Scoperte

Grazie INTEGRAL (prima parte)

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Lavoro, sogni, paure e scoperte di una scientist on duty: appunti di viaggio molto personali di Adamantia Paizis, una delle scienziate del rivoluzionario satellite INTEGRAL, recentemente dismesso.
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Rappresentazione artistica di INTEGRAL (Crediti: ESA – D. Ducros)

Il 4 marzo 2025, INTEGRAL (INTErnational Gamma Ray Astrophysics Laboratory) ci ha mostrato l’Universo per l’ultima volta. Lanciato il 17 ottobre 2002, il satellite dell’Agenzia Spaziale Europea, con contributo degli Stati Uniti e della Russia, ha operato per più di vent’anni; una signora età per un satellite, considerando che la stima iniziale era di due anni. Ha regalato scoperte, emozioni e in generale occhi nuovi su fenomeni estremi come buchi neri, esplosioni di supernova e lampi di raggi gamma.
A me ha regalato molto di più: INTEGRAL è stata la mia missione di formazione e vorrei condividerla in questo ricordo personale(1)Per approfondimenti si veda:
Sito dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) dedicato alla missione
Video di preparazione al lancio e lancio (ESA)
Articoli dedicati (ESA)
INTEGRAL picture of the month (ESA)
Sito dell’INTEGRAL Science Data Center, ISDC
Sito INTEGRAL all’INAF-IASF di Milano
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Nel 1999, a 26 anni, dopo la mia Laurea in Fisica a Milano, ho vinto un assegno di ricerca sotto la direzione di Sandro Mereghetti dell’INAF-IASF Milano (allora parte del CNR), per andare a lavorare presso l’INTEGRAL Science Data Center (ISDC) di Ginevra.
Lavoro nuovo, casa nuova, panico nuovo.

La sede principale dell’ISDC a Ecogia
La sede principale dell’ISDC a Ecogia, poco fuori Ginevra (Crediti: ISDC/P. Kretschmar)

L’ISDC era nato per ricevere i dati grezzi – la telemetria – del satellite, farne una prima analisi alla ricerca di eventi cosmici che richiedessero attenzione immediata, fornire alla comunità scientifica i dati elaborati, insieme al software per l’analisi scientifica. Un istituto con persone da varie parti del mondo, in stretta collaborazione con realtà scientifiche internazionali (per esempio i gruppi responsabili della costruzione degli strumenti), con un obiettivo comune: la buona riuscita della missione.
INTEGRAL era stato pensato per studiare l’Universo nei raggi X e gamma, la parte più energetica dello spettro elettromagnetico. L’atmosfera terrestre assorbe queste radiazioni, che quindi non arrivano al suolo, per cui è necessario andare nello Spazio per rivelarle.
Altri satelliti avevano già osservato il cielo alle alte energie, ma INTEGRAL è stato fra i primi a farlo con occhi speciali, prendendo il meglio di chi lo aveva preceduto: grande campo di vista (più di 900 gradi quadrati), ampia copertura energetica nei raggi X/gamma (3 keV – 15 MeV) e capacità di distinguere eventi vicini nello spazio, nel tempo e in energia.

Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuovi paesaggi, ma nell’avere nuovi occhi.Marcel Proust

INTEGRAL aveva occhi nuovi e dunque anche io, nel mio piccolo, dovevo fare altrettanto per mettere a fuoco le mie giornate, appena arrivata a Ginevra, a inizio 2000. L’impatto è stato forte: comunità scientifica internazionale che trottava da ben più tempo di me, riunioni per lo più incomprensibili, facce nuove, scadenze a raffica… come trovare il mio ruolo?
Con l’immancabile consulenza milanese, fra tutte le attività possibili prima del lancio del satellite, ho deciso di dedicarmi al simulatore dei dati di INTEGRAL (Observation Simulator, OSIM), sviluppato dalla collaborazione e a cui stava già lavorando Davide Cremonesi, insieme a Sandro Mereghetti. L’utilità di un simulatore è presto detta: i dati scientifici di un satellite arrivano solo una volta che lo stesso è funzionante in orbita, ma per allora il software di analisi dati deve essere pronto: come prepararlo? Con un altro codice che crea dati molto simili a quelli veri, il simulatore appunto.

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Les Diablerets, 2000: OSIM alla scuola estiva di INTEGRAL (Crediti: ESA)
Sono dunque diventata la responsabile di OSIM all’ISDC: lo testavo e lo usavo per creare pacchetti di dati per vari test scientifici e così via. Inoltre, sorpresona, a tre mesi dal mio arrivo a Ginevra, ho dovuto preparare e documentare il tutto per la sessione pratica della scuola estiva a Les Diablerets, in Svizzera (immagine sopra, notare la profondità del monitor). Alla fine è andato tutto bene e, in seguito, abbiamo diffuso OSIM anche a tutta la comunità internazionale perché familiarizzasse con i dati, i quali – senza offesa – non erano proprio banali da gestire.
Questo perché INTEGRAL è nato con una caratteristica molto particolare: al contrario della radiazione visibile, che si può mettere a fuoco con specchi tradizionali, i raggi X più energetici (detti ‘duri'(2)I raggi X osservati da INTEGRAL si chiamano raggi X ‘duri’ perché arrivano fino a un’energia di decine di keV – kiloelettronvolt. Altre missioni che studiano i raggi X detti ‘molli’ (intorno a qualche keV, come i stelliti XMM-Newton o Chandra), riescono ancora a mettere a fuoco con la tecnologia degli specchi a incidenza radente. Questo non è possibile con i raggi X duri e i raggi gamma, in cui osserva INTEGRAL, che sono ancora più energetici.) e i raggi gamma nemmeno si accorgono della loro presenza. Semplicemente li attraversano. Per poter creare un’immagine è dunque necessario usare una tecnica che coinvolge qualcosa di più sostanzioso: una maschera codificata, blocchi di materiale come il tungsteno (alternati a spazi vuoti) che, messi sopra il rivelatore, fermano la radiazione.

Spi Maschera Codificata
Maschera codificata dello strumento SPI (Crediti: sinistra, INTA, Spain; destra, ESA/AOES Medialab)

Ogni sorgente crea sul rivelatore la propria immagine (ombra) attraverso la maschera; partendo dall’insieme delle immagini e conoscendo la struttura della maschera, è possibile risalire alla posizione nel cielo delle singole sorgenti.
Questa impostazione era una rivoluzione per la maggior parte della comunità scientifica, abituata a trattare dati provenienti da una messa a fuoco con specchi tradizionali: in quel caso, infatti, due sorgenti lontane fra loro non si sovrappongono sul rivelatore; addirittura si può considerare una porzione buia di cielo, nei dintorni delle sorgenti, per avere una stima del fondo. Questo non è assolutamente possibile negli strumenti a maschera codificata: ogni sorgente lascia sul rivelatore la propria immagine che si mescola con quella delle altre; di conseguenza, ogni sorgente interferisce con le altre e solo il codice di analisi può fare una stima del fondo. Può sembrare un dettaglio da nerd, ma è come dover guidare a sinistra a Londra dopo anni di guida a destra a Milano (non è stato così per me: INTEGRAL era la mia prima missione, a me sembrava tutto normale – beata ignoranza).
Tre dei quattro strumenti a bordo di INTEGRAL avevano la maschera codificata: IBIS (ottimizzato per fare immagini nei raggi gamma), SPI (ottimizzato per gli spettri nella stessa banda) e JEM-X che osservava le sorgenti a più basse energie (basse per modo di dire, siamo pur sempre nei raggi X duri). Infine, per una visione più completa delle sorgenti (quella che si chiama osservazione multibanda), c’era anche una camera per la luce visibile, OMC.

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Rappresentazione artistica in trasparenza di INTEGRAL (Crediti: ESA)

INTEGRAL è un piccolo grande capolavoro: 5 metri di altezza per 16 di apertura di pannelli solari e quasi quattro tonnellate per osservare contemporaneamente il cielo in più bande di energia e con diverse potenzialità. Come dire: se devi fare la fatica di portar su un satellite, tanto vale ottimizzarlo. Questo è un approccio comune a tutti i satelliti.

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INTEGRAL, 2002 a ESTEC, Olanda (Crediti: ESA)

I miei anni di preparazione al lancio sono stati caratterizzati da adrenalina a mille. L’idea di far parte attiva di una comunità che ambiva a toccare il cielo con un dito mi esaltava ogni mattina, ogni sera, ogni run di simulazione, stretta di mano, riunione, errore trovato nel software, nuova amicizia, bocca asciutta per l’ansia di parlare ai consortium meetings, birra di gruppo per festeggiare la riuscita di suddetta presentazione, profumi internazionali nella cucina dell’ISDC e molto altro.

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Staff dell’ISDC, due settimane prima del lancio di INTEGRAL (2002). Sono la quarta da destra in prima fila. Alla mia destra T. Courvoisier e P. Favre (Crediti: ISDC/M. Türler).

Per una qualche strana dilatazione temporale, l’inizio dell’avventura mi è sembrato lento, forse per le difficoltà che scandivano le mie giornate, ma poi man mano che prendevo confidenza e si avvicinava la data del lancio, il tutto ha iniziato ad accelerare finché un giorno, di botto, è decollato tutto.
17 ottobre 2002, alba. Arriviamo all’ISDC per vedere in diretta il lancio da Baikonur, in Kazakistan. Ospiti, collaboratori e collaboratrici dal mondo sono in visita e noi, i locali, siamo in fibrillazione come dei buoni padroni di casa. Nel frattempo io avevo iniziato il Dottorato di Ricerca in astrofisica con Thierry Courvoiser, il Direttore dell’ISDC. Insieme a me c’erano altri studenti di dottorato fra cui Pascal Favre, un ragazzo svizzero. Thierry aveva deciso che noi studenti avremmo ricevuto comunicazione delle tappe più importanti al telefono e gliele avremmo passate su foglietti; lui avrebbe man mano aggiornato i presenti.
Arriva il momento del lancio: i primi istanti sembrano andare come atteso. Poi mi viene un colpo perché il passaggio a velocità supersonica sembra un’esplosione. Ma non lo è: il razzo russo Proton non fa una piega e sale, con INTEGRAL in testa(3)Video di lancio qui..
Proton sparisce dalla nostra visuale e dopo un po’ iniziano le telefonate. Ne ricordo una in particolare: quella a cui ha risposto Pascal. Ascolta, annuisce, annuisce, ascolta. Mette giù e dice in tono molto controllato che sembra esserci un problema con l’apertura dei pannelli solari.
Niente pannelli, niente missione.
Apnea.
Altra telefonata: Pascal risponde. Scena analoga. Mette giù e ci dice che è tutto a posto: i pannelli sono aperti.
INTEGRAL respira!

Ora. Io non voglio incoraggiare lo stereotipo dello svizzero sotto controllo e della mediterranea (italo-greca) fuori di testa, ma ho più volte immaginato la scena in cui ero io a ricevere le notizie sui pannelli solari al telefono. Altro che aplomb e foglietti…
Ma era fatta, INTEGRAL era nello Spazio: si apriva una nuova fase del nostro viaggio.

(1 – continua)

Note

Note
1 Per approfondimenti si veda:
Sito dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) dedicato alla missione
Video di preparazione al lancio e lancio (ESA)
Articoli dedicati (ESA)
INTEGRAL picture of the month (ESA)
Sito dell’INTEGRAL Science Data Center, ISDC
Sito INTEGRAL all’INAF-IASF di Milano
2 I raggi X osservati da INTEGRAL si chiamano raggi X ‘duri’ perché arrivano fino a un’energia di decine di keV – kiloelettronvolt. Altre missioni che studiano i raggi X detti ‘molli’ (intorno a qualche keV, come i stelliti XMM-Newton o Chandra), riescono ancora a mettere a fuoco con la tecnologia degli specchi a incidenza radente. Questo non è possibile con i raggi X duri e i raggi gamma, in cui osserva INTEGRAL, che sono ancora più energetici.
3 Video di lancio qui.

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Scritto da

Adamantia Paizis Adamantia Paizis

Laureata in Fisica presso l'Università  degli Studi di Milano, dopo aver conseguito il Dottorato di Ricerca in Astrofisica a Ginevra, è tornata a Milano presso l'INAF-IASF dove attualmente è ricercatrice. Dedica una frazione importante del suo tempo ad attività  divulgative. Nel tempo libero ama leggere e scrivere.

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