Alla fine, cosa mette in connessione stabile scienza e poesia? Ritengo che sia molto semplice: come forse abbiamo già scoperto, percorrendo le varie tappe di questa rubrica.
Provo a dirlo in un modo sintetico. Entrambe cercano di farci comprendere l’ambiente in cui viviamo, lo spazio che occupiamo. E rendercelo più abitabile. Tutto qui, in fondo: certo, se con ambiente intendiamo tanto quello esterno (lo spazio propriamente detto) quanto quello interno (sentimenti, emozioni). Le connessione tra i due spazi sono virtualmente innumerabili (secondo diverse correnti di pensiero, in realtà si tratta di un solo spazio: celebre la frase di Agostino, l’anima è in qualche modo, tutto), e l’indagine appassionata in essi procede sempre nelle due direzioni, interna ed esterna. Altrimenti si lascia fuori qualcosa. Qualcosa altrimenti si spezza, e i frammenti dispersi, proiettati con violenza verso orbite irregolari, rendono tutto più opaco, più doloroso, meno trasparente. Inquinano lo spazio.
Mantenere l’unità di tutto è essenziale, ormai non è più un optional. Oggi non basta la sola poesia, non serve la sola scienza. Sono zoppicanti, se pensate da sole. Serve cementare la loro profonda amicizia, urge anzi – pur bruciando le tappe – suggellare il loro matrimonio.
Dice Carlo Rovelli che
La poesia – che non fa eccezione – esiste e si sostiene solo in funzione di qualcosa che gravita al suo esterno, così come la scienza. Come per l’uomo e la donna, connettersi con chi è altro da sè spesso vuol dire, ritrovare una esistenza propria più fondata, più solida. E feconda.
La fecondità di tale unione costituisce una sorta di benedizione necessaria per il genere umano, soprattutto in questa epoca, emozionante ma confusa. La parola poetica vera chiarisce ed illumina, così come la vera scienza. Non sono affatto la stessa cosa, poichè seguono metodi radicalmente diversi. Proprio in virtù di questo, sono parti inscindibili della medesima avventura.
Sono persuaso che ogni nuovo testo poetico, se riuscito, è anche e soprattutto una investigazione cosmologica. Ogni produzione poetica è anche un lavoro di ricerca, che estende e raffina le ricerche precedenti, smentisce alcune tesi, ne conferma altre.
Con questa ipotesi di lavoro, quasi consultassi l’ultima edizione di Astronomy & Astrophysics (vorrei dire sfogliassi ma questa è già una cosa d’altri tempi, ormai le pubblicazioni scientifiche si fruiscono prevalentemente in forma digitale) mi sono approcciato ai testi dei finalisti della 64° edizione del Premio Nazionale Frascati Poesia “Antonio Seccareccia”, importante manifestazione di cui già qui si scrisse. Quest’anno i finalisti quattro, Daniela Attanasio, con Vivi al mondo (Vallecchi), Rossella Frollà , con L’amico sconosciuto (Interlinea), Massimo Morasso, con Frammenti di nobili cose (Passigli) e Gian Mario Villalta con Dove sono gli anni (Garzanti).
Naturalmente, mi sono avvicinato con quel taglio particolare che è proprio di questa rubrica, ovvero con l’obiettivo di curiosare su quale idea di spazio emerga dai testi dei finalisti. Perchè è certo che un’idea di spazio debba emergere, è assodato che ogni sistema poetico coeso (e indubbiamente arrivare in finale di un premio come questo è già una buona garanzia) possieda e alimenti una particolare cosmologia, una visione del mondo in senso largo. Solo di questo mi interesso, in questo pongo il mio servizio di astrofisico votato alla letteratura, lasciando ad altri, critici e personaggi austeri, militanti severi (come cantava il buon Guccini), il difficile ed emozionante incarico di valutare la qualità poetica delle parole in questi libri.
Mi accosto a questi nuovi testi poetici, dunque, con la cautela e l’emozione di chi si accosti a nuove teorie, nuovi concetti. Abbiamo percorso insieme, in questo spazio, molti ambiti della tradizione, da Saffo ad Ungaretti, come testi classici, sempre validi. Ci siamo poi ristorati con alcuni testi per canzoni, più o meno note. E’ bello però anche esplorare qualcosa di veramente nuovo, ogni tanto. Qualcosa che viene al mondo quasi ora. Un’esplorazione che è appena un accenno, un appunto. Se volete, un invito al viaggio, da fare poi in piena autonomia.
Gian Mario è sempre e subito quel non sapere che è anche un manifesto di ampia libertà , di soave leggerezza
ma prendi nella mia voce parola, nella mente,
come ogni cosa che vedo e sento. Ti importa
se non sappiamo che cosa siamo io
per te, tu per me, per tutto tu e io l’universo?
Ma è anche un cielo che guarda, quando lo spettacolo sulla Terra si fa interessante. E’ un cielo che partecipa al gioco, non è indifferente. Noi non sappiamo ma lui si impiccia, eccome.
acido della colza è venuto anche il cielo a guardare.
Rossella è un gioco di immedesimazione con il cielo e ciò che contiene, in un registro di partecipazione intima e calda sovente più facile da riscontrare nei versi del femminile
l’altra metaÌ€ del sole che nella
nebbia trova il cielo.
Del resto è proprio quel cielo che è così in contatto con la Terra che
Ed è un sempre cosmo consapevole, affettivo, che partecipa ad ogni moto d’amore in Terra, che conosce le nostre presenze, i nostri stessi corpi quando hanno come confine soltanto la notte
sul corpo nudo è
intuizione mentre ti folgora.
L’universo sa la tua presenza
tra misure setacciate
il bandolo è l’atto
che fende lo spazio.
Ancora una notte
per carpirne il linguaggio.
Massimo gioca su una possibile sottrazione, nella libertà timida di un passo indietro, giocando sugli infiniti stati dell’essere che solo il cielo della luna può garantire, lontano da ogni costringente coerenza cartesiana, aperti al gioco sottile delle contraddizioni, vive e in movimento, come particelle virtuali nell’inesausto ribollire del campo quantico
Potessi girarmi dall’altro lato del qui
e addormentarmi, fluttuando
nel centro buio della notte
in un’aria caduta, in una terra assente
con tutt’intorno il cielo della luna. Potessi…
Ed è ben consapevole della natura poliedrica e sfuggente dello spazio moderno, secondo alcuni scienziati avvolto in impalpabili dimensioni, anni luce lontano da quelli spazi euclidei così rassicuranti ed insieme artificiosi, mortalmente noiosi
c’è un’altra parte dello spazio,
e il nostro mondo, fra i pianeti,
è un poco-più-di-niente avvolto nel mistero.
Ritrova dunque il mistero che ci avvolge, quasi delicatamente, al quale ci possiamo arrendere, ci possiamo abbandonare al fatto semplice e liberante che conosciamo del mondo, appena una scheggia, un bruscolo, un accenno.
Daniela ritrova il punto di gravità di un nuovo esser vivi esattamente tra cielo e terra, tra la contiguità incombente dei due, uno addosso all’altro senza spazio bianco, senza tempo di pausa
fosse la ceralacca apposta sulle carte dei nostri viaggi sulla contiguità
fra nord e sud fra cielo e terra
o forse soltanto un modo di essere vivi al mondo
E proprio quest’esser vivi riverbera un appassionato inno alla creazione poetica
la poesia sarà ancora e per sempre un
diffusore di fatti quotidiani dove la spinta della parola
conta più della ragione dove le pulsazioni del cuore
sono colpi di martello quando il fiato si fa corto per
la paura di non riuscire a dire il verso esatto che vada incontro
all’amore –
amore per la terra per il mare per la natura astratta del cielo
amore che riscalda il corpo nella neve –
amore come pane
come le nostre parole lasciate a lievitare
in un’anta del corpo per un’altra stagione
un’altra sponda di vita dove sostare
C’è – in tutti e quattro in realtà – questo amore per la terra, per il mare, anche per la natura astratta del cielo, un’astrazione solo apparente che, come abbiamo visto, si dissipa in una concretezza felice, che unisce poesia e scienza, ferma l’uomo ai suoi passi sulla Terra, alla consistenza di un intimo assenso al tutto (da ogni fatto quotidiano ai lontani quasar), che grazie alla poesia, ritorna costantemente possibile.
Sapremo a fine novembre chi sarà il vincitore formale. Il vero vincitore sarà comunque – fin d’ora – chiunque accolga l’invito a percorrere questi versi, un dono offerto come balsamo ai nostri autunni, interni ed esterni. Il poeta ha le mani aperte e non le può chiudere, perchè non può che offrire. Vive per quello. Quando incontra le mani di una scienziata, di uno scienziato, si toccano e si stringono e si creano a fiotti nuovi spazi, nuovi universi. Tutti ancora da viaggiare, da esplorare: tutti ancora, in fondo, da gustare.
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