Cronache dalla scuola INAF PCTO

Una settimana ad “alte energie” all’osservatorio di Brera-Merate

Aggiornato il 18 Giugno 2021

Articolo di Vittoria Quattrocchio, Nicola Castellazzi, Alessandra Raschieri, e Giulia Licenziato a conclusione del progetto PCTO “Esperimenti di ottica visibile e X nel laboratorio di BEaTriX” presso i laboratori di Merate dell’Osservatorio Astronomico di Brera.

Vittoria Quattrocchio
Nicola Castellazzi
Alessandra Raschieri
Giulia Licenziato

Cosa sono e come si studiano i raggi X? Molti di voi probabilmente riconducono i raggi X principalmente alla medicina e alle radiografie. Si è giusto, ma i raggi X non sono solo questo. I raggi X (o raggi Röntgen, dal nome del loro scopritore che nel 1895 li indicò con la lettera X per la loro natura ancora ignota) sono radiazioni elettromagnetiche; sono simili alla luce del visibile e ai raggi UV dai quali però si differenziano per avere una lunghezza d’onda 1000 volte inferiore e, conseguentemente, una maggiore frequenza ed energia di un uguale fattore. Che c’entra con l’Astrofisica? C’entra, c’entra… perché nell’Universo questi “mostri fotonici” vengono prodotti da “mostri cosmici” come i buchi neri o le stelle di neutroni in accrescimento, che da qualche anno sappiamo con certezza che esistono (e si scontrano, pure!). Bene, allora per vedere i buchi neri occorre osservare nei raggi X, ma per studiarli bisogna mandare in orbita dei telescopi appositi. E perché non si possono studiare dalla Terra? Per la buona ragione che – fortunatamente – la nostra atmosfera ci salva assorbendo molte radiazioni, altrimenti una buona dose di raggi X (o anche gamma), potrebbe avere lo stesso effetto per noi esseri umani di un raggio laser della base Starkiller di Star Wars.

Figura 1. I due “numi tutelari” del nostro stage: Wilhelm Rontgen (sinistra) e Giuseppe “Beppo” Occhialini (a destra).

È il momento di presentarci: noi siamo un gruppo di quattro studenti provenienti da varie località del nord Italia che ha partecipato qualche mese fa, prima dell’arrivo di un altro “mostro” detto SARS-CoV2, a un progetto di alternanza scuola-lavoro di una settimana presso l’Osservatorio Astronomico di Brera-Merate. Ora che siamo un po’ ambientati alla quarantena, prendiamo la penna in mano per raccontarvi cosa è stata questa esperienza.

Durante tutto l’arco della settimana ci siamo cimentati nell’utilizzo di specchi, parabole, lenti, laser, telescopi e chi più ne ha più ne metta, ma lo scopo era sempre lo stesso: approfondire le nostre conoscenze di astrofisica, in particolare per ciò che riguarda l’ottica, ma soprattutto… divertendoci! E ci siamo riusciti!!! Infatti con l’aiuto di Bianca Salmaso e Daniele Spiga, due ricercatori dell’Osservatorio, abbiamo svolto diversi entusiasmanti esperimenti.
Tra tutti, l’esperimento di cui siamo più fieri riguarda, per l’appunto, l’ottica a raggi X. Questo perché siamo gli unici in tutto il mondo ad aver avuto la possibilità di svolgere un simile esperimento. Abbiamo utilizzato un prototipo dell’ottica del telescopio X di Beppo-SAX, lanciato nello spazio dall’Agenzia Spaziale Italiana nel 1996 e che prende il nome da Giuseppe “Beppo” Occhialini, uno dei più grandi fisici italiani del secolo scorso e in poche parole… ci siamo esercitati ad allineare l’ottica a una sorgente di luce. Come mai è così difficile allinearla? Per tre motivi: primo, i raggi X possono solamente essere riflessi quando incidono a pochi gradi dalla superficie. Un po’ come quando un sasso lanciato sul lago rimbalza solo se viaggia rasente all’acqua. Secondo, i raggi devono fare due riflessioni in sequenza su superfici dorate (vedi Figura 5). Terzo, il modulo ottico è fatto di tanti specchi montati insieme a matrioska e a poca distanza l’uno dall’altro. Quindi, se i raggi viaggiano sull’asse, questi fanno due riflessioni e formano un bel fuoco. Altrimenti, iniziano a rimbalzare da ogni parte e ne escono gli effetti luminosi più stravaganti e più arzigogolati, come quelli riportati in Figura 2.

Figura 2. Le nostre immagini più creative ottenute con il modulo X di Beppo-SAX.

Ma poi è arrivata la parte seria: come abbiamo fatto a far viaggiare dei raggi luce in parallelo, come se venissero da un lontanissimo (per fortuna!) buco nero? Abbiamo così allineato una sorgente di luce visibile a una lente di Fresnel: questo consente di ottenere un fascio di raggi paralleli se la sorgente è esattamente posizionata nel suo fuoco (Figura 3). A sua volta, il fascio ottico incide sul modulo ottico di Beppo-SAX e il suo fuoco diventa visibile su uno schermo bianco. Cosa che non si riesce a fare, ovviamente, coi raggi X.

Figura 3. L’ottica X di Beppo-SAX (a destra), la lente di Fresnel (in centro) e la sorgente luminosa (a sinistra)

La lente di Fresnel (indicata con 1 in Figura 4) funziona come una qualsiasi altra lente convergente (indicata con 2 in Figura 4), ma permette di ridurre le aberrazioni e lo spessore di materiale usato. Nel nostro caso, l’utilizzo di una lente di Fresnel è stato dettato da motivi di costo, cosa sana da tener presente in un esperimento di didattica.

Figura 4. A sinistra: schema di principio di una Lente di Fresnel. A destra: applicazione pratica di una lente di Fresnel nella lanterna di un faro.

Per visualizzare l’immagine della sorgente nel punto focale del sistema ottico abbiamo dovuto armeggiare un bel po’ perché, per ottenere un’immagine nitida, bisogna allineare perfettamente sorgente, lente e telescopio; tutto ciò si è rivelato più difficile del previsto, ma come si dice in gergo “challenging“. La dispersione cromatica della lente di Fresnel (Figura 5) contribuisce un po’ alla difficoltà dell’allineamento, ma permette di ottenere immagini attraenti per il loro colore, oltre a darci la possibilità di approfondire questo aspetto dell’ottica.

Figura 5. Immagine della sorgente nel punto focale.

Mettendo le mani su tutto il sistema ottico per allinearlo, abbiamo avuto modo di imparare come funziona un’ottica X. Per esempio, una volta allineato il sistema, abbiamo notato che avvicinando e allontanando lo schermo visualizzavamo altri due punti focali. Questi due fuochi sono dovuti a riflessioni singole nell’ottica X. I raggi che vengono riflessi solo sul paraboloide convergono tutti in un fuoco più lontano (rosso in Figura 6); i raggi che vengono riflessi solo sull’iperboloide convergono tutti in un fuoco più vicino (verde in Figura 6). Con le lezioni teoriche abbiamo capito che ciò in realtà non dovrebbe avvenire, eppure succede lo stesso. Perché? I raggi uscenti dalla lente sono tutti teoricamente paralleli, ma a causa della scarsa qualità della lente (ottima per la didattica, da non usarsi per un buon esperimento di astrofisica) non lo sono; quindi avviene ciò che è rappresentato nell’immagine di destra ovvero i raggi non paralleli (rossi) effettuano una sola riflessione al posto di due come fanno quelli paralleli (blu). I raggi verdi invece vengono riflessi solo sull’iperboloide a causa degli spazi lasciati tra gli specchi. Questo causa la formazione dei fuochi che abbiamo visto, oltre a quello primario della doppia riflessione.

Figura 6. Rappresentazione geometrica della doppia riflessione su un ottica X.

Un altro esperimento divertente riguardava l’ottica geometrica, in particolare abbiamo accesso un fiammifero utilizzando due parabole riflettenti. Beh sì, anziché sfregarlo sulla carta vetrata, noi piccoli fisici, ci siamo dilettati nel convogliare la luce di una lampadina (che si trovava nel fuoco della prima parabola) nel fuoco della seconda, dove abbiamo posizionato il fiammifero che, dopo una breve, ma estenuante attesa, si è acceso con nostro grande stupore. Vi alleghiamo il video.

Figura 7. Esperimento con due parabole per accendere un fiammifero.

In conclusione, è stata una bella esperienza che ci ha permesso di 1) conoscere l’ottica, in particolare a raggi X, 2) lavorare qualche giorno in un osservatorio astronomico, 3) condividere la nostra esperienza con tutto il personale, 4) divertirci con luce, colore, specchi e lenti. Non è una cosa che capita ogni giorno!

P.S.: Tutto ciò è stato reso possibile dall’abile mano di Mauro Fiorini che ha realizzato il setup sperimentale, ottica SAX esclusa. E dove poteva lavorare Mauro, se non all’Istituto di Astrofisica Spaziale e Fisica Cosmica di Milano, fondato dallo stesso Occhialini?

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