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Luigi Anzivino: la magia della facilitazione

Aggiornato il 17 Novembre 2021

Proprio nella prima puntata di Play to Learn| Lear to Play abbiamo già  parlato di tinkering con Elena Parodi. Oggi abbiamo la fortuna di avere qui con noi Luigi Anzivino del Tinkering Studio del San Francisco Exploratorium che con il suo lavoro ha ispirato una generazione di tinkerers in Italia e nel mondo sia grazie alle risorse generosamente condivise sul sito del Tinkering Studio sia grazie all’opera ciclopica e coraggiosa portata avanti nei due corsi online Tinkering Fundamentals: Motion and Mechanisms e Tinkering Fundamentals: Circuits. Passata l’emozione ho tempestato Luigi di domande e ho scoperto un lato nascosto. Se siete curiosi dovete arrivare fino alla fine!

Ascolta la chiacchierata in podcast qui sotto o anche su Apple Podcast o Google Podcast

Per rompere il ghiaccio e inquadrare un po’ di che si parla cominciamo con una cosa difficilissima, ti chiedo una tua definizione di Tinkering anche se parziale
Più che una definizione bisogna fare una conversazione. Per tanto tempo noi abbiamo sempre resistito a definire chiaramente il tinkering un po’ perchè forse non l’avevamo bene in mente neanche noi, siamo arrivati a questa pratica sviluppando idee, provando, sperimentando, proprio facendo tinkering; ma anche per principio, nell’idea che comunque il tinkering si capisca meglio quando lo si fa nella pratica. E’ molto difficile descriverlo a parole e poi comunicarne veramente l’essenza ma negli anni siamo arrivati alla conclusione che cercare di raccontarlo a chi non l’ha ancora sperimentato sia comunque una buona idea. Con questa premessa per prima cosa quando parliamo di tinkering noi intendiamo un approccio all’apprendimento. Le immagini che vengono in mente quando si parla di tinkering sono “smanettamenti” vari con strumenti e materiali: l’essenza del tinkering è la costruzione di oggetti tangibili. Però il tinkering non è una collezione di progetti o di attività  ma un approccio educativo in cui l’apprendimento passa dall’esperienza diretta e tocca i fenomeni fisici più disparati dalla luce, al vento e l’aerodinamica alla gravità  o altri fenomeni. Ho detto oggetti tangibili ma in realtà  il tinkering vale anche in ambito computazionale. Il focus è l’esperienza di chi apprende e si basa sul costruttivismo e sul costruzionismo con l’idea che la conoscenza va costruita all’interno di ciascuno di noi attraverso le proprie esperienze dirette. Tutte le le decisioni che noi prendiamo quando sviluppiamo queste attività , quando decidiamo che materiali usare, che spazi costruire, che parole usare, passano tutte dall’idea di valorizzare le idee, i tentativi e gli approcci di chi sta lavorando piuttosto che cercare di portarli a una conclusione predeterminata da noi. Le nostre attività  non sono disegnate per insegnare un concetto particolare ma piuttosto per esplorare uno spazio concettuale intorno a un qualche fenomeno. All’interno di questo spazio diamo molta libertà  di sviluppare le proprie idee, di sperimentarle ed eventualmente di cambiare idea in itinere.

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Chiaramente in questo processo ha una bella importanza la comunità  dei “tinkerers”?
Sì per noi la conoscenza si costruisce in maniera sociale e collaborativa e quindi cerchiamo di organizzare le esperienze in modo che ci siano opportunità  di apprendimento a 360 gradi; chiaramente non può esistere la figura dell’esperto che già  sa dove si va a parare. Anche noi quando ci mettiamo in modalità  di facilitazione e supportiamo le attività  non ci consideriamo mai esperti piuttosto “seduti di fianco” a quelli che che si cimentano per confrontarsi con l’attività  e il fenomeno fisico ma anche e soprattutto per imparare come stanno apprendendo. C’è un aspetto di curiosità  rispetto a come avviene l’apprendimento.

Effettivamente la stessa esperienza in contesti diversi porta veramente a risultati molto diversi, non solo come prodotto ma come processo.
Si assolutamente dipende dai materiali, dalle persone che partecipano, dalle idee che pian piano emergono. La questione è l’intenzionalità  con cui tu ti poni in questo ruolo. Bisogna riuscire a sgravarsi dall’ansia di assicurarsi che tutti quanti alla fine imparino qualcosa di preciso e invece fidarsi del processo di tinkering. Questo processo porta ad apprendimenti importanti, porta a momenti di insight e di comprensione anche del proprio processo di apprendimento. La curiosità  è il motore della facilitazione. Mentre si  facilita c’è sempre curiosità  rispetto al lavoro dei bambini o degli adulti che si stanno cimentando nel tinkering. Una volta che si è entrati in questa ottica poi diventa tutto più chiaro anche se non semplice.
Alla fine appunto questa facilitazione è un po’ un’arte: non c’è una formula, non c’è un modello o una scaletta da seguire quindi bisogna sempre essere molto presenti. Io lo trovo anche molto stancante perchè si è sempre estremamente coinvolti.

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Si anche perchè ci si sente caricati di una certa responsabilità , soprattutto se i bambini e i ragazzi non sono così esposti ad ambienti di apprendimento simili. Se ad esempio si fa un’attività  in una classe dove non c’è una consuetudine con questa pratica i primi workshop sono faticosissimi non solo per il numero di bambini rispetto ai facilitatori ma anche perchè i ragazzi si possono trovare in un ambiente con regole diverse rispetto alla scuola a cui sono abituati.
Noi non facciamo grandi numeri perchè la facilitazione è pressochè individuale anche se poi si può adattare: abbiamo anche fatto workshop per 200 persone.
Il nostro contesto di elezione è quello museale e di apprendimento informale, lavorando anche con i docenti però conosciamo anche le dinamiche del contesto scolastico. Quello che ci torna dai docenti americani, ma ho il sospetto che non sia troppo dissimile in Italia, è che l’azione didattica sia molto improntata alla valutazione, a capire se e quanto i ragazzi hanno imparato. Questo forse è proprio l’opposto del tinkering che invece è basato sulla curiosità  personale. Il tinkering ci fa riflettere su che cosa ci sta interessando, sulle idee che stanno nascendo, le teorie che si cominciano a formulare. Proprio in questi giorni sto cercando di comunicare le nostre idee rispetto alla facilitazione a un gruppo di educatori più formali.Quello che noto è che spesso i bambini si sono fatti l’idea che dietro le domande degli insegnanti ci sia sempre l’obiettivo di valutare e quindi loro sono sempre alla ricerca della risposta giusta. All’inizio bisogna vincere un po’ questa forma mentis e questa convinzione degli studenti che non credono che le domande che si fanno durante la facilitazione siano vere e dettate dalla curiosità  ma pensano che tu stia facendo domande trabocchetto per capire se hanno capito e se stanno usando l’approccio giusto. Chiaramente questa relazione di fiducia, che è fondamentale, va ricostruita.

Questi problemi ci sono anche in Italia, forse non esasperati come negli Stati Uniti perchè forse soprattutto nelle scuole con il tempo pieno ci sono occasioni per attività  non formali e dove i ragazzi sono un po’ più liberi, chiaramente dipende molto dalla scuola e dal docente. Quello che noto è che i ragazzi che spesso ci vengono presentati come difficili o poco partecipativi, in realtà  si rivelano immancabilmente molto interessati e estremamente ingaggiati, mentre i cosiddetti ragazzi “scolastici” che sono quelli che vanno bene e che sanno interpretare sempre perfettamente i desideri dei docenti si sentono un po’ persi, forse perchè in un’attività  del genere hanno tanto da perdere ma anche perchè si trovano a gestire una estrema libertà  non orientata dal docente. Paradossalmente questi sono i ragazzi che vanno curati forse di più in queste attività .
Mi dai molti spunti interessanti perchè anche noi abbiamo registrato molte cose simili. Intanto io ero uno di quei bambini che, come dici tu, avevano imparato ad andare a scuola, avevo imparato come si prendeva il bel voto e come si davano le risposte giuste. Questo rispecchia il fatto che a scuola ci sono questi metri esterni di successo/insuccesso che sono in qualche modo imposti dall’insegnante o dalla struttura scolastica e stiamo chiedendo ai bambini di dimostrare il proprio apprendimento secondo questi metri.
C’è chi ci riesce naturalmente, c’è chi impara a farlo e chi non ci riesce ma questo ha poco a che vedere con la vera capacità  di imparare o l’interesse dei bambini stessi. Nel tinkering vengono recuperate proprio quelle persone che fanno più fatica a interessarsi al meccanismo: faccio il compito così come mi è stato detto e la maestra mi dà  un bel voto. Col tinkering si dà  l’opportunità  invece di seguire le proprie idee, seguire i propri interessi e la propria curiosità . Questo è intrinsecamente più motivante. C’è un’altra cosa importante da puntualizzare. Il tinkering è uno dei tanti modi in cui si può insegnare e in cui si può imparare. Chi viene al workshop del Tinkering Studio alle volte si domanda con ansia ma adesso come faccio a insegnare come si legge e come si scrive col tinkering? come faccio a insegnare la matematica con il tinkering? La risposta è che semplicemente non si fa o non è necessario perchè ci sono tanti strumenti e metodi. Il tinkering è una possibile pratica che spesso non viene valorizzata su cui noi ci siamo concentrati.
Il secondo punto è l’immagine del bambino associata a questa pratica. Questa immagine che condividiamo con l’approccio reggiano è un’immagine ricca, piena di risorse, di idee, con tutti gli strumenti necessari per imparare e progredire. Quindi non vediamo i bambini, i discenti o come si dice qui, i learners da un punto di vista di deficit: che cosa gli manca per, cosa deve ancora imparare per arrivare a quel certo livello prefissato, ma piuttosto pensiamo a quali risorse hanno, come le possiamo sfruttare per valorizzarle, per assicurarci che vengano espresse al massimo possibile, con tutta la ricchezza possibile? Abbiamo la convinzione fondamentale che tutti abbiamo tutte le risorse che ci servono per procedere nel nostro apprendimento.

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Senza dubbio, dal momento che uno non pensa più ai bambini come una sorta di “umanità  minore” cosa che è purtroppo sottesa a tante pratiche didattiche già  sta entrando in un reame in cui sta facendo delle attività  sensate. E’ chiaro che anche per me il tinkering ha un valore enorme non solo per quello che riesce a portare nel processo di apprendimento ma perchè è una pratica che consente di mostrare il meccanismo della costruzione della conoscenza ed in particolare della scienza.
Quindi tu stai parlando non tanto dei contenuti della scienza ma dei processi. In quanto scienziati si percorrono percorsi e processi paralleli a quelli che si fanno durante il tinkering anche se magari su livelli e scale diverse.

Si io direi quasi uno a uno, il lavoro cooperativo ma anche un po’ competitivo tra i gruppi, la dinamica del lavorare insieme, scambiarsi le idee ma anche guardare quello che stanno facendo gli altri. Nel mondo della ricerca per comunicare magari facciamo un paper ma se chi si sta occupando di quel problema ritiene che sia una strada interessante “copia”, riadatta , migliora, remixa l’idea.
Diciamo che se si fa ricerca si copia e si sbaglia! Quando si fa ricerca di frontiera, qualcosa di veramente nuovo che non ha mai fatto nessuno si sbaglia 99 volte su cento. Chi ci si è trovato lo sa, sei in un tunnel buio, non vedi la luce, provi delle strade che magari non funzionano finchè un giorno non riesci a mettere un piedi davanti all’altro e man mano costruisci qualcosa di nuovo.

E questo come nel tinkering non è un processo lineare ma iterativo, cumulativo.

Poi oltre a questi grandi paralleli sulla costruzione della conoscenza ci sono cose più piccole ma significative che possono essere connessioni tra tinkering e ricerca ad esempio nella fisica sperimentale. Il rapporto con i materiali ad esempio. Possiamo raccontare varie esperienze divertenti assolutamente di tinkering che succedono nel nostro laboratorio di fisica sperimentale.
Secondo me è molto importante comunicare ai bambini ma anche agli adulti che il processo della scienza è proprio questo; lo stiamo vedendo in questo momento, forse è la cosa più attuale, quanto sia poco conosciuto il processo della scienza e della costruzione della conoscenza attraverso il metodo scientifico. Ci sono tutte queste idee basate su stereotipi, su mitologie strane. Il tinkering aiuta molto a demistificare il processo della scienza e a renderlo fruibile a tutti compreso un bimbo di 2 o 3 anni. E così fa anche con il processo artistico, ci sono molte sovrapposizioni tra questi due percorsi. Gli artisti alla fine lavorano spesso in modo simile gli scienziati: nel modo in cui osservano e sperimentano con il mondo fisico e con i materiali. Hanno conversazioni coi materiali come quello di cui parlavi prima anche tu: ti manca un materiale, cerchi di trovare una soluzione alternativa e lì comincia una conversazione un dialogo tra l’artista o lo scienziato e i materiali possibili, che cosa possono fare, cosa invece non possono fare.
Uno degli obiettivi del tinkering per noi è quello di andare a lavorare sulla costruzione dell’identità , in quanto persona che approccia l’apprendimento e la propria costruzione della conoscenza.
Cominciamo già  a scuola a chiudere delle porte, in matematica non sono bravo quindi la scienza non fa per me, non so disegnare quindi non posso essere un artista, oppure non vado bene a musica quindi non suonerò mai uno strumento musicale. Questo significa cominciare a ridurre le possibilità  e tagliare via pezzi di identità  che invece potrebbero far parte di te stesso. Il tinkering stando essenzialmente all’intersezione tra arte scienza e tecnologia molto spesso permette di avvicinarsi ad un’attività  secondo il filtro di un mondo che tu senti già  vicino però poi da la possibilità  di espandersi in ambiti all’inizio impensabili. Ad esempio se ti consideri bravo nelle scienze e ti senti uno scienziato magari facendo un’attività  di tinkering cominci anche a esplorare il tuo lato più artistico e anche l’opposto ovviamente.

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Sì questo chiaramente funziona per le scienze in modo perfetto se si mira a fare inclusione sociale e di genere e si vede subito che molto dipende da come viene presentata l’attività . Se la caratterizzazione scientifica è molto forte si vede subito che alcune “categorie”di persone si irrigidiscono e sono meno propense a mettersi all’opera mentre se l’attività  viene proposta come un gioco non ho mai visto un bambino che non si sentisse adatto a divertirsi giocando!
Sì il gioco è proprio il super potere. L’approccio attraverso il gioco apre tutte le porte e per noi è molto importante. Sicuramente è un tipo di apprendimento molto naturale soprattutto nell’infanzia però non improntiamo il nostro lavoro sul gioco solo perchè ci piace ma perchè c’è un intento molto specifico dietro; il fatto è che attraverso il gioco si riescono a tagliare le voci più critiche. Quando si gioca si è meno critici con se stessi e quindi si riescono ad aprire porte che invece normalmente rimangono chiuse riuscendo veramente a mettersi in gioco in maniera più completa e totale.

Effettivamente costruire un ambiente che non è giudicante, leggero e non troppo caratterizzato è importante, ad esempio noi spesso non lo diciamo prima che siamo astrofisici perchè sennò è un parolone e ci prendono per persone troppo serie. Invece se ci riveliamo dopo le attività  può avere senso perchè dopo che ci hanno conosciuto e che si sono divertiti con noi allora aggiungere una caratterizzazione può essere utile come “specchio” per una loro possibile identificazione.
Sì, prima fai l’esperienza diretta e poi ti racconto. Questo si aggancia poi anche ai contenuti. L’approccio più classico sarebbe di spiegare i contenuti, i concetti della fisica che vogliamo esplorare e poi andiamo a verificare con l’esperienza diretta. Invece l’approccio del tinkering è al contrario tu prima fai un’esperienza diretta, cominci a cimentarti con una serie di idee, poi forse magari a un certo punto qualcuno ti può dire, ” sai che questo che tu hai appena costruito si chiama circuito in parallelo? così si aggancia a qualcosa che per te ha senso e che viene concettualizzata in maniera diversa in un ambito disciplinare da come l’avevi pensata tu.

Anche noi stiamo provando a pensare ad un percorso di questo genere con il tinkering ad aprire le danze, un’attività  senza obiettivi disciplinari fissati e con obiettivi educativi non dichiarati ai bambini.
Dopo che i ragazzi si sono messi alla prova in 2 o 3 sessioni pensiamo di fornire ai docenti degli strumenti per eventualmente allargare la loro azione educativa, anche perchè a scuola non si può fare solo tinkering; si tratta di attività  sempre molto aperte ma con obiettivi disciplinari dichiarati. Come se nella testa di ogni ragazzo con il tinkering si aprissero 100 porte e poi il docente decide che come collettività   se ne “chiudono” 5.

Più che chiudere, noi usiamo spesso un termine preso ancora una volta da Reggio Emilia che è il rilancio.
Il tinkering funziona per esperienze successive e il lavoro dell’educatore inizia prima con la pianificazione del workshop in cui ti prefiguri quali possono essere le strade che prenderà  l’attività  ma poi continua dopo l’esperienza stessa riflettendo e cercando di estrarre delle idee sulle direzioni future per rilanciarle nel prossimo workshop attraverso delle scelte intenzionali. Ad esempio attraverso un particolare materiale da offrire o l’esempio da far vedere all’inizio dell’esperienza o una conversazione da fare all’inizio in modo da cercare di incanalare un po’ il lavoro. Sempre con gentilezza e delicatezza ma alla fine il lavoro dell’educatore è quello: scegliere direzioni future e porre le condizioni per esplorarle.

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La progettazione dell’esperienza educativa è la parte più difficile e delicata ed è anche complesso far credere ai docenti che molte scelte sono veramente nelle loro mani e che effettivamente loro sono le persone più competenti per mettere in campo una strategia per la loro classe. Purtroppo si pensa più facilmente ad un metodo da applicare che ad una pratica da interpretare.
Si e questo per noi è stato il nostro motivo di titubanza per il corso di tinkering perchè c’è il rischio che venga visto come una formula come qualcosa di rigido da seguire invece fare l’educatore vuol dire responsabilizzarsi, essere ingaggiati attivamente con le idee i processi del tinkering. Quindi di volta in volta bisogna prendere decisioni, valutare, cambiare le carte in tavola, non è non è semplice e richiede una costante riflessione quindi è anche molto faticoso.

A parte ringraziare per l’infinitesima volta per essere stati coraggiosi ad aver proposto i corsi ho una domanda a riguardo. Ci sono cose che si apprendono a bottega ovvero mentre si fanno e tra queste c’è per me la facilitazione. Quando lavoriamo con i docenti sulla facilitazione non so mai quanto dire. Ho paura che aprendo il più possibile i singoli nodi sulla facilitazione si rischia di creare una struttura troppo rigida. Nello stesso tempo non dicendo niente si ottiene un processo veramente lungo che non è compatibile con i tempi dedicati alla formazione. E’ possibile in qualche modo “velocizzare il processo” e questa operazione se esasperata secondo te ha dei rischi?
Questo è uno degli aspetti che ancora non ho risolto. Penso che una delle cose che si possa indicare sono gli obiettivi della facilitazione che essenzialmente si possono riassumere in tre punti; curiosità  cioè incuriosirsi su quali sono le idee e i processi dei bambini, supportare il loro processo di apprendimento e focalizzarsi proprio sulle idee che emergono dai bambini stessi.
Questo può voler dire anche suggerire  un approccio, un materiale e a volte può voler dire fare delle domande. Quali domande è opportuno fare lo si impara con l’esperienza: a volte ti rendi conto che con una domanda hai di fatto chiuso tante strade o al contrario ti puoi sorprendere di quanto una certa domanda riesca a tirare fuori cose incredibili da un bambino. Pian piano ci si costruisce un repertorio di strumenti di facilitazione. Molti insegnanti e educatori identificano la facilitazione con il fare domande. In molti hanno la tendenza a cercare di verificare cosa stanno imparando attraverso le domande durante la facilitazione.Questo chiaramente i bambini lo percepiscono come una valutazione. Il consiglio che do è di cercare di non fare domande “improduttive”, di cui già  conosci la risposta e al bambino facilmente sembra un test. Le domande devono essere vere,  qualcosa che veramente ti incuriosisce e poi magari  incuriosisce il bambino stesso. Formulare domande che diano la possibilità  a chi sta facendo tinkering di esprimersi e comunicare le sue idee. Aiuta moltissimo essere appunto in comunità  con altri educatori e osservare le domande vengono poste, le risposte e le interazioni e rubare…  il più possibile  e senza scrupoli (ride).
Molto della facilitazione viene dall’osservazione, a volte basta quello o magari verbalizzare quello che sta succedendo facendo da “interprete” tra i partecipanti.

Anche se potremmo parlare ancora tanto di facilitazione vorrei ora chiederti qualcosa riguardo il processo di design. Si vede che dietro un workshop “classico”, tipo le macchine per scarabocchiare o la pista delle biglie, i paper automata i ci sono tante risorse ed energie  e che le scelte di design sono chiare e ripetute tra i workshop. Ad esempio un’attenzione enorme al fatto che nel workshop ci debba essere una possibile molteplice espressione, diciamo tecnicamente un workshop wide walls.
Per arrivare a queste esperienze in cui si vedono scelte di design chiare e definite e con questa profondità  di azione presagisco numerosi passaggi, tante persone e tantissimo tempo. Mi domandavo praticamente come riuscite a costruire queste incarnazioni di una stessa idea fondante e come andate da un’idea iniziale ad una esperienza finale così articolata.

Intanto grazie perchè su questo noi ci teniamo tantissimo e passiamo molto tempo sul design e spendiamo molte energie nel progettare queste esperienze. Questo è il motivo per cui non abbiamo un parco di attività  enorme: queste sono esperienze che vengono sviluppate negli anni e tutte sono come dici tu orizzontali nel senso che mirano a provvedere lo stesso supporto.
Intanto è un processo, non una cosa decisa a tavolino. Questo processo però è abbastanza definito, non si parte da un fenomeno fisico ma si parte da un’esperienza diretta o da un fenomeno reale che potrebbe essere la luce, il vento o da un materiale ad esempio il nastro adesivo conduttivo.
Da lì cominciamo a fare noi stessi internamente i primi prototipi di attività  quindi ci giochiamo e sperimentiamo tra noi per capire quali possono essere degli elementi ricchi, da approfondire.
Appena abbiamo identificato un possibile percorso cerchiamo immediatamente di provarlo con il pubblico e fortunatamente abbiamo un laboratorio al museo, aperto al pubblico e quindi possiamo invitare il pubblico e sperimentare. Comincia quindi il processo, prendiamo delle decisioni iniziali, decidiamo che materiali proporre, l’organizzazione dello spazio e qual è l’invito che noi proponiamo a chi entra nel Tinkering Studio. Da lì con un processo di riflessione e di rilancio raffiniamo l’approccio lavorando su materiali, spazi e facilitazione con una serie di linee guida in mente che guidano le scelte di design. Chiaramente un lavoro del genere non è sostenuto dal singolo ma da tutto il gruppo. Il nostro è composto da 8/9 persone e tutte in qualche misura partecipano al processo di design e soprattutto alla prototipazione. Quando facciamo prove col pubblico ad esempio andiamo sempre in coppia per osservare e poi confrontarsi. Ovviamente poi c’è molto lavoro di gruppo: discussione e  aggiustamento. Non tutte le attività  sono arrivate a questo sviluppo completo, ma sono meno approfondite e più in fieri.

Con il covid chiaramente avete dovuto fare delle scelte di design orientate dalla situazione contingente che magari non avreste fatto, sembra strano pensare al tinkering online…
Se ci pensi è anche strano fare un corso di formazione preconfezionato sul tinkering però alla fine si aprono delle porte quando si prova. Forse bisogna fare lo sforzo di non chiudersi troppo e domandarsi sempre cosa si può imparare da una nuova prospettiva. Il valore è quello. Il tinkering non è una religione ma uno strumento e si può affiancare a qualsiasi cosa.

Abbiamo parlato della potenza del tinkering ma anche delle difficoltà  a farlo funzionare in un ambiente formale come la scuola. D’altra parte la scuola pubblica è l’unico mezzo per avere una pratica democratica e veramente per tutti.. Se avessi una bacchetta magica con un solo desiderio qual è il cambiamento strutturale del sistema scuola che faresti?
Effettivamente è una domanda complicata però dovendo scegliere toglierei il concetto di valutazione nella scuola. Eliminerei l’idea che la scuola è un posto dove si viene valutati. La scuola dovrebbe essere al servizio degli studenti e dovrebbe essere responsabilità  della scuola valorizzare gli studenti e portarli avanti piuttosto che valutarli e decidere se sono pronti o no al mondo. Penso che cambierebbe proprio come gli insegnanti concepiscono il proprio ruolo perchè alla fine dipende dalle richieste del sistema scolastico. Se i docenti non si dovessero confrontare con la valutazione sarebbe più facile per i docenti ridisegnare il proprio ruolo di educatore.

Devi sapere che Fabrizio Villa, uno dei ricercatori che dal primo giorno si è messo a studiare con me il tinkering e con cui abbiamo costruito le nostre pratiche, è appassionato di mentalismo e giochi di carte. Un giorno è venuto da me e mi ha detto che tu sai fare dei trucchi incredibili, abbiamo visto dei video effettivamente notevoli! Premesso che poi lui ti farà  mille domande alla prima occasione io intanto ti chiedo se queste due strade si sono mai intrecciate in qualche modo e se questo svelamento che c’è nel tinkering e nella magia in qualche modo si assomigliano.
Allora la mia passione per la magia e la prestidigitazione si è sviluppata parallelamente ma separatamente da tutto il mio percorso come educatore però è iniziato tutto all’Exploratorium perchè proprio lì ho imparato il mio primo gioco di magia. Il mio primo lavoro da explainer prevedeva che io facessi dei trucchi di magia per i per i visitatori, il mio gioco era parte di una dimostrazione legata alla percezione umana e si mostrava tramite un’esperienza diretta come spesso le cose non sono come appaiono. Da lì mi è scattato qualcosa, un pallino e poi ho approfondito.
Negli anni poi ho trovato diverse connessioni con la mia vita precedente in quanto neuroscienziato: ci sono molti elementi della percezione e della cognizione che aiutano a capire perchè funzionano i trucchi di magia anche se siamo tutti consapevoli del fatto che la magia non esiste.

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Questa connessione invece che mi porti tu è una cosa a cui ho pensato ma non riesco ad esprimerla al di fuori di una cerchia molto ristretta di persone e ha a che vedere con la facilitazione.
Quando tu fai un trucco di magia a una persona costruisci un’esperienza che è pianificata molto accuratamente, è facilitata con un grande cura ma tutto questo lavoro è completamente nascosto in qualche modo l’esperienza dovrebbe appunto sembrare are “magica” cioè che succeda senza nessuno sforzo.
Questo è un po’ il percorso che si fa col tinkering, la persona che si cimenta con il tinkering non è cosciente del fatto che dietro c’è stato tutto un lavoro di studio, di preparazione, di scelte molto precise, non è cosciente che chi sta facilitando ha in testa 200 pensieri, sta cercando di capire in cosa il tinkerer si sta cimentando, si sta chiedendo quale strumento fornire o quali parole usare. Semplicemente chi fa l’esperienza si siede e comincia a trafficare e ogni tanto, come per magia, arriva proprio il materiale giusto, oppure qualcuno gli dice proprio quella parola che fa scattare mille idee, o qualcuno ti fa notare un’altra persona che sta lavorando ad una cosa simile. Tutto questo dietro le quinte.
Il parallelismo che vedo è che in entrambi i casi c’è un grande lavoro che rimane nascosto in modo da fornire un’esperienza di grande valore che ti porta a porta essere soddisfatto, direi, ad essere felice.

Chiudiamo l’intervista allora con la speranza di vederci presto e fare una tinkerata insieme però con il cappello da mago! Grazie mille!

Luigi Anzivino
Luigi Anzivino

Luigi Anzivino lavora da tanti anni al tinkering studio prima come coordinatore poi come sviluppatore e ora come guida e manager tutti gli sforzi del Tinkering studio per quanto riguarda lo sviluppo professionale inclusi i workshop in persona, i corsi online, la formazione interna e la comunicazione online. Luigi partecipa anche al design delle attività , alla prototipazione e alla facilitazione al museo. Luigi è italiano, si laurea a Bologna in Psicologia, il primo contatto con la California è in ambito accademico con la sua visita ad un laboratorio di psicofarmacologia di UCLA che poi diventa un dottorato di ricerca sempre a UCLA. Poi una specie di colpo di fulmine. Per 10 mesi Luigi è Field Trip Explainer all’Exploratorium e quindi si trova a raccontare questo museo alle persone in visita. In un pezzetto di una sua bio si legge “Dopo 24 anni consecutivi di istruzione formale culminati in un dottorato di ricerca in neuroscienze comportamentali, ho finalmente scoperto l’educazione informale, il costruzionismo e il tinkering; da quel momento in poi non mi è più mancato il mondo accademico.”

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Scritto da

Sara Ricciardi Sara Ricciardi

Ricercatrice presso l'Osservatorio di Astrofisica e di Scienza dello Spazio di Bologna. Nel campo della didattica e della divulgazione, si occupa di attività  di pratiche costruzioniste ed in particolare di tinkering a scuola.

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