Mia nonna diceva sempre che non sono per niente brava a cercare e a trovare quello che mi serve. Spesso mi chiedeva di andare a prendere qualcosa in camera, o in cantina, descrivendomi per bene dove si trovasse quel particolare oggetto: però, per quanto lo cercassi, alla fine ero sempre costretta a chiamarla per dirle che non lo riuscivo proprio a scovare; lei arrivava, e con uno sguardo sconsolato mi faceva notare come la cosa che stavo cercando fosse esattamente davanti ai miei occhi, solo che non la vedevo. Sei proprio un cretineti, mi diceva divertita.
Se nonna ci fosse ancora, mi avrebbe detto lo stesso anche nella situazione in cui mi trovavo all’inizio dell’estate: non avevo idee e non sapevo proprio cosa portare alla finale di Famelab. Per quanto mi sforzassi di sfogliare i miei libri, di trovare un argomento interessante e di costruirci un discorso ben fatto, finivo comunque per decidere di telefonare a Leonardo Alfonsi per dirgli che non ero proprio fatta per quella finale. Ma, nella disperazione, mi ero data una scadenza: se entro il 15 settembre non avessi ancora trovato nulla, allora avrei mollato. Una decisione sicuramente di grande motivazione e ispirazione, che però mi aveva fatto tirare un sospiro di sollievo, e permesso di liberare la testa dai pensieri.
Nonna, però, avrebbe avuto ragione anche questa volta: avevo appena iniziato la tesi, e di cosa potevo parlare se non di quello in cui mi stavo specializzando? Avevo tra le mani un argomento talmente vasto e di grande rilievo nel mondo ingegneristico, che era impossibile non prenderlo in considerazione. E per fortuna che un amico me l’ha fatto notare prima della mia scadenza.
Il primo ottobre era arrivato in fretta, e soprattutto senza nessuna chiamata disperata a Leonardo Alfonsi. Avevo prenotato un treno lunghissimo, che in sole tre ore sarebbe arrivato a Terontola Cortona, per poi affidarmi in dieci minuti a un altro treno fino a Perugia. Il timore di perdere quella piccola coincidenza mi aveva fatto dimenticare in parte la paura della serata che mi aspettava; il fatto di aver incontrato sul treno uno dei miei compagni Famelabber – Pietro – me l’aveva fatta dimenticare quasi completamente; trovare alla stazione di Perugia altri tre amici – Federico, Francesco e Giuseppe – me l’aveva fatta passare proprio del tutto.
Il pomeriggio era dedicato non solo alle prove tecniche, ma anche ad esercizi per sciogliere la tensione, sempre con il sorridente Renato Preziuso. CONVERGENZAA! urlavamo, quando, a coppie, riuscivamo a fare la stessa associazione di idee, avvicinandoci sempre di più dopo innumerevoli tentativi. Tra una risata e l’altra ci veniva detto l’ordine con cui ci saremmo stati presentati sul palco, che cosa avremmo dovuto fare nell’attesa e come sarebbe stata strutturata la serata. Di quei momenti ricordo molto bene la sensazione di vuoto che mi prendeva ogni volta che spostavo lo sguardo dal palco alla platea, debolmente illuminata, e mi accorgevo di quanto fosse grande e destabilizzante: il teatro è scomodità.
Prima di fare una gara di atletica, vengo colta sempre da una tensione incredibile. L’idea che qualcuno mi stia guardando – e magari giudicando – e la paura di non essere adatta a quell’ambiente, sono punti deboli micidiali per la gestione dell’ansia. In quei momenti mi ripeto quanto sia inutile essere tesi per qualcosa che dura un minuto e che poi svanisce: ma è proprio l’unicità del tentativo di dare il meglio di se stessi che dà quella scarica di adrenalina che fa battere all’impazzata il cuore.
Prima del mio turno, mi sentivo esattamente come a quelle gare: c’era un pubblico, c’erano dei giudici, e, cosa ancor più grave, il tutto sarebbe durato ben tre minuti: come fare tre volte i quattrocento metri, insomma. Pur di cancellare la paura, avevo spento il cervello e smesso di ascoltare chiunque; visto il mio stato, una delle mie compagne – Eleonora – mi ha dato un consiglio molto utile su come allontanare quei sentimenti: avrei dovuto immaginare di essere estremamente arrabbiata con qualcuno, e di dovergli spiegare il mio discorso in quelle condizioni.
È andata proprio così: nel momento in cui venivo annunciata come concorrente successiva, ho pensato a una persona con cui ero arrabbiata in quel momento; ho fatto stretching, due salti, e sono andata sul palco.
Nel giro di poco, mi ritrovavo collassata su un divanetto in corridoio, senza più forze né energie: insomma, arrabbiarsi costa tanto, ma aveva funzionato. Senza farvi troppi spoiler, lascio giudicare a voi:
Alla fine si è scoperto che i giudici della selezione locale di Milano avevano scelto bene e ci avevano visto lungo: non solo avevano selezionato la prima e la seconda classificata della città, ma anche le più alte sul podio d’Italia: Valentina Vavassori è infatti riuscita a conquistare i giudici con un talk sull’epigenetica, e io, con il mio discorso filosofico sulla discretizzazione, mi sono piazzata un gradino sotto di lei, in modo totalmente inaspettato. Ma, come accade spesso dopo una gara, il calo di adrenalina non ti fa rendere conto di quello che ti succede intorno, e anche per quel traguardo ho dovuto aspettare qualche giorno per realizzare quanto fosse successo.
Insomma, questa è una di quelle esperienze uniche che la nostra breve vita ci offre, ed è in questi giorni così importanti e intensi che mi piace trovare il senso della vita stessa: conoscere persone nuove e belle, ridere, imparare e crescere, il tutto sempre insieme.
Questo secondo posto, ma anche tutta la storia che vi ho raccontato, la voglio dedicare a chi, fino ad ora, ha saputo insegnarmi il significato della condivisione, l’importanza della cultura, del viaggiare, del non fermarsi ai propri limiti, e anche a mia nonna, che mi ha insegnato a trovare, oltre che a cercare. Il tempo che ci viene dato è davvero poco, e purtroppo ce ne rendiamo conto solo quando è passato, e quando passa bene sembra quasi di averlo sognato. Per quanto possa sembrare banale dirlo, diamogli il significato migliore che possiamo inventarci, e non perdiamo tempo ad essere arrabbiati con qualcuno. Tranne quando questo vi permette di salire su un podio nazionale, ovviamente.
Foto di Marco Giugliarelli
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