Aggiornato il 28 Novembre 2024
Vivere l’11 Settembre in America significa vivere una di quelle esperienze che mai più dimenticherai.
Quella mattina mi ero svegliata alla solita ora in compagnia della mia host sister tedesca, avevo fatto colazione ed ero uscita di casa. Mi sembrava una giornata come tutte le altre, ma mi era bastato salire sul pullman giallo per capire che così non era. Su quel pullman che di solito era pieno di vivacità e allegria, infatti, quel giorno aleggiava un silenzio strano. Ognuno era seduto per conto suo: chi guardava fuori dal finestrino, chi ascoltava la musica nelle cuffiette, chi ancora discuteva a bassa voce con il vicino. Mi ero seduta nel primo posto libero che avevo trovato, mi ero messa le cuffiette e avevo aspettato in silenzio di arrivare a scuola.
Una volta a scuola avevo deciso di andare subito in classe. Sulle scale avevo incontrato la mia amica Victoria, la mia compagna di classe nei periodi di chimica e di American History. Le avevo chiesto il motivo per cui quel giorno tutti mi sembravano strani e lei, senza alzare lo sguardo, mi aveva risposto semplicemente che quel giorno era l’11 Settembre. Allora avevo capito…
In cima alle scale ci eravamo salutate perchè non avevamo le stesse lezioni, ma ci saremmo comunque riviste dopo. Ero così andata nella mia classe di biologia, dove avrei trascorso i primi due periodi. Al suono della campanella tutti erano già in classe e dopo poco sulla lavagna elettronica era partito come sempre il Pledge of Allegiance, ovvero il Giuramento di fedeltà alla bandiera Americana. Tutti si erano alzati in piedi e con la mano destra sul cuore, rivolti verso la bandiera appesa al muro, lo stavano recitando in maniera così intensa, che io non mi ero sentita di fare diversamente da loro e così, con la mano destra sul cuore anche io, avevo recitato insieme a loro quelle parole che ormai conoscevo a memoria. Nonostante ormai fosse più di un mese che andavo a scuola, il momento del Pledge of Allegiance mi emozionava tutte le volte: è bello vedere come dei ragazzi così giovani credano così fortemente in quelle parole di giuramento di fedeltà all’America. In Italia, purtroppo, non ho mai visto nulla di simile e quello spirito di patriottismo non esiste in nessuno di noi.
Le due ore di biologia erano trascorse normalmente, poi, al suono della campanella, ero andata nell’edificio accanto per la solita lezione di chimica. Lì avevo rivisto Victoria che mi aveva salutata con un gesto della testa ma, non essendo sedute vicine, non avevamo avuto modo di parlarci. L’ora di chimica era passata forse un po’ più lentamente delle prime due (o almeno così era sembrato a me), ma quando il suono della campanella aveva annunciato la fine delle lezioni, avevo tirato un sospiro di sollievo ed ero andata da Victoria. Parlando del più e del meno avevamo raggiunto la classe di American History, dove eravamo vicine di banco. Entrando in quella classe avevo notato fin da subito qualcosa di strano: il professore, Mr. Richards, indossava degli occhiali da sole scuri e non era allegro, cordiale e spiritoso come tutti gli altri giorni. Non ci attendeva nemmeno all’ingresso dell’aula per salutarci uno a uno, ma, al contrario, era seduto silenziosamente alla cattedra e sorseggiava una tazza di caffè. All’inizio della lezione non aveva parlato, ma aveva fatto partire subito un video. Era un video dell’attentato, l’attentato dell’11 settembre 2001, l’attentato alle Tori Gemelle, l’attentato che aveva cambiato l’America…
Così aveva avuto inizio la lezione più toccante e commovente della mia vita, una di quelle lezioni che non puoi e non vuoi dimenticare… una di quelle lezioni che in un qualche modo ti cambiano dentro. Mr. Richards parlava e raccontava la storia di quel giorno, raccontava dei suoi genitori che vivevano a New York, raccontava di sua sorella, anch’essa a New York. Parlava e mentre parlava piangeva. Dietro di lui, sulla lavagna elettronica, immagini di disperazione e desolazione venivano proiettate. Foto e video di persone che cadevano, che si buttavano giù da quelle torri perchè tanto avevano capito che per loro non c’era più nulla da fare. E nel frattempo si sentivano le registrazioni di chiamate. Le ultime chiamate che quelle persone avevano fatto ai loro cari prima di buttarsi giù dalle finestre di quei grattacieli. Mentre Mr. Richards parlava io ero scossa da brividi. Sarei stata lì per ore ad ascoltarlo, perchè quando ascolti una testimonianza diretta la cosa ti fa molto più effetto che non quando ne senti parlare tutti gli anni al telegiornale, ma purtroppo il suono della campanella era arrivato in fretta, troppo in fretta, e così avevo dovuto alzarmi, prendere le mie cose e uscire da quell’aula per la pausa pranzo. Prima di uscire, però, avevo osservato una scena che mi aveva colpito molto: una ragazza della mia classe si era alzata, era andata da Mr. Richards e gli aveva offerto un fazzoletto. Lui lo aveva preso e con un gesto caloroso l’aveva abbracciata.
Fuori il cielo era azzurro e splendeva il sole, ma i miei occhi e quelli dei miei compagni erano rossi di pianto. Già , perchè quando ascolti un racconto del genere non puoi rimanere indifferente. Non si può rimanere indifferenti di fronte alla morte di quasi 3000 persone. E, soprattutto, non si può dimenticare un episodio del genere. Mai, per nessun motivo! Bisogna riflettere sul passato, bisogna ricordarlo e bisogna fare in modo di costruire un futuro migliore. Bisogna imparare dal passato, e non dimenticare… perchè solo il passato può insegnarci a essere delle persone migliori.
Quella lezione mi ha cambiata. Ha cambiato me e il mio modo di vedere le cose. Ho iniziato ad apprezzare molto di più il clima presente nelle scuole americane… un clima di amicizia e collaborazione, un clima nel quale studenti e insegnanti non sono così lontani gli uni dagli altri… Perchè è così, nelle scuole americane non vi è tutta questa differenza tra professore e alunno: gli studenti, prima di essere studenti, sono visti come persone e così vale anche per gli insegnanti. E, in quanto persone, il clima è molto meno pesante, tutti sono più disponibili e aperti al dialogo… è un clima dove tutti si sentono liberi di dire la propria opinione e dove ovunque tu ti giri trovi comunque dei volti sorridenti che sarebbero pronti ad aiutarti in caso di difficoltà . Un clima nel quale anche io, che di americano non ho niente, mi sono sempre sentita a casa. La cosa buffa è che, a volte, mi sento davvero molto più a casa a scuola che non a casa della mia famiglia ospitante.
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