Oltre l'orizzonte

La conquista dell’universo

Conquistare l'universo: un percorso di auto divinizzazione

Nel corso delle mie astro-spigolature mensili (ovvero: quell’andare un po’ a caso alla ricerca di spunti per questa rubrica), mi sono imbattuto in un inquietante contributo di Jay Olson, pubblicato sulla rivista L’internazionale del 2 febbraio scorso. L’articolo ha un titolo piano e dichiarativo: La conquista dell’universo. Capite perché mi ha fatto sobbalzare.
Olson, professore aggiunto presso il dipartimento di fisica della Boise State University, Idaho, prevede che prima o poi – e secondo lui entro la fine di questo secolo – anche grazie all’IA l’umanità darà luogo a una vera e propria conquista dell’universo, su una scala di milioni di anni. Secondo Olson è un futuro ineludibile considerando la natura umana, anche se in questo momento non sappiamo predirne gli slogan motivazionali.
Per passare dalle idee ai fatti, Olson si rifà alla vecchia idea del meccanismo di Von Neumann, applicato alle sonde spaziali. Lo schema di base sarebbe il seguente:

  • Si spedisce una navicella automatica verso un pianeta abitabile;
  • La navicella deve essere in grado, in modo automatico, di atterrare e costruire infrastrutture adatte al sostenimento della vita;
  • La navicella, poi, costruisce copie di sé stessa e le spedisce verso altri mondi abitabili.

Anche mettendo in conto, alcuni fallimenti del tutto casuali, questa strategia è statisticamente vincente, perché produce un numero di sonde autoreplicanti che cresce esponenzialmente. Secondo l’autore, in circa 19 miliardi di anni condurrebbe alla “colonizzazione” di tutto l’universo raggiungibile. Quello non raggiungibile non sarebbe colonizzabile neppure in linea di principio, perché sarebbe l’espansione dell’universo stesso a metterlo al sicuro dalle nostre grinfie.

This Artist's Concept Illustrates The Idea That Rocky, Terrestrial Worlds Like The Inner Planets In Our Solar System May Be Plentiful, And Diverse, In The Universe.
Rappresentazione artistica che illustra l’idea che i pianeti rocciosi, come quelli del Sistema Solare interno, possano essere abbondanti e diversificati nell’Universo. Crediti: NASA

Questo schema ha due “nemici””: uno esterno e l’altro interno. Quello esterno è facile da immaginare: che cosa succede se un’altra civiltà aliena avanzata avesse la medesima idea? Lo scontro, e probabilmente la guerra, sarebbe inevitabile. Ma questo è un film di fantascienza già visto.
Più interessante è interrogarci sul “nemico interno”, che è ancora più inquietante e che parte dalla più semplice delle domande: perché dovremmo farlo? Dopo tutto si tratterebbe di finanziare un processo che, subito dopo il lancio della prima astronave, perderemmo completamente di vista. Che guadagno ci sarebbe? Non è meglio sfruttare gli asteroidi per le materie prime e finirla lì?
È innegabile: d’altra parte, una cosa non esclude l’altra. E sull’altro piatto della bilancia, conquistando l’universo c’è la possibilità di dare la propria impronta a ogni mondo abitabile, inviando per esempio il proprio materiale genetico e le proprie scelte iniziali. A propria immagine e somiglianza, insomma. È l’azione più simile a quella di un dio che si possa immaginare.
Ma è proprio da questa “divinizzazione” che scaturiscono i conflitti interni. Perché l’umanità dovrebbe permettere che una sua parte colonizzasse l’universo? Quale sarebbe la “tribù umana” prescelta? I più ricchi? I più intelligenti? Quelli che ci pensano prima? I più ferventi?
Rispondere a questa domanda, sempre secondo Olson, ci fa intuire gli immensi conflitti che qui sulla Terra scaturirebbero qualora questa impresa divenisse di pubblico dominio. Da cui la necessità di creare piccoli gruppi, vere e proprie sette segrete, ciascuna delle quali ipertecnologica, ingaggiate fra loro in una competizione senza pari, senza scrupoli e senza possibilità di uscirne vivi.
Se siete stimolati abbastanza, leggete l’articolo in originale (libero ma in inglese) oppure sull’Internazionale (tradotto ma riservato agli abbonati).
La questione è sia complicata che complessa e non aggiungo se non una sola considerazione. La storia ci ha convinto che le previsioni sul futuro dipendano dall’immaginario della cultura che le ha prodotte, caratterizzata e localizzata sia nello spazio che nel tempo.
Con questo intendo augurare a tutti quanti noi una cosa ben chiara. Ovvero che in futuro, si riescano a immaginare forme cooperative che prescindano da quanto di terribile siamo stati in grado di fare – in quanto umanità – nel passato. E che il futuro sia meno prevedibile e più pieno di speranza di quanto non si riesca a immaginare, con meno colonizzazione e più fratellanza e sorellanza.

P.S.: L’immagine di copertina, visualizzabile solo in homepage e nell’archivio della rubrica, è un estratto della copertina tedesca de “L’invicibile” di Stanislaw Lem.

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Scritto da

Stefano Sandrelli Stefano Sandrelli

Tecnologo dell'Inaf presso l’Osservatorio Astronomico di Brera, dirige l'Office of Astronomy for Education Center Italy dell'International Astronomical Union. Già responsabile nazionale della Didattica e Divulgazione per l’Ufficio Comunicazione dell’INAF dal 2016 al 2020, è Docente del corso “nuovi modi per comunicare l’astronomia” per il master MACSIS, Università Bicocca. Collabora con le riviste Sapere e Focus Junior, per le quali per la quale tiene rubriche mensili. Dal maggio 2000 al dicembre 2015 ha curato per l’ Agenzia Spaziale Europea (ESA) oltre 500 puntate di una rubrica televisiva in onda da Rainews24 e RAI 3. Autore per Zanichelli, Einaudi e Feltrinelli.

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