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Cosmicomiche: Le figlie della Luna

Aggiornato il 10 Maggio 2023

Copertina di Houses of the Holy dei Led Zeppelin (1973). Fotomontaggio e serigrafia di Aubrey Powell per lo Studio Hipgnosis
Priva com’è d’un involucro d’aria che le faccia da scudo, la Luna si trovò esposta fin dalle origini a un continuo bombardamento di meteoriti e all’azione erosiva dei raggi solari. Secondo Tom Gold della Cornell University, le rocce della superficie lunare si sarebbero ridotte in polvere per l’urto prolungato delle particelle meteoriche. Secondo Gerard Kuiper dell’Università di Chicago, la fuga dei gas dal magma lunare avrebbe dato al satellite una consistenza porosa e leggera, come pietra pomice.

Come in tutte le Cosmicomiche, Italo Calvino introduce il racconto breve con una breve premessa scientifica, che informa il lettore sulle idee che l’hanno ispirato. Per Le figlie della Luna ricorre a due delle massime autorità del tempo, Thomas Gold e Gerard Kuiper.
Thomas Gold (1920 – 2004) è stato uno degli astrofisici di Cambridge che nel 1950 proposero la teoria, ora abbandonata, dello stato stazionario dell’universo e nel 1969 identificò le pulsar come stelle di neutroni rotanti con forti campi magnetici. In diversi articoli sostenne l’idea che la superficie lunare fosse in gran parte ricoperta da uno spesso strato di polvere, formatasi per “un processo di accumulo, escludendo qualsiasi liquefazione delle rocce dovuta a processi interni“. Secondo Gold, in The Nature of the Lunar Surface: Recent Evidence, articolo pubblicato il 22 aprile 1971 nei Proceedings of the American Philosophical Society (Vol. 115, No. 2 pp. 74-82),

la superficie della Luna potrebbe essere costituita da materiale che ha subito la sua differenziazione, i suoi particolari processi di selezione chimica, da qualche altra parte nelle primissime fasi [di formazione del sistema solare]. (…) È allora consentito pensare che lo strato più esterno della Luna non mostri altro che il fenomeno che assemblò la Luna. Se ciò è vero, allora naturalmente la Luna è un oggetto molto promettente per investigare l’origine del sistema solare, poiché siamo in presenza di un corpo nella sua forma primitiva, non in gran parte modificato come è invece la superficie della Terra.

Gerard Kuiper (1905 – 1973), da molti considerato il padre delle scienze planetarie moderne, da teorico, sviluppò numerosi aspetti della teoria della formazione del sistema solare, come la formazione dei planetesimi e il ruolo svolto dalle collisioni nella storia primitiva del sistema solare. Dal punto di vista osservativo, a Kuiper dobbiamo la scoperta di alcuni satelliti dei pianeti più esterni, ma soprattutto l’intuizione dell’esistenza, poi confermata, di una fascia di materiale cometario oltre l’orbita di Nettuno, proveniente dalla formazione del sistema solare, oggi nota come Fascia di Kuiper. Dal 1960, quando lasciò l’Università di Chicago, e fino alla morte, fondò e diresse il Lunar and Planetary Laboratory all’Università dell’Arizona di Tucson, dove coordinò diversi progetti della NASA, studiando la superficie lunare e identificando possibili siti per l’allunaggio delle missioni Apollo. Nel 1964 sostenne che sulla superficie della Luna sarebbe stato possibile camminare “come su una neve croccante“, come poi fu confermato da Neil Armstrong e Edwin Aldrin nel 1969. In tempi di guerra fredda, fu precedentemente coinvolto nel Progetto segreto A119, il piano dell’Aeronautica americana per far detonare una testata nucleare sulla Luna, tanto per far capire che loro potevano farlo dovunque. Un suo collaboratore fu Carl Sagan, che era studente di dottorato di Kuiper al momento del progetto.

Polverosa o porosa che sia, la Luna che compare in questa Cosmicomica è ben diversa dall’idea di serena levità che caratterizza gran parte della letteratura sul nostro satellite e si differenzia dalle altre trattazioni che ne fece lo stesso Calvino. Il racconto breve comparve in volume nel novembre del 1968 in La memoria del mondo e altre storie cosmicomiche, edito dal Club degli Editori, anche se fu preceduto dalla pubblicazione sulla rivista erotica patinata Playmen nel maggio dello stesso anno, che aveva anche interessanti pagine di cultura e costume (e un’ottima tiratura). La prima diffusione su quotidiani, riviste e periodici era abituale per lo scrittore, che ad esempio pubblicò, per rimanere nelle Cosmicomiche lunari, La distanza della Luna su Il Caffè di Giambattista Vicari e La Luna come un fungo su Il Giorno.
Come al solito, è l’eterno Qfwfq che racconta, con la vocina querula che lo stesso Calvino avrebbe poi confessato di cominciare a detestare.

La Luna è vecchia, bucherellata, consumata. Rotolando nuda per il cielo si logora e si spolpa come un osso rosicchiato. Non è la prima volta che questo accade; ricordo Lune ancor più vecchie e rovinate di questa; ne ho viste tante, di Lune, nascere e correre il cielo e morire.

In un passato imprecisato, in una città che sembra New York e si chiama New York, dominata dal consumismo,

c’era solo una stonatura, solo un’ombra: la Luna. Vagava per il cielo, spoglia tarlata e grigia, sempre più estranea al mondo di quaggiù, residuo d’un modo d’essere ormai incongruo. (…). Così ci si cominciò a porre il problema di cosa farne, di questo satellite controproducente: non serviva più a nulla; era un rottame da cui non si poteva recuperare più niente. Perdendo peso, andava inclinando la sua orbita verso la Terra: era un pericolo, oltretutto. E più s’avvicinava più rallentava il suo corso; non si poteva più tenere il calcolo dei quarti; anche il calendario, il ritmo dei mesi era diventato una pura convenzione; la Luna andava avanti a scatti come stesse per crollare.

Nelle notti di luna bassa certe persone fanno stranezze.

Ma quando vidi una ragazza completamente nuda seduta su una panchina di Central Park non potei fare a meno di fermarmi. (…) Attorno alla panchina erano sparpagliati sull’erba i suoi vestiti, calze e scarpe una qua e una là, orecchini e collane e braccialetti, borsetta e borsa per la spesa e il loro contenuto rovesciato in un cerchio di largo raggio (…), come se tornando da un dovizioso shopping per i negozi della città, quella creatura si fosse sentita chiamare e (…) ora stesse lì aspettando d’essere assunta nella sfera lunare. (…) S’alzò, avanzò per il prato. Aveva lunghi capelli color rame che le scendevano per le spalle. (…) E seguendola così per le aiuole m’accorgevo che (…) stava cercando di proteggere qualcosa di fragile, qualcosa che poteva cadere e andare in pezzi e perciò occorreva condurre verso luoghi dove si potesse posare delicatamente, qualcosa che comunque lei non poteva toccare ma solo accompagnare con i gesti: la Luna.
La Luna pareva smarrita; abbandonato il solco della sua orbita non sapeva più dove andare; si lasciava trasportare come una foglia secca. Ora sembrava calare a picco verso la Terra, ora avvitarsi in una spirale, ora andare alla deriva. Perdeva quota, questo è certo.

La ragazza nuda si chiama, direi ovviamente, Diana e improvvisamente scompare, per ripresentarsi sulla capote ribaltata della macchina. Incominciano a inseguire la Luna, che pare giocare a nascondino tra i grattacieli. Nessun passante sembra notare questa giovane senza vestiti ritta su una macchina scoperta. Ma la ragazza non è sola:

protese nelle pose più strane, aggrappate ai radiatori, agli sportelli, ai parafanghi delle auto in corsa vedevo da ogni parte ragazze cui solo l’ala dorata o scura dei capelli faceva contrasto con il chiarore roseo o bruno della pelle nuda. Su ogni macchina era posata una di queste misteriose passeggere, tutte tese in avanti incitando i guidatori all’inseguimento della Luna.

Sono tantissime, e lo strano corteo converge in un luogo dove la luna sembra essersi fermata.

Al termine della città ci trovammo di fronte a un cimitero d’automobili. (…) Su questo territorio frastagliato e rugginoso si chinava ora la Luna, e le distese di lamiera ammaccata si gonfiavano come spinte dall’alta marea. S’assomigliavano, la Luna decrepita e quella crosta terrestre saldata in un conglomerato di rottami.
(…)
Diana scese e tutte le altre Diane la imitarono. (…) Intanto andavano sparpagliate scalando la montagna degli oggetti morti: superarono la cresta, calarono nell’anfiteatro, si trovarono a formare come un grande cerchio là in mezzo. Allora alzarono le braccia tutte insieme.

Non posso non pensare a un’immagine come la copertina di Houses of the Holy, il quinto album in studio dei Led Zeppelin, pubblicato nel 1973, con dei bambini nudi intenti a scalare le colonne basaltiche della Giant Causeway in Irlanda del Nord.
La Luna pare per un istante riprendere forza e innalzarsi.

Le fanciulle in cerchio stavano a braccia alte, i visi e i seni rivolti alla Luna. Era questo che la Luna aveva chiesto loro? Era di loro che essa aveva bisogno per sostenersi in cielo? Non feci in tempo a domandarmelo. In quel momento entrò in scena la gru.

Era un’enorme gru costruita dalle autorità, decise a sgombrare il cielo da quell’ingombro antiestetico, dalla quale si alzava una specie di pinza da granchio.

La benna s’aperse, dentata; ora, più che a una pinza di granchio, somigliava alla bocca d’uno squalo. La Luna era proprio lì; ondeggiò come se volesse scappare, ma quella gru sembrava calamitata: si vide la Luna come aspirata finirle proprio in bocca. Le mandibole si richiusero con un secco: crac!

La Luna prigioniera diventa una roccia nera e informe, retta soltanto dai denti della benna. Intanto gli operai dell’impresa hanno preparato una rete d’acciaio fissata saldamente al terreno, dove infine viene posata: il satellite è oramai

un macigno butterato e sabbioso, così opaco che pareva incredibile avesse un giorno illuminato il cielo col suo riflesso splendente. (…) Poi tornò la calma. Il cielo ormai sgombro veniva innaffiato dai getti di luce dei riflettori. Ma già il buio impallidiva.

All’alba, per il cratere dei detriti terrestri, echeggia un mormorio. Tra i rifiuti della metropoli avanzano degli esseri barbuti.

In mezzo alle cose buttate via dalla città viveva una popolazione di persone buttate via anch’esse, messe al margine, oppure persone che s’erano buttate via di loro volontà, o che s’erano stancate di correre per la città per vendere e comprare cose nuove destinate subito a invecchiare: persone che avevano deciso che solo le cose buttate via erano la vera ricchezza del mondo.

Una folla stracciona si dispone attorno alla Luna assieme a Diana nuda e tutte le altre ragazze. Avanzano, e sciolgono i fili d’acciaio della rete che imprigiona la Luna. Come un aerostato, guidata dalle ragazze che reggono i fili, la Luna si libra in alto, seguita da un’onda impressionante di rottami.

Seguendo quella Luna salvata dall’esser buttata via, tutte le cose e tutti gli uomini ormai rassegnati a esser buttati in un canto riprendevano il cammino, e sciamavano verso i quartieri della città più opulenti.

Quel mattino si celebra il Giorno del Ringraziamento del Consumatore, festa istituita per dar modo ai clienti dei negozi di manifestare la propria gratitudine verso la Produzione che soddisfa ogni loro desiderio. Non manca la parata lungo la Fifth Avenue con la banda, le majorette e un enorme pupazzo fatto di palloni che rappresentava «Il Cliente Soddisfatto». Dall’altra parte di Manhattan avanza questa volta un altro corteo, guidato dalla Luna scrostata e ammuffita tirata dalle fanciulle nude, seguita da una fila di rottami di veicoli e da una silenziosa e crescente folla di persone di ogni colore, sesso ed età.
A Madison Square i due cortei s’incontrano e diventano uno solo. Il «Il Cliente Soddisfatto», forse per una collisione con la puntuta superficie della Luna, si sgonfia, le majorettes abbandonano chepì e alamari e vanno a ingrossare il numero delle Diane. Lo stesso accade per le motociclette e le macchine del seguito e

non si capiva più quali fossero le vecchie e quali le nuove: le ruote storte, i parafanghi arrugginiti erano mescolati con le cromature lucide come specchi, con le verniciature di smalto.

Il corteo giunge al ponte di Brooklyn.

La Luna prese un ultimo slancio, superò le ricurve griglie del ponte, si sbilanciò verso mare, batté sull’acqua come un mattone, s’inabissò sollevando alla superficie una miriade di bollicine.

Le ragazze, invece di lasciare i nastri, vi si aggrappano, e la Luna le solleva facendole tuffare e scomparire tra le onde. Dopo poco tempo, il mare incomincia a vibrare d’onde che s’allargano a cerchio, al cui centro appare un’isola, che diventa una montagna, un emisfero, un globo posato sull’acqua: è una Luna che sale in cielo. Una Luna tuttavia diversa da quella vecchia e decrepita di prima.

Usciva dal mare sollevando uno strascico d’alghe verdi e scintillanti: zampilli d’acqua le sgorgavano da fontane incastonate tra i prati che le davano una lucentezza di smeraldo; una vegetazione vaporosa la ricopriva, ma più che di piante sembrava fatta di penne di pavone occhieggiate e cangianti.
Questo fu il paesaggio che riuscimmo appena a intravedere perché il disco che lo conteneva s’allontanava velocemente in cielo, e i particolari più minuti si perdevano in una generale impressione di freschezza e di rigoglio. (…) Ma facemmo a tempo a vedere delle amache pendere dai rami, agitate dal vento, e là adagiate vidi le fanciulle che ci avevano condotto fin lì, riconobbi Diana, finalmente tranquilla, che si faceva vento con un flabello di piume, e forse mi indirizzava un segno di saluto.

La felicità di aver ritrovato le ragazze si mescola tuttavia allo strazio di averle perdute.

Una furia ci prese: ci mettemmo a galoppare per il continente, per le savane e le foreste che avevano ricoperto la Terra e seppellito città e strade, e cancellato ogni segno di ciò che era stato. E barrivamo, sollevando al cielo le nostre proboscidi, le nostre zanne lunghe e sottili, scuotendo il lungo pelo delle nostre groppe con l’angoscia violenta che prende tutti noi giovani mammuth, quando comprendiamo che la vita è adesso che comincia, eppure è chiaro che quel che desideriamo non lo avremo.

Oltre ad essere una Cosmicomica, Le figlie della Luna è un apologo: la Luna è la natura, messa in pericolo dalla civiltà dei consumi e salvata dall’eterno femminino (lunare, secondo il consueto topos letterario). Altri temi intervengono nel racconto, come il riscatto degli ultimi, fatto che risente del clima di quei mesi di lotta e contestazione (e non è che la questione abbia perso di attualità, anzi). Le figlie della Luna, però, è soprattutto una Cosmicomica, e l’elemento cosmologico è reso evidente dal fatto che lo stato della Luna segna il decadimento e il ciclico rinnovamento della Terra, che va incontro a una nuova era, quasi ricominciando daccapo, da quando la natura incontaminata ospitava una fauna selvaggia di cui faceva parte un homo sapiens ancora bambino.

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