anaclerio, produzione Compagnia del Sole/ Fondazione Teatro Ragazzi e Giovani Onlus/Accademia Perduta / Romagna Teatri (2022).
Questo bellissimo spettacolo fa parte degli eventi patrocinati dall’INAF che vengono descritti nel portfolio teatrale dell’istituto, a cura del Gruppo Storie, e, come ognuno di questi, esplora la bellezza dell’astronomia e della scienza grazie alla magia e al calore unici dati da un palco.
Da dove iniziare? Siamo usciti nel bellissimo contesto esterno del Teatro India con la testa e il cuore pieni di entusiasmo, di suggestioni e scambi ininterrotti di pensieri e riuscire a dare un senso logico alle sensazioni è davvero complicato… Dobbiamo provarci però, perché altrimenti non leggereste l’articolo. Partiamo dalla storia che ci viene raccontata.
Nel buio del teatro, all’improvviso precipita rovinosamente dal cielo uno strano personaggio; indossa un casco da astronauta, che ci fa pensare immediatamente a un personaggio moderno o addirittura del futuro ma, scendendo con lo sguardo, ci accorgiamo di un’armatura e di una spada… Strano… Neanche il tempo di ragionare sul nesso tra le cose che veniamo rapiti da un esilarante accento inglese che fa luce sull’eccentrico contesto. Ci troviamo nientemeno che al cospetto di Astolfo d’Inghilterra, paladino – che potremmo definire “anti-eroe” – dell’epoca di Carlo Magno. A lui è stato affidato un compito assai particolare: recarsi fin sulla Luna a recuperare il senno che Orlando ha perso per la bella Angelica (sì, quell’Orlando lì, quello innamorato di Matteo Maria Boiardo e quello furioso di Ludovico Ariosto). Tutto questo ce lo racconta Astolfo stesso, col suo impeccabile umorismo inglese, raccolto e regolato in rima in modo coinvolgente e incredibilmente naturale. Tanto per sottolineare – in splendida concretezza – quanto scienza ed espressione poetica, dato empirico e raffinatezza di linguaggi, possano tranquillamente coesistere e prendersi per mano. Ricordiamolo questo, quando vogliamo raccontare la scienza in modo efficace, chiaro e affascinante: non bastano i concetti ma è essenziale la cura del linguaggio, sia verbale che fisico.
Torniamo a noi. A questo punto siamo già lanciati nello spettacolo e rapiti da Astolfo quando, tra giochi di immagini e di luci che hanno arricchito una scena essenziale (e perfetta così) improvvisamente il nostro paladino si trova al cospetto di una tavola imbandita di ogni prelibatezza, alla quale si avvicina un gruppo di “vecchi” impegnati a discutere animatamente. Astolfo non capisce – e inizialmente nemmeno noi – ma ben presto, in modo divertente e geniale, questi vegliardi si riveleranno essere nientemeno che Galileo Galilei, Isaac Newton, Giovanni Keplero, Tycho Brahe, Tolomeo e Giordano Bruno, ognuno perfettamente caratterizzato da accento e atteggiamento diversi. Galileo, con pienezza di sé tipicamente toscana, fa da ospite principale facendo strada ad Astolfo, che non conosce nessuno di loro perché nato prima (nel 1483 con L’Orlando Innamorato), narrandogli chi sono e come si sono passati la palla della conoscenza durante i secoli. Il tutto con un’ironia e un ritmo che non si perdono mai un momento, quasi fosse una stand-up comedy.
Ah, quasi dimenticavamo: tutto questo viene portato in scena da un unico attore, il multiforme ed eccezionale Flavio Albanese. Eh già, non ve lo aspettavate vero? Eppure è così! Flavio riesce – da solo – a riempire quel palco con la sua presenza scenica, con la sua voce chiara, ironica e coinvolgente, facendoci quasi credere che far parlare sette personaggi, con sette tonalità di voce, sette dialetti e sette atteggiamenti differenti, sia quasi un gioco da ragazzi. Lo riempie talmente che quasi non ci sarebbe bisogno dei video e della musica, che ogni tanto lo accompagnano arricchendo magistralmente il suo straordinario lavoro. Beninteso, noi siamo semplici appassionati, non certo critici teatrali, ma per quanto ci riguarda, reputiamo davvero che Flavio Albanese sia uno di quegli attori da vedere e rivedere. Di fatto, ci ha completamente sommerso con la sua bravura.
E mentre si ride e si sorride e si gode di quello che è davvero un bel pezzo teatrale, Astolfo e i magnifici sei ci insegnano moltissimo. Prima cosa tra tutte: gli errori non sono mai uno sbaglio (concedeteci il gioco di parole) ma fanno parte dell’evoluzione della conoscenza e dell’esperienza. Nella scienza come nella vita, d’altronde. Se non ci fosse stato Tolomeo con il suo modello planetario “errato”, Tycho Brahe, tra una pipì e l’altra (andate a vedere lo spettacolo per capire), non avrebbe potuto immaginare gli epicicli e tantomeno Copernico e Keplero avrebbero potuto elaborare in modo migliore il tutto, fino ad arrivare a un modello adeguato. La scienza non è un procedere lineare, è piuttosto un ripercorrere più volte lo stesso tracciato con occhi e mezzi diversi, scartando continuamente dal sentiero ma riprendendo sempre la via, verso la medesima meta.
Posare i piedi sulle spalle dei giganti quindi, ovvero valutare il lavoro di chi è venuto prima di noi e sostenerlo o correggerlo, in base alla nostra esperienza e i mezzi del nostro tempo, sempre però dimostrando scientificamente perché quello che a cui siamo arrivati noi sarebbe più corretto di quanto ipotizzato in precedenza. Questo è il senso della frase la scienza non è democratica: chiunque può discutere un risultato scientifico ma solo se col supporto di evidenze empiriche che sostengano la propria tesi. Altrimenti resta pura filosofia, come quella, racconta Galileo, che fece Giordano Bruno affermando che noi non eravamo al centro di niente e finendo, per questo, arrostito vivo a Campo dei Fiori, nonostante avesse ragione. Sempre Galileo afferma orgogliosamente Alla fine il metodo scientifico l’ho inventato io.
Altro messaggio molto chiaro è che per far sì che la scienza vada avanti, c’è bisogno non solo degli errori ma anche dell’umiltà e del coraggio di chi li ha commessi nell’ammetterlo, restando pronto ad accettare le variazioni e i cambiamenti necessari. Non si nasce “imparati”, ma se si fa del proprio meglio non c’è niente di male, nel caso, a dire “diamine, me so’ sbajato!” (mantenendo il tono dello spettacolo, noi ci interpretiamo romani, quali orgogliosamente siamo). Splendido, secondo noi, il riscatto morale dell’abiura di Galileo: noi infatti storciamo il naso quando pensiamo a Galileo che ritira tutto ciò che aveva scoperto col suo cannocchiale, di fronte allo scontro con il clero di allora. Invece, vien fuori che ci può anche essere un motivo nobile sotto questa scelta… Quale sia questo motivo, non ve lo diciamo chiaramente: anche qui, a voi il piacere di scoprirlo assistendo allo spettacolo (su questa pagina tutte le informazioni sulle date dello spettacolo)!
Altro aspetto fondamentale strettamente legato a quanto detto è che la scienza è condivisione. Attenzione, è chiaro che la competizione debba esserci – altrimenti nessuno sarebbe spinto a fare meglio degli altri – ma dovrebbe avere fine nel momento in cui si realizza che la condivisione può portare più lontano. Galileo E col cavolo che gli davo il cannocchiale a quel secchione di Keplero, che sennò chissà quante cose mi scopriva! e noi ci facciamo giustamente una risata ma spesso, troppo spesso, nella scienza queste cose accadono e recano danni, rallentamenti e spesso caos. Individuare la linea sottile tra sana competizione e aperta condivisione è un compito arduo, che ogni scienziato e ogni scienziata dovrebbe provare a prendere su di sé e maneggiare con delicatezza.
E dulcis in fundo, sintesi di quanto detto finora è che Il Messaggero delle Stelle ci insegna che gli scienziati sono, anche loro, umani. Liti, lotte, sgambetti, dispetti a iosa, senza alcuna posa, la passione per il bere e il mangiare… tutto questo è ben presente in questo delizioso spettacolo, che potremmo definire un’ode all’essere umani. Perché diciamolo pure, il mito dello scienziato come “superiore” alle cose umane riaffiora sempre, anche per colpa degli scienziati stessi che non scendono come dovrebbero da un piedistallo (peraltro) inesistente. Qui, invece, anche grazie a una splendida interdisciplinarietà, tra riferimenti filosofici oltre che scientifici, e qualche riferimento al tempo attuale, si cucina una ricetta perfetta per destare curiosità e voglia di approfondimento, contribuendo a scrostare via l’aurea di “sacralità eccessiva” dall’impresa scientifica, mettendola al livello di tutti e dunque finalmente, umanizzandola.
Insomma, Astolfo e i magnifici 6 ci dicono con forza che chi fa scienza è un essere umano come tutti gli altri, con difetti e pregi e fissazioni e coda di paglia, con vizi e passioni, ma, soprattutto, con una spiccata capacità di osservare il mondo che ci è intorno da un punto di vista diverso, da un’angolazione mai esplorata. D’altronde, le mele sono sempre cadute, anche ben prima che Newton capisse il perché. Sono – siamo, osiamo dire – Uomini e Donne come tutti, che non hanno più o meno senno, ma sanno come ben sfruttare quel goccio di senno che conservano nella loro testa, disposti (a volte a malincuore) ad ammettere un errore per capire meglio la realtà ma che, non per questo, perdono l’affetto per quanto avevano pensato.
Sì le orbite dei pianeti sono ellittiche, ma fossero state circolari sarebbe stato più bello! dice il signor Galileo. Perché sì, siamo scienziati, ma lo siamo mettendo in rima le leggi dell’universo mostrando nei fatti che la scienza è un’avventura bella per la donna e l’uomo di sempre, un’avventura straordinariamente capace di relazione con ogni cosa che esiste nel cosmo. Spettacoli come questo ce lo fanno capire senza tanti discorsi, e per questo ci piacciono e speriamo che possano davvero arrivare a molte persone che, sicuramente, si divertiranno come noi. E divertendosi, apprenderanno qualcosa di davvero prezioso.
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