Aggiornato il 22 Aprile 2024
Perchè non mettersi nei pasticci da solo? Detto fatto. Al collega Stefano Covino, che mi ha invitato a proporre un incontro per l’associazione La semina, di cui fa parte, ho proposto questo titolo: Ma l’astrofisica è davvero utile?
Perchè questo gesto inconsulto, che mi infogna in una serie di verifiche, di argomentazioni, di valutazioni ponderate, quando invece potevo cavarmela con un titolo come la bella vita del divulgatore, che certamente sarebbe stato più semplice da mettere insieme?
Dietro questa scelta ci sono varie insoddisfazioni e fastidi. Per esempio: nella comunicazione rivolta al pubblico, trovo molto disturbanti affermazioni generiche circa certe tecnologie messe a punto in un certo campo di ricerca ma che poi si rivelano grandi successi, commerciali e sociali. Tipo il World Wide Web, nato in seno al CERN, o lo Wi Fi, nato in Australia presso la comunità dei radioastronomi della Commonwealth Scientific and Industrial Research Organisation (CSIRO) australiana. O la TAC o i controlli a raggi X negli aeroporti, che sono stati ottimizzati partendo da tecnologie astronomiche.
Trovo queste affermazioni disturbanti non perchè siano contributi poco importanti: hanno cambiato il mondo, figuriamoci. Sarei anche un ingrato: in questo momento sto pubblicando questi pensieri sul WWW usando uno WiFi.
Mi infastidiscono, invece, per due motivi: il primo è che non si chiarisce mai davvero al pubblico quale sia stato il contesto nè quale sia stato il modo con cui certi strumenti sono stati creati e hanno fatto “il salto di specie“. Il secondo motivo è che nè l’uno nè l’altro sono – a mio avviso – il contributo più importante della fisica delle particelle o della radioastronomia. Ce n’è anche un terzo: per come vengono raccontati i fatti, c’è un’enorme sproporzione di risorse fra gli investimenti e i risultati. Nel caso del WWW, per esempio, non si sta parlando dell’invenzione della Google Suite nè della rete in sè (che già esisteva come rete militare), ma della trasformazione di un gopher (talpa), un protocollo di rete che utilizzava comandi scritti, in un sistema grafico rudimentale. Se questo fosse il principale risultato del CERN staremmo freschi. Per fortuna non lo è affatto.
In definitiva mi lasciano insoddisfatto perchè mi sembrano poco rispettose del pubblico stesso: fanno parte di quelle cose che “si capiscono subito“, “si toccano“, sono “concrete” – insomma, sono familiari e possono essere vendute facilmente come risultati. In effetti si tratta di veri e propri effetti collaterali di certe ricerche di frontiera: questo genere di marketing a me pare la negazione del senso della scienza da una parte e dell’intelligenza altrui dall’altra.
Non che non se ne debba parlare: ma c’è sempre un che di patetico nel dire “oh, sì… ci occupiamo di cose lontane, lontanissime, ma sai che siamo anche utili? Sai che le fotografie che fai con il cellulare sono possibili grazie agli astronomi?”
Ecco, io penso che lo studio del cosmo sia utile per altri motivi sul lungo periodo, soprattutto in termini di plasticità di pensiero (o fluidità , dipende da quanta farina aggiungete alla ricetta).
In primo luogo perchè ci ha permesso di sbarazzarci del nostro autoassegnato ma scomodo ruolo di coloro-che-sono-al-centro-di-ogni-cosa. Che poi, a guardare bene, visto che noi osserviamo l’universo dal nostro punto di vista, non ce lo ha affatto tolto: diciamo che ci ha parificato con altri punti di vista possibili. Parificato, non pacificato: siamo, ahimè, della specie homo sapiens (anche in questo caso, un nome autoassegnato).
Questo spodestamento apparente, a sua volta, ci permette di discutere di almeno altri due elementi essenziali per capire noi stessi: qual è la relazione fra “noi” e “gli altri” (quindi fra il nostro punto di vista e quello degli altri) e, ancora più in generale, che cosa diamine siano la vita e l’intelligenza, presunta o meno.
Insomma, in universo così bislacco nel quale persino lo spazio e il tempo, ovvero le dimensioni dove noi ci srotoliamo, acquisiscono elasticità e deformabilità oppure possono lacerarsi, ecco che l’utilità dell’astrofisica diventa pari pari quella di una modalità di pensiero pervasiva, critica, sempre in grado di cambiare e di ampliare quel che era dato per assodato. Una modalità di pensiero in grado di immaginare infiniti mondi possibili fra cui scegliere. Ma non là , lontano dove guarda e studia, ma qua – sulla dolente Terra. Un pensiero, insomma, che lanciato verso l’infinito, è in grado di riflettere su se stesso grazie alle sue scoperte, alle sue emozioni, alle sue scelte.
Come scriveva Italo Calvino sull’Unità , subito dopo il lancio dello Sputnik:
Ne siamo capaci.
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