Scoperte Marte Sapere

La ricerca della vita nell’universo

Esiste vita altrove nell’Universo? Questa domanda trascende una singola cultura o epoca e accompagna la nostra specie da millenni. Solo negli ultimi decenni è stato possibile cominciare a cercare risposte nei dati raccolti da strumenti sempre più sensibili e sofisticati. Ancora oggi, però, la conoscenza di cosa sia la vita e di come essa si sviluppi è lacunosa, al punto che non vi è una definizione universalmente accettata di quali siano le caratteristiche uniche e fondamentali di un organismo..

Aggiornato il 30 Aprile 2021

Gli ingredienti della vita

Esiste vita altrove nell’Universo? Questa domanda trascende una singola cultura o epoca e accompagna la nostra specie da millenni. Solo negli ultimi decenni è stato possibile cominciare a cercare risposte nei dati raccolti da strumenti sempre più sensibili e sofisticati. Ancora oggi, però, la conoscenza di cosa sia la vita e di come essa si sviluppi è lacunosa, al punto che non vi è una definizione universalmente accettata di quali siano le caratteristiche uniche e fondamentali di un organismo vivente. Se è difficile definire i tratti fondamentali della vita, ancora più complesso è prevedere come essa possa manifestarsi al di fuori del nostro pianeta.
Tutti i sistemi viventi sono cellulari, autoreplicanti, evolventi e basati sulla chimica. Per stabilire un punto di partenza, è stato necessario concentrarsi su due caratteristiche che possiamo definire fondamentali per la vita così come la conosciamo: essa si basa sul carbonio e richiede acqua allo stato liquido.
Il carbonio è il quarto elemento più abbondante nell’Universo e ha la capacità di formare polimeri e legami chimici con molte specie diverse. Questo lo rende in grado di produrre una vastissima varietà di composti, ed è quindi naturale che la complessa chimica degli organismi viventi si basi su di esso. Vi è inoltre un’ampia sovrapposizione tra l’intervallo di temperature entro cui l’acqua è liquida, nel quale i legami di carbonio sono stabili, e quello in cui la cinetica delle reazioni chimiche è sufficientemente rapida. Il silicio è stato proposto come alternativa al carbonio perché ha una configurazione simile del guscio elettronico, ma la varietà di polimeri che può costruire è molto minore.
La vita ha bisogno di un solvente, poiché senza di esso le complesse molecole su cui si basa non avrebbero modo di spostarsi e interagire. L’acqua (in forma liquida) è essenziale per il trasporto di sostanze nutritive e prodotti di scarto e per il controllo delle reazioni catalitiche, e gli acidi nucleici (DNA e RNA) si formano in gran parte sulla base di repulsione o attrazione per l’acqua. Nessun organismo vivente può farne a meno: anche gli psicrofili (organismi che sopravvivono a temperature molto basse) necessitano di strati sottili di acqua a contatto con il ghiaccio e l’interno delle loro cellule è liquido. L’elevato calore latente e calore specifico dell’acqua costituiscono inoltre un ammortizzatore per smorzare variazioni di temperatura improvvise.
Inoltre, alla vita così come la conosciamo occorrono necessariamente anche una fonte di energia per sostenere il metabolismo e diversi altri elementi chimici fondamentali. Sulla Terra la vita è in grado di prosperare ovunque vi sia la possibilità di sfruttare la luce solare o le reazioni chimiche di ossido-riduzione, e necessita come minimo di idrogeno, ossigeno, azoto, fosforo e zolfo.
Queste considerazioni hanno contribuito all’emergere del concetto di abitabilità, definita come la capacità di un ambiente di permettere l’evolversi e il perdurare della vita. La valutazione dell’abitabilità è basata su parametri fisici e chimici misurabili, e costituisce quindi la base per una ricerca sistematica di habitat al di fuori della Terra.

Kasei Valles in un mosaico di foto scattate dalla sonda europea Mars ExpressCredit: ESA/DLR/FU Berlin (G. Neukum) – via commons

Vita nel Sistema Solare?

Sulla base di questi criteri, la superficie di Marte non è abitabile: è troppo fredda, arida e inospitale a causa dell’ultravioletto solare e delle radiazioni cosmiche che un’atmosfera troppo tenue non riesce ad assorbire. Ci sono tuttavia tracce inequivocabili che in passato Marte fosse un pianeta diverso, con fiumi, laghi e mari scomparsi ormai da miliardi di anni, man mano che la perdita dell’atmosfera e il declino dell’attività geologica cambiavano il clima da mite a glaciale e infine arido. Marte, dunque, potrebbe essere stato abitabile in passato, anche se per non più di un miliardo o forse solo per qualche centinaio di milioni di anni. Dato che sulla Terra i primi organismi unicellulari devono essere comparsi nei primi 600-700 milioni di anni dalla sua formazione, si pensa che pure su Marte ci possa essere stato tempo sufficiente per l’emergere della vita.
La scoperta di tracce di metano nell’atmosfera di Marte nel 2003 ha fatto supporre che la vita possa essere presente persino oggi. Perché vi sia metano, che viene rapidamente distrutto dalla radiazione solare ultravioletta, ci deve essere infatti una sorgente attiva che continui a produrlo. Sulla Terra i processi che lo generano sono essenzialmente l’attività vulcanica e la vita, ma su Marte oggi non c’è traccia di attività vulcanica. Nel corso degli anni sono state avanzate diverse ipotesi per spiegare l’origine del metano con processi abiotici (cioè che non riguardano la vita), tuttavia nessuna di esse ha trovato conferma definitiva. È per questo che l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) ha da poco messo in orbita intorno a Marte il Trace Gas Orbiter (TGO), grazie al quale la concentrazione del metano e le sue variazioni temporali saranno mappate con una precisione senza precedenti, che permetterà forse di chiarire quali siano i processi da cui esso si origina.
Marte non è però l’unico luogo che le sonde possono esplorare alla ricerca di vita nel Sistema Solare. Negli ultimi tre decenni si è fatta strada la consapevolezza che la presenza di acqua liquida, uno dei requisiti fondamentali per l’abitabilità, non è necessariamente limitata alla sola superficie di un corpo celeste e non è dovuta esclusivamente al riscaldamento del Sole.
Tre dei satelliti galileiani di Giove, Io, Europa e Ganimede, sono intrappolati in una coreografia celeste in cui il periodo di rivoluzione di un satellite è un multiplo intero di quello del satellite immediatamente più interno. Questa ripetitività del moto reciproco, detta risonanza, produce orbite allungate e, data l’imponente massa di Giove, causa forze mareali tali da deformare la crosta dei satelliti. Tale deformazione dissipa enormi quantità di energia meccanica, che si trasforma in un calore che riscalda l’interno delle lune. Su Io quest’energia termica provoca un’attività vulcanica in grado di inondare di lava l’intera superficie del satellite nell’arco di pochi decenni, ma su Europa si ritiene che essa permetta la presenza di un oceano profondo forse centinaia di chilometri, sepolto sotto una spessa crosta di ghiaccio perennemente frantumata dalle deformazioni causate dalle maree.
Se, come si ipotizza, l’oceano si estende fino al nucleo roccioso del satellite, e se tale nucleo è vulcanicamente attivo in maniera simile a Io, allora Europa potrebbe possedere i requisiti dell’abitabilità: acqua liquida, energia termica e abbondanti sostanze chi-miche grazie al vulcanismo sottomarino. C’è però un limite alla capacità di una simile biosfera di permettere l’evoluzione della vita, ed è quello di essere totalmente buia sotto la spessa crosta ghiacciata. La fotosintesi quasi certamente non può svilupparsi su Europa, e l’assenza di questo processo, che sulla Terra è stato fondamentale per l’emergere di sistemi viventi sempre più complessi, potrebbe limitare l’evoluzione su Europa ai più primitivi organismi unicellulari.

Estratto dall’articolo “La ricerca della vita nell’Universo” uscito su Sapere #5, ottobre 2017, doi:10.12919/sapere.2017.05.4

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Scritto da

Roberto Orosei Avatar Roberto Orosei

Istituto Nazionale di Astrofisica e Università di Bologna

Barbara Cavalazzi Avatar Barbara Cavalazzi

Dal 2015 è ricercatore confermato presso l'Università di Bologna e dal 2012 al 2017 professore aggiunto presso l'University of Johannesburg. Dal 2014 è Ricercatore Associato presso l'IRSP-Univ. di Chieti-Pescara. Svolge attività di ricerca in geobiologia e astrobiologia. Gli interessi di ricerca sono rivolti fra gli altri allo studio dell'origine della vita e degli habitat primitivi, agli ambienti estremi e ai procarioti moderni e fossili. Ha svolto campagne geobiologiche in Africa, in Nord e Sud America e in Australia.

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