Aggiornato il 28 Novembre 2024
È con immenso piacere che iniziamo la serie dei nostri incontri per il progetto Destinazione Futuro con Marco Ciardi, che ha l’onore e l’onere di aprire le danze degli esperti che abbiamo scelto per commentare le risposte ricevute dai partecipanti. Partiamo dunque, senza indugio.
Alla nostra domanda cosa dovrebbe imparare la scienza dalla fantascienza, in tantissimi ci hanno risposto l’immaginazione, uscire dagli schemi. Ben pochi ci dicono, come Gianluca, che Senza immaginazione, non c’è scienza. Cosa ne pensi?
Sono d’accordo con Gianluca, l’immaginazione è indispensabile per la scienza, ma anche è importante ricordarsi che non tutto quello che immaginiamo diventa vero. Deve esserci una chiara distinzione fra i due piani: quello del ‘probabilÈ e quello del ‘possibilÈ. Nella scienza non si tratta solo di affermare cosa sia teoricamente possibile, ma bisogna capire cosa sia probabile sulla base di evidenze osservative e/o un approccio conoscitivo di tipo statistico. Senza tale approccio, nato con Galileo e la scienza moderna, si scivola nella pseudoscienza. Ognuno è libero di credere (o non credere) quello che vuole, ma questo non deve interferire con lo studio della Natura. Galileo stesso era un appassionato dell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto e apprezzava quanta più immaginazione possibile in un’opera letteraria; inoltre non apparteneva alla schiera degli atei, era un credente, ma quando studiava la Natura, metteva (o cercava di mettere) tutto questo da parte.
Perchè c’è questa percezione della scienza come priva di immaginazione?
Credo sia dovuto a tanti fattori fra cui il modo in cui la si insegna a scuola, scorporata dalla sua storia, rendendola pericolosamente sterile; inoltre la sempre crescente specializzazione del sapere, con le riviste accademiche, ha contribuito a una netta divisione delle culture. Non è sempre stato così: l’articolo di apertura del primo numero della rivista Nature, uscito il 4 novembre 1869, è di Thomas Henry Huxley, filosofo e biologo britannico amico di Charles Darwin, che commenta gli aforismi di Goethe per descrivere la Natura. L’articolo si chiude con una riflessione interessante, oggi impensabile in una rivista scientifica. Parafrasando: fra tanto tempo, quando le teorie degli specialisti raccontate in queste pagine saranno ormai obsolete, solo la visione del Poeta descriverà in maniera vera e concreta le meraviglie e il mistero della Natura.
Nonostante la mancanza di un’evidenza scientifica, la maggior parte dei partecipanti (78% al 30 giugno 2021) “sa” a livello culturale che non siamo soli nel Cosmo. Da dove nasce questa consapevolezza?
Nasce da lontano, ma nel tempo si è verificato un paradosso interessante: oggi sono aumentate le possibilità di conoscenza dell’Universo rispetto a ieri, ma ancora non si sono trovate tracce di vita nel Cosmo e quindi neppure di vita intelligente. Mentre in passato, anche quando si riteneva che l’Universo fosse più piccolo e limitato, la convinzione comune era che tutti i pianeti fossero abitati da esseri e civiltà di vario tipo. Quando si parla di extraterrestri c’è inoltre molta confusione fra scienza e pseudoscienza: dire che potrebbe esserci vita nel Cosmo "“ in qualsiasi forma immaginabile "“ non significa che ci si debba aspettare un’invasione aliena sulla Terra o che si debba credere alle teorie degli “antichi astronauti” (che ipotizzano un contatto tra civiltà extraterrestri e antiche civiltà umane). I due piani, “possibile” e “probabile”, vanno tenuti separati.
Tanti partecipanti vogliono lottare per salvaguardare il nostro cielo, ma molti sono pessimisti, uno per tutti, Paolo Sudiro: Non ci riusciremo: ci abitueremo a non vedere le stelle. Senza le stelle rischiamo di perdere la nostra memoria mitologica, oltre alla consapevolezza di essere immersi nel Cosmo. Com’è cambiato il rapporto dell’umanità con le stelle?
Altro paradosso: gli antichi non conoscevano le stelle come le conosciamo noi, eppure le osservavano, facevano parte della loro quotidianità . Noi le diamo per scontate e le perderemo. Credo faccia parte dello stesso meccanismo psicologico per cui più possibilità hai, meno le sfrutti. Non vale solo per le stelle: è un discorso ampio, legato allo spirito critico che dovrebbe essere insegnato a scuola e che dovrebbe accompagnarci in questo mare di rumore, alla ricerca del segnale.
Il 57% degli intervistati vorrebbe incontrare un alieno, a fronte di un 10% contrario e un 33% di indecisi o indaffarati. A te piacerebbe incontrarne uno?
Sì, ma non da solo o correrei l’ovvio rischio di non essere creduto. E vorrei un contesto di rapporto cordiale, democratico e di fratellanza galattica. Uno scenario in cui prendo l’astronave e vado a trovarli, senza il timore di essere respinto, come facciamo noi con i barconi nel Mediterraneo. Incontriamo alieni costantemente e, di fatto, la fantascienza parla proprio di questo, del presente. È vero fin dal primo romanzo di fantascienza, “Frankenstein” di Mary Shelley (prima edizione nel 1818), in cui si parla del diverso, dell’altro e della nostra paura e incapacità di empatia e accoglienza.
Certamente, ma è importante stare attenti a non semplificare troppo. Perchè comunque la ricerca ha bisogno di essere finanziata. Le esplorazioni hanno sempre avuto una spinta politica ed economica, ma c’è anche il sogno degli scienziati, e in generale dell’umanità , di andare nello Spazio. Come diceva Francis Bacon, italianizzato Francesco Bacone, la scienza e la tecnica dipendono da scelte etiche, possono essere di aiuto all’umanità o diventare uno strumento di guerra. È sempre stato così. Pensiamo al cannocchiale: l’hanno inventato gli artigiani olandesi nel 1608. Dopo una prima curiosità di gioco o di moda, ci si è accorti che vedere a distanza prima degli altri, per esempio le navi nemiche, era utilissimo; ecco che il cannocchiale diventa un congegno di guerra. È stato Galileo a puntarlo al cielo, rendendolo uno strumento di conoscenza.
Fra i partecipanti, Maurizio Giuliani scrive: (…) Con viaggi lunghi sarà necessario una nuova “vita di frontiera”, ri-abituarsi a non più rivedere i nostri cari. Così come successe tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900 con gli emigranti nelle Americhe. Stiamo dunque riproponendo su distanze cosmiche lo stesso modello del passato?
Assolutamente sì. Da sempre il viaggio è stato percepito come sfida all’ignoto, anche prima delle esplorazioni spaziali. Pensate ai primi viaggi esplorativi oltreoceano, o anche prima. Per non parlare dei viaggi della letteratura, come quello di Ulisse. Se non fossimo animati dal desiderio di conoscere l’ignoto, nulla di tutto questo sarebbe stato possibile. Non si può sopprimere l’esigenza di conoscere, lo spirito di avventura (come diceva Marie Curie), tutto questo rientra nella nostra natura. Partivano e non sapevano se sarebbero tornati. Ieri come oggi.
La maggior parte dei partecipanti dice che la voglia di prevedere il futuro è molto forte (Alcune volte anche troppo, dice GioTheEdge). In effetti, l’umanità ha da sempre subìto il fascino delle profezie: chi leggeva gli astri (astrologia), chi la mente di Dio (Nostradamus), chi cercava il contatto con i defunti (spiritismo). Qual è oggi il confine fra scienza e pseudoscienza?
Tutti i temi che rimandano a chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo e così via ci accompagneranno sempre, insieme a una naturale propensione pseudoscientifica; bisogna ripartire da capo ogni volta, a ogni generazione, per limitare la nostra tendenza innata a cercare risposte semplici a problemi complessi. La scienza ha dimostrato di essere il nostro strumento migliore per conoscere la realtà e ha contribuito più di ogni cosa allo sviluppo del pensiero democratico. Non a caso complottismo e negazionismo nascono come opposizione al pensiero scientifico che mette in discussione i dogmi, il sapere antico, prerogativa di pochi eletti. Attenzione però: la scienza, pur essendo essenziale per far progredire l’umanità , non è uno strumento immediato e tantomeno eterno: è una costruzione umana che si può perdere o dimenticare per guerre, catastrofi, mancanza di istruzione.
Come salvaguardare la scienza, dunque?
Uno dei grandi errori della scienza dal punto di vista della comunicazione è pensare che i risultati scientifici siano talmente auto-evidenti che basti un minimo di divulgazione per essere a posto. Non è così. I negazionisti esistono perchè non credono nel metodo e nei valori della scienza. Per questo motivo il dialogo diventa impossibile, siamo su due piani diversi. Eccoci di nuovo all’importanza della scuola non come dispensatrice di nozioni, quanto di metodo e senso critico: insegnare la scienza "“ non in modo asettico come cronologia di risultati, ma nel suo contesto pulsante di valori, metodo, storia, successi e fallimenti "“ è il miglior antidoto al pensiero pseudoscientifico, il miglior modo per una società libera e democratica. Ricordiamoci che tutti noi siamo soggetti a pregiudizi ed errori, la scienza serve proprio per limitare al minimo gli sbagli dovuti alle nostre valutazioni individuali.
Chiudiamo ora con serie di domande a botta e risposta.
Film di fantascienza preferito?
Difficile, cito sicuramente “Incontri ravvicinati del terzo tipo” e “Contact“.
L’ultima frontiera dell’umanità ?
Uguaglianza di diritti umani e alieni.
Come ti fa sentire questa ultima frontiera: spaventa, incuriosisce o entrambe?
Entrambe.
Siamo soli nell’Universo?
No.
Qual è la più grande lezione che la scienza può imparare dalla fantascienza?
Che il futuro non si può prevedere (lo diceva anche Arthur C. Clarke). Ma è bello immaginarlo.
Descrivi in quattro parole il mondo di domani: una cosa bella, una brutta, una conquista, una perdita.
Bella: equilibrio con la natura, di cui facciamo parte.
Brutta: il razzismo.
Conquista: colonie su altri pianeti.
Perdita: il fatto che io non lo potrò vedere… forse… il futuro è imprevedibile…
Vi diamo appuntamento a giovedì prossimo con la seconda intervista di Destinazione Futuro.
Note
↑1 | I. Asimov, Guida alla fantascienza, cit. p12. Il termine italiano fantascienza risale al 1952. |
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