Aggiornato il 28 Novembre 2024
Sin dalla comparsa dei primi radiotelescopi, hanno visto la luce diversi programmi volti alla ricerca di segnali inviati da civiltà aliene dotate di tecnologie avanzate.
Dagli anni Sessanta del secolo scorso l’interesse verso questo tipo di programmi, noti col nome collettivo di SETI (Search for ExtraTerrestrial Intelligence), è cresciuto enormemente e ad oggi numerosi sono i progetti finanziati da istituzioni pubbliche e private. A questa ricerca per così dire “passiva” si associa anche un active SETI, noto anche come METI (Messaging to ExtraTerrestrial Intelligence), che consiste nel mandare segnali nello spazio nella speranza che questi vengano captati da intelligenze extraterrestri che possano rispondere.
Tutti questi progetti non sono esenti da critiche. La domanda che ci si pone più spesso è: siamo sicuri che sia saggio fare sapere a civiltà aliene tecnologicamente avanzate che noi siamo qua? O che a queste interessi comunicare con noi?
A ogni buon conto, risale al 1974 il primo tentativo di inviare un messaggio radio verso mondi alieni. In occasione di un ammodernamento del radiotelescopio da 305 metri di Arecibo, infatti fu trasmesso un messaggio in codice di 1679 bit verso l’ammasso globulare M13, distante dalla Terra circa 25000 anni luce. Utilizzando una sequenza di 0 e di 1, sono stati inviati alcuni dati sul Sistema Solare, la figura stilizzata di un essere umano, formule chimiche e il contorno del radiotelescopio stesso. Se è vero che niente può viaggiare più velocemente della luce, riceveremo l’eventuale risposta, ormai un po’ datata, tra 50000 anni!
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