Oltre l'orizzonte

Divulgazione a impatto zero

Stereotipi e comunicazione della scienza

La mia, dico.
Nel senso che da mo’ sospetto che la mia divulgazione non abbia nessun impatto non dico sull’universo, sul mondo, sulla società , ma neanche su mia zia o mia sorella. E non sto parlando di chissà  quale impatto, di un cambiamento epocale di atteggiamento o di consuetudini, ma solo del fatto che se uno la pensa in un modo, poi continua comunque a pensarla in quel modo, indipendentemente da quel che io dica o faccia.
Il sospetto, insomma, è quello di essere la trasparenza totale, il numero zero della comunicazione additiva, il numero 1 della divulgazione moltiplicativa. L’elemento neutro, che lascia tutto com’era prima. Quella roba lì, insomma.
Il timore è lo stesso di ogni divulgatore/educatore (o quel che siamo) ed è piuttosto diffuso di questi tempi – non sono solo io a essere paranoico. Chiamiamolo “scoramento”.
E ha trovato una conferma perfetta quando, sui social, qualche giorno fa, è atterrata questa vignetta del mio amato Paperino. Si parla dei buchi neri. Leggetela.

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Da Zio Paperone e il tuffo nel black-hole su Topolino , 3 maggio 1981.

Mi ha steso. Perchè fin dai primissimi anni della mia carriera, più o meno anno 0 o 1 di questo millennio, quasi 25 anni fa, insieme a Simona Romaniello (ora al Museo e Planetario infini.TO) e Francesca Cavallotti (ora al Museo del Balì di Saltara), impostammo una serie di incontri sui buchi neri. Di solito, in questi casi, si cerca di elencare o di mappare gli stereotipi più diffusi, per cercare di capire come usarli: se sia meglio smontarli affrontandoli frontalmente oppure essere strategici. Lo scopo è sempre quello di offrire una serie di immagini diverse (similitudini, metafore “controllate”) che aiutino il non-esperto a sostituire o accompagnare le proprie idee con rappresentazioni più vicine a quelle scientifiche ma altrettanto soddisfacenti. Per essere chiari: non è la soddisfazione di chi parla che conta, cioè quella del divulgatore, ma è quella di chi ascolta, di chi costruisce dentro di sè immagini che non aveva.
Ragionando sugli stereotipi più diffusi, Francesca, Simona e io avevamo elencato questi:

  • I buchi neri non sono voragini nello spazio
  • non risucchiano ogni cosa dentro di sè;
  • e, santa pazienza, non sono enormi aspirapolveri galattici.

Poi c’era anche l’imbuto. Sull’imbuto, però, ci inchinavamo. L’imbuto restava in piedi – soprattutto grazie a Corrado Guzzanti e alla sua Vulvia. L’imbuto, anzi lo ‘mbuto non potevamo perdercelo. Ci fermavamo sull’orizzonte degli eventi a ridere. E questo valeva. Ecco un assaggio di ‘mbuti: nel video qui sotto li trovate dai 50″ in poi.

‘Mbuto più ‘mbuto, il punto è che questa vignetta dice esattamente il contrario di quel che volevamo “combattere””. E conferma drammaticamente ogni stereotipo: senza considerare che uscire su Topolino ha un effetto sulle giovani menti che noi non possiamo avere, come minimo per capacità  di diffusione.
In definitiva, è l’esatta conferma del Teorema della divulgazione a impatto zero. L’incubo materializzato.
A questo punto scrivo a Simona, a Francesca: guardate, guardate! Scandalo e follia! La fine del mondo, siamo perduti, abbiamo fallito miseramente e la vita non ha più alcun senso! Loro se la ridono, senza prendersela. Forse allora il paranoico sono solo io dopotutto? Scrivo a Gianluigi: guarda! Scandalo e follia! La fine del mondo ecc. ecc. Ma dove è uscita, lo sai? Di che storia fa parte? Lo so, pare una domanda assurda: prendere una vignetta a caso e chiedere a qualcuno se sappia da quale fumetto è tratta è un po’ come canticchiare na na na e chiedere quale sia la canzone che cito. Ma Gianluigi non è uno qualsiasi. Lui sa tutto. Ma tutto. (“Bastava qualche na na in più e se me lo avesse chiesto avrei risposto la sigla del Batman anni ’60!” – nota di Gianluigi).

E siccome sa tutto,  non batte ciglio e mi risponde nel giro di 1 minuto – forse meno: Topolino 1327, Zio Paperone e il tuffo nel black-hole, 1981. Ne ho scritto qui.
1981?
1981!
Diavolo d’un Filippelli.
Ho tirato un sospiro di sollievo. Non perchè creda che il teorema della mia divulgazione a impatto zero sia sbagliato, ma solo perchè potevo fingere ancora per oggi di non averne ancora incontrato la dimostrazione. E che la vita di un divulgatore qualsiasi abbia senso.

A proposito: volete vedere quali sono oggi i principali stereotipi sui buchi neri? Saranno cambiati rispetto a quelli elencati nella vignetta?  Chi vuole, può approfondire in bibliografia. E se qualcuno vuole provare a dare un enunciato del Teorema della divulgazione a impatto zero ci scriva o commenti qui sotto!

Bibliografia minima

1 Comment

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  • Diavolo di un Filippelli! Ero più che certo, visto l’argomento, che lui – e forse “solo” lui – sarebbe stato in grado in breve tempo di risalire, in un tempo brevissimo, al contesto di pubblicazione originale delle tavole “incriminate”!

    Tuttavia, visto che la storia su Topolino è di più di quarant’anni fa, e che tutto sommato i buchi neri allora erano ancora abbastanza “nuovi” alla coscienza popolare (i testi in cui io studiavo astronomia li davano ancora per “probabili ma non certi”), forse si può essere clementi… 😉

    Chiuderei aggiungendo, come definizione possibile per il buco nero, “centro di gravità  permanente” come cantava il grande Franco Battiato, proprio ed esattamente in quel mitico 1981

Scritto da

Stefano Sandrelli Stefano Sandrelli

Tecnologo dell'Inaf presso l'Osservatorio Astronomico di Brera, dirige l'Office of Astronomy for Education Center Italy dell'International Astronomical Union. Già  responsabile nazionale della Didattica e Divulgazione per l'Ufficio Comunicazione dell'INAF dal 2016 al 2020, è Docente del corso "nuovi modi per comunicare l'astronomia” per il master MACSIS, Università  Bicocca. Collabora con le riviste Sapere e Focus Junior, per le quali per la quale tiene rubriche mensili. Dal maggio 2000 al dicembre 2015 ha curato per l' Agenzia Spaziale Europea (ESA) oltre 500 puntate di una rubrica televisiva in onda da Rainews24 e RAI 3. Autore per Zanichelli, Einaudi e Feltrinelli.

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